Un giudice federale ha bloccato Donald Trump. Nella tarda serata di giovedì, il giudice distrettuale Charles R. Breyer ha emesso un’ordinanza restrittiva che vieta al presidente di mantenere il controllo sulla Guardia Nazionale della California dispiegata a Los Angeles. Il provvedimento, che entrerà in vigore venerdì a mezzogiorno (ora del Pacifico), impone all’amministrazione di restituire il comando delle truppe al governatore Gavin Newsom.
“Le sue azioni sono state illegali”, ha scritto Breyer, “hanno oltrepassato i limiti della sua autorità statutaria e violato il Decimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”. La Casa Bianca ha annunciato l’intenzione di presentare immediato ricorso.
La decisione arriva dopo giorni di escalation politica e giudiziaria, culminati nell’immagine — già diventata virale — del senatore californiano Alex Padilla, afferrato e ammanettato da agenti federali durante una conferenza stampa. La scena ha riacceso le tensioni in tutto il paese. Giovedì sera sono scoppiati disordini in un centro di detenzione per immigrati a Newark, mentre a Chicago centinaia di manifestanti hanno marciato contro i raid sull’immigrazione e la militarizzazione della risposta federale.
Chi ha l’ultima parola sull’invio della Guardia Nazionale in una città americana: il presidente o il governatore dello Stato? E fino a che punto un comandante in capo può ordinare lo spiegamento dei Marines all’interno dei confini nazionali senza invocare l’Insurrection Act?
Sono queste le domande al centro della causa legale esplosiva intentata dal governatore della California, Gavin Newsom, e dal procuratore generale Rob Bonta contro il presidente Trump, dopo la decisione della Casa Bianca di inviare 4.000 soldati della Guardia Nazionale e 700 Marines a Los Angeles per sedare le proteste scoppiate in seguito ai blitz federali contro l’immigrazione illegale.
Il primo round giudiziario si è aperto in un tribunale federale di San Francisco, proprio davanti al giudice Charles Breyer, nominato da Bill Clinton e fratello dell’ex giudice della Corte Suprema Stephen G. Breyer. Il team legale della California ha contestato la legittimità del dispiegamento militare, sostenendo che viola la sovranità dello Stato e aggrava i disordini invece di contenerli.
“Non c’è stata alcuna invasione o ribellione a Los Angeles”, si legge nella causa. “Ci sono disordini civili, gravi ma affrontabili con la collaborazione delle autorità locali e statali, non con i Marines da combattimento”.
In un discorso dai toni drammatici, Newsom ha accusato Trump di comportarsi come un dittatore: “I regimi autoritari iniziano prendendo di mira chi può difendersi meno. Ma non si fermano lì”.
Il nodo giuridico ruota attorno all’interpretazione di una vecchia legge federale già invocata da Richard Nixon nel 1970, ma mai utilizzata per federalizzare la Guardia Nazionale contro la volontà di un governatore. Secondo i legali della Casa Bianca, il presidente ha pieni poteri: “Nulla nella legge autorizza un governatore a porre il veto a un ordine presidenziale valido”.
Di tutt’altro avviso i legali di Newsom: “Il codice richiede che l’ordine presidenziale sia emanato solo su richiesta del governatore. Non è un passaggio meramente burocratico: è un atto di cooperazione federale, non una concessione imperiale”.
L’amministrazione Trump ha definito la richiesta californiana “una grossolana trovata politica” e ha accusato le forze locali di non essere state capaci di ristabilire l’ordine.
La controversia ha attirato l’attenzione anche di ex vertici militari. Dieci tra ammiragli e generali in pensione — tutti ex membri dello Stato Maggiore congiunto, da Kennedy a Obama — hanno firmato un documento in cui criticano duramente il dispiegamento ordinato da Trump. Il provvedimento, sostengono, “politicizza pericolosamente le Forze Armate” e rischia di comprometterne la missione costituzionale e il benessere delle truppe.
Nel frattempo, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth si è rifiutato giovedì, durante un’udienza alla Camera, di garantire che rispetterà un’eventuale decisione contraria del tribunale.
Jessica A. Levinson, esperta di diritto costituzionale, ha ammesso che il governatore parte da una posizione giuridica fragile: “Affermare che serve il consenso del governatore significherebbe concedergli un potere di veto sul presidente. È un terreno scivoloso”.
Anche Chris Mirasola, docente all’Università di Houston, ha notato che i tribunali storicamente hanno mostrato deferenza verso il potere esecutivo in materia militare. Ma ha aggiunto: “Proprio per questo, il caso è importante: stabilirà dei confini, o li allargherà”.
Secondo il procuratore Bonta, siamo di fronte a un caso senza precedenti: “La legge non è mai stata testata seriamente. Nessun presidente ha cercato di esercitare un potere così ampio contro la volontà esplicita di uno Stato”.
A sostegno della California si sono schierati 18 procuratori generali di Stati democratici. In una dichiarazione congiunta, hanno definito l’intervento di Trump “illegale, incostituzionale e antidemocratico”.
La sentenza del giudice Breyer è solo il primo passo. I ricorsi che inevitabilmente seguiranno potrebbero ridefinire, forse per anni, il fragile equilibrio tra potere federale e autonomie statali negli Stati Uniti. Nel frattempo, le truppe restano dispiegate a Los Angeles. E il Paese attende, con crescente inquietudine, di capire una cosa fondamentale: chi comanda davvero.