Lo scontro sull’immigrazione ha superato la soglia della crisi istituzionale. Nelle ultime ore, un episodio clamoroso ha scosso la California e il resto degli Stati Uniti: il senatore Alex Padilla, uno dei pilastri del Partito Democratico nello Stato, è stato trascinato via con la forza da una conferenza stampa della segretaria per la Sicurezza Interna Kristi Noem a Los Angeles. È stata richiesta un’inchiesta indipendente al Senato.
URGENT BREAKING: Democrat US Senator Alex Padilla was just thrown to the ground and arrested for trying to speak at a DHS Press Conference by Secretary Kristi Noem.
This is Trump’s America. This is so incredibly pathetic.
I am so sad for the state of this country. pic.twitter.com/yI9fKdoYoW
— Brian Krassenstein (@krassenstein) June 12, 2025
Il video, già virale, mostra Padilla mentre tenta di porre domande a Noem, prima di essere bloccato e spinto fuori dagli uomini della sicurezza. “Sono il senatore Alex Padilla! Ho delle domande per la segretaria!” urla, mentre viene trascinato oltre due porte battenti. “Giù le mani!” grida nel momento in cui cerca di resistere.
L’immagine è scioccante: un senatore degli Stati Uniti trattato come un intruso, allontanato con la forza per aver chiesto conto delle operazioni militari in corso nelle strade della sua città.
Le parole di Noem, pronunciate subito dopo, suonano come una lezione di etichetta rivolta a chi si trova dall’altra parte del bastone del potere: “Non è appropriato. Un leader deve cercare un dialogo civile.”
Ma le sue parole arrivano in un momento in cui a Los Angeles, sotto la giurisdizione del suo Dipartimento, centinaia di immigrati vengono rastrellati e le proteste represse con l’intervento della Guardia Nazionale e dei Marines.
Padilla, primo senatore latino della storia della California, non è un volto qualsiasi: è una delle voci più forti contro la politica migratoria di Trump. Il suo allontanamento fisico da un luogo pubblico, in diretta nazionale, rappresenta un segnale durissimo. Non solo simbolico. È l’avvertimento che in questa nuova fase autoritaria, nessuno è troppo alto in grado per non essere messo a tacere.
L’attacco a Padilla segue di pochi giorni un altro episodio inquietante: l’incriminazione della deputata democratica del New Jersey LaMonica McIver, accusata da un gran giurì federale di aver ostacolato l’arresto del sindaco di Newark durante una visita ispettiva a un centro di detenzione per immigrati.
Secondo l’accusa, McIver avrebbe fisicamente interferito con gli agenti federali per impedire che il sindaco Ras Baraka fosse trascinato via. I fatti risalgono al 9 maggio, ma l’incriminazione è arrivata solo ora, firmata dalla nuova procuratrice federale del New Jersey, Alina Habba, ex avvocata personale di Donald Trump. Tre capi d’imputazione, fino a dieci anni di carcere in caso di condanna.
“È un processo politico, una vendetta in divisa federale,” ha denunciato McIver, dichiarandosi non colpevole. “Quello che è successo dimostra che il potere centrale non tollera più opposizione. Ma io non arretrerò.”
Il centro detentivo Delaney Hall, dove si è svolto lo scontro, è uno dei simboli dell’espansione silenziosa dell’apparato repressivo: 1.000 posti letto, un contratto federale da un miliardo di dollari assegnato a GEO Group, struttura aperta senza i permessi della città.
La Casa Bianca difende le operazioni dell’ICE, mentre lo “zar delle frontiere” Tom Homan ha lanciato un avvertimento: “Chi interferisce con le nostre missioni sarà perseguito”.
Il messaggio è chiaro: l’amministrazione Trump non si limita più a colpire gli immigrati irregolari che hanno commesso crimini. Ora prende di mira i politici che li difendono. L’opposizione democratica — già frammentata — rischia di ritrovarsi paralizzata da incriminazioni, intimidazioni e umiliazioni pubbliche. Ma i fatti di Los Angeles e Newark sembrano segnare anche un punto di non ritorno: in gioco, ora, non è solo l’immigrazione. È la natura stessa del potere repubblicano.