Giovedì, attraverso le parole del portavoce del ministro degli Esteri Guo Jiakun, la Cina ha ribadito la sua “piena contrarietà” a un possibile attacco degli Stati Uniti all’Iran. “Tutte le parti, soprattutto Israele, smettano di combattere immediatamente”, ha aggiunto Jiakun. Queste dichiarazioni fanno seguito a quelle di sabato scorso del ministro degli Esteri Wang Yi, che ha definito “inaccettabili” e “una violazione del diritto internazionale” gli attacchi israeliani. Lo stesso ha anche offerto il supporto cinese per “salvaguardare la sovranità nazionale [dell’Iran], difendere i suoi diritti e interessi legittimi e garantire la sicurezza del suo popolo”. Le posizioni espresse dai due membri del governo sono state certificate dal Presidente Xi Jinping, che si è espresso a margine di un summit svolto in Kazakhistan. E non potrebbe essere diversamente.
Il ruolo della Cina di nemico degli Stati Uniti sullo scenario globale è ormai evidente. Pechino si è anche ritagliata il ruolo di Paese amico-dei-nemici di Washington nonché di aspirante leader degli “sconfitti della globalizzazione”, alias degli Stati del Sud del mondo. In questa semplificazione il solco è chiaro: inimicizia con Israele e simpatia per la causa palestinese/sciita. Ma è importante capire fino a che punto Pechino nutra interessi nella guerra israelo-iraniana. E, a parte quelli di natura ideale e antiamericana, non sembrano essere molti.
Negli ultimi anni Iran e Cina hanno aumentato la loro cooperazione strategica. Ad esempio, nel 2017 la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione e la Marina della Repubblica Islamica dell’Iran hanno svolto un’esercitazione militare congiunta nella parte orientale dello Stretto di Hormuz e nel Mare di Oman; la prima era stata nel 2014 in un’altra zona del Golfo Perisco. Esercitazioni che si sono ripetute negli anni a seguire e sono culminate nella stipulazione di un accordo di cooperazione economico-militare nel 2021.
Inoltre, la Cina acquista il 90% – ad un prezzo calmierato e in moneta cinese – del petrolio prodotto dall’Iran, sottoposto a sanzioni occidentali. Va però considerato che Teheran è solo il sesto fornitore per Pechino. L’interesse cinese si concretizza piuttosto nella necessità che lo Stretto di Hormuz, dal quale passa la metà – questo sì – del proprio approvvigionamento rimanga sicuro, cosa molto difficile se le ostilità dovessero subire un’ulteriore escalation. In tal caso, è probabile che l’Iran dia luogo alle minacce di chiusura dello Stretto che causerebbe un aumento dei prezzi dell’energia potenzialmente molto dannoso per l’economia cinese.
Pechino ha quindi un interesse senz’altro di tipo retorico ma anche pratico sul contenimento dello scontro. Ma nel worst case scenario di un ingresso americano nel conflitto, risulta attualmente molto difficile che la Repubblica Popolare possa decidere di entrare a sua volta in modo diretto, se non con la vendita di armamenti. L’unica futuristica/distopica (o almeno si spera) ragione per cui a Pechino potrebbero desiderare un’ulteriore deflagrazione del conflitto, sarebbe quella per cui, a seguito dello scoppio di un’ulteriore guerra in cui gli Stati Uniti risulterebbero coinvolti, gli apparati cinesi avrebbero un proprio spazio di manovra per un redde rationem su Taiwan.
Diversamente, l’interesse primario sembra essere quello di evitare che la guerra prosegua. Non fosse altro per non avere l’ulteriore impaccio di un conflitto che, a parte per Israele e pochissimi altri, sembra non volere nessuno.