Mid La battaglia elettorale per le prossime elezioni di Mid Term è cominciata, anche se saranno tra un anno e mezzo.
Gli strateghi elettorali democratici hanno preso di mira una quarantina di seggi attualmente detenuti dai parlamentari repubblicani che, secondo i loro studi, sono “vulnerabili”, mentre i repubblicani già da alcune settimane hanno stilato la lista dei parlamentari democratici che tenteranno di rimpiazzare. I comitati nazionali dei due partiti hanno lanciato la campagna per la raccolta dei fondi elettorali.
A novembre 2026 verranno eletti tutti i 435 deputati e un terzo, 33, dei senatori. Al momento, Camera e Senato hanno la maggioranza repubblicana, ma è minuscola in entrambi gli organi.
I due partiti sono alle prese con la loro identità. Donald Trump non ha solo trasformato quello repubblicano. Oggi la principale divisione nella politica non è più tra democratici e GOP, ma tra chi crede nel sistema e chi non ci crede e lo vuole cambiare. La vittoria del presidente alle scorse elezioni, nonostante la condanna, le numerose pendenze giudiziarie e le sue alleanze con gli oligarchi Made in the USA, hanno profondamente cambiato l’elettorato. La sua visione manageriale della gestione del Paese, intrisa di strisciante populismo, ha scalzato la politica tradizionale.
Gli Stati Uniti, negli ultimi anni, hanno visto capovolgere le divisioni di classe. Dal 1948 al 2012, il 5% degli americani con il reddito più alto votava per i repubblicani. Questo trend si è invertito. I MAGA non sono ricchi, sono i “Joe the plumber” che hanno abbandonato i democratici. E Trump riesce a capire e sfruttare politicamente il malcontento della “middle class”.
La strategia del GOP si concentra su due obiettivi principali: mantenere le maggioranze alla Camera e al Senato e rafforzare l’influenza del partito a livello statale.
I democratici, invece, si interrogano sulla sfiducia nei loro confronti mostrata dall’elettorato rurale alle passate elezioni e ora cercano di recuperare questi voti, evidenziando il disinteresse dei repubblicani in materia di sanità e infrastrutture, ma soprattutto evitando dibattiti culturali polarizzanti che l’America delle Praterie non vuole sentire. Ma non tutti sono d’accordo. Anche tra i progressisti ci sono divisioni. Organizzazioni come i Justice Democrats stanno promuovendo candidati per le primarie più presenti con le problematiche degli elettori e meno filosofiche di quelle del “Wokismo” e della “Cancel Culture”. Ma le tensioni tra progressisti e tradizionalisti continuano a scuotere il partito. I progressisti, come il senatore Bernie Sanders e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez continuano ad attirare grandi folle, anche nelle aree conservatrici e a movimentare l’elettorato in un momento in cui il partito ha una crisi di leadership. Non essendoci per ora una figura unificante non si riesce a compattare la base. Il dibattito interno è incentrato per cercare i temi che possano fare presa con gli elettori. E soprattutto trovare un leader carismatico che sia in grado di trasmettere con forza questo messaggio.

“I Repubblicani della Camera sono spaventati, e a ragione – ha accusato la presidente del DCCC, la deputata dello Stato di Washington Suzan DelBene -. Stanno mandando a picco l’economia, svuotando Medicaid, abbandonando i nostri veterani e rendendo tutto più costoso. In breve, stanno perdendo la fiducia dei loro elettori e questo costerà loro la maggioranza”.
David Hogg, lo studente sopravvissuto alla strage nella scuola di Parkland in Florida, diventato una icona nazionale nella lotta contro le armi e ora vicepresidente del Comitato Nazionale Democratico, si è lanciato a testa bassa contro i “veterani” del suo partito annunciando un’iniziativa da 20 milioni di dollari per finanziare i candidati giovani per sfidare alle primarie i “senior”. Non facendo direttamente il nome di Joe Biden, la sua campagna di ringiovanimento trova l’opposizione del presidente del partito Ken Martin. La tensione tra progressisti e tradizionalisti evidenzia come il problema dello svecchiamento elettorale sia controverso.
L’ex consigliere di Bill Clinton, Doug Sosnik, ha osservato che l’attuale disaccordo tra democratici non sorprende, attribuendolo alla ricerca delle motivazioni necessarie per ridare fiducia alla base elettorale dopo che i repubblicani hanno conquistato Casa Bianca e le maggioranze a Camera e Senato.
“Penso che sia meglio non parlare di questioni sociali – ha detto Sosnik ai microfoni della CBS News – penso che dovremmo cercare di rendere più chiare le nostre preoccupazioni sulla gestione economica degli Stati Uniti. Questa amministrazione sta giocando d’azzardo con i nostri soldi e il rischio che Trump porti il Paese in bancarotta dovrebbe essere condiviso da tutti. Repubblicani compresi”.