Donald Trump si considera uno stratega capace di concludere accordi impossibili. Una dote che afferma di avere, raccontandola in tre libri che gli hanno dato notorietà e che lo hanno portato prima in televisione e poi alla Casa Bianca. A tre differenti autori ha svelato e ripetuto il segreto dei suoi successi che si basa su “ingredienti” semplici: minacce, soldi, improvvise ritirate e repentini affondi, cambiando opinione a seconda del pubblico, del momento o dell’interesse personale. Una ricetta che ora, anche da Washington, continua a usare, non facendo distinzione se si tratti di un accordo con Putin o con Zelensky, con Israele o con la Striscia di Gaza che vuole trasformare in “Riviera del Medio Oriente”. Una politica non lineare basata sulla flessibilità che, nel settore privato, può anche dare risultati, ma che mal si adatta nella gestione dello Stato che ha regole granitiche protette dalla Costituzione.
Affondi e ritirate, come nelle deportazioni in catene per mostrare la mano dura contro l’immigrazione illegale, che oggi vengono premiati con mille dollari per quanti volontariamente lasceranno gli Stati Uniti. Una mossa definita “un modo dignitoso di essere rimpatriati che permetterà agli stranieri illegali di evitare di essere fermati dall’ICE”, ha detto Trump dalla Casa Bianca. Nello stesso tempo, con capriccio, si rifiuta di riportare negli Stati Uniti un immigrato legale deportato per errore in catene in El Salvador, anche dopo che la Corte Suprema ha determinato che l’Amministrazione deve facilitarne il suo rientro.
Affondi e ritirate anche per i dazi che mandano in fibrillazione i mercati mondiali e gettano incertezze. Così come il ventilato allontanamento di Jerome Powell dalla Fed e poi la smentita. E le accuse a Wall Street, da lui nel tempo definita avida, corrotta, truccata, che usa tattiche predatorie, della quale poi il presidente ha attinto mettendo nella sua Amministrazione cinque ex dirigenti di Goldman Sachs, oltre al segretario al Tesoro Scott Bessent, che era l’amministratore dei beni di Soros, e Howard Lutnick ex CEO di Cantor and Fitzgerald.
Lo zig zag di Trump è pieno di contraddizioni ed evoluzioni delle sue posizioni.
Nei giorni scorsi dopo che gli analisti hanno evidenziato un calo nelle previsioni di crescita del Prodotto Interno Lordo, il presidente ha immediatamente accusato la passata Amministrazione del deludente risultato, sostenendo che i dati si riferivano alle decisioni economiche di Biden. Il giorno dopo, quando sono stati rilasciati i positivi dati sull’occupazione, ha cercato di prendersi i meriti affermando che era tutto merito suo che l’America avesse un numero così ridotto di disoccupati grazie alla sua politica economica.
Negli anni Ottanta Trump si identificava come democratico, sosteneva politiche progressiste su temi come l’assistenza sanitaria universale e le tasse sui ricchi. Successivamente ha cambiato più volte la sua affiliazione politica registrandosi come Repubblicano, Democratico e Indipendente, finanziando politici di entrambi gli schieramenti, difendendo il diritto delle donne alla scelta della maternità, schierandosi con quanti chiedevano il controllo delle armi. Dopo l’elezione di Barack Obama, la “trasformazione”: prima dando vita al movimento “birther”, che sosteneva, sbagliando, che Obama fosse nato in Kenya; poi strumentalizzando questa bugia, usata per attrarre come una calamita le simpatie dei razzisti d’America. In seguito, alimentò questi sentimenti puntando l’indice accusatore dei mali del Paese sugli immigrati, lanciandosi nel populismo contro la globalizzazione, contro la Nato, l’Onu, la World Trade Organization, cementando così la sua base.
Privo di una ideologia politica, Trump usa un approccio di rottura all’interno del partito Repubblicano dominandolo e asservendo i parlamentari con la minaccia di imporre contro di loro candidati alternativi alle primarie. Nell’ultimo anno si è sempre più allineato alle posizioni di Project 2025, il piano strategico della Heritage Foundation, che ha l’obiettivo di ristrutturare in modo radicale il governo federale.
I sondaggi al raggiungimento dei 100 giorni della sua seconda investitura lo hanno bocciato. Secondo Washington Post, ABC News e Ipsos, solo il 39% degli americani approva il suo operato, mentre il 55% lo disapprova, segnando il peggior risultato per un presidente in questo periodo negli ultimi 80 anni.
Domenica, intervistato da Kristen Welker nel programma “Meet the Press” di NBC News, ha detto di non sapere se deve rispettare la Costituzione. Alla domanda specifica se i cittadini americani, così come quelli che non lo sono, meritino il giusto processo, come previsto dalla Costituzione, Trump ha risposto: “Non sono un avvocato. Non lo so”. Ha detto che non cerca un terzo mandato e che non licenzierà, per ora, Jerome Powell dall’incarico di presidente della Federal Reserve prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026. Ha continuato però con gli insulti e con l’appelli per abbassare i tassi di interesse, aggiungendo che Powell non è un suo fan. “Non gli piaccio perché sa che penso che sia un vero idiota”.
Parlando dei dazi ha rifiutato di escludere la possibilità di renderli permanenti. Ha detto di essere rimasto molto sorpreso che Pechino abbia interrotto gli scambi commerciali. Ha dichiarato poi che il governo cinese ora vuole raggiungere un accordo e che ci sono colloqui dietro le quinte, ma la Cina smentisce.
Finora la minaccia dei dazi non ha prodotto alcun risultato, se non quello di rendere nervose e volubili le piazze finanziarie di tutto il mondo. La sua tecnica non ha prodotto risultati positivi per il Paese, ha alienato vecchi alleati, ha messo in dubbio l’affidabilità degli Stati Uniti come partner, ha creato profonde crepe alle fondamenta democratiche del Paese, mettendo in forze l’imparzialità dei magistrati, scardinando il concetto della “giustizia giusta” e dei risultati elettorali.
I risultati positivi ci sono stati solo per lui, per la sua ricchezza, per la sua famiglia e i suoi amici. Il Paese è sempre più diviso.