Le dimissioni di Chris Wray come direttore dell’FBI rendono tutto più facile per Kash Patel, il fedelissimo pretoriano di Trump che il presidente eletto vuole nominare per dirigere la polizia federale. E lui ha detto di avere già pronte le liste di proscrizione per colpire il “deep state”, che, secondo il mondo MAGA, tesse nell’ombra le trame dell’antistato. Sarà lui il paladino che darà la caccia a questo gruppo di potere composto da invisibili organismi che, grazie alla loro forza economica, militare e strategica, condiziona Washington e Wall Street. Una ragnatela di connessioni nascoste in grado di agire contro lo Stato ufficiale e decidere le sorti del mondo. Non si tratta di un copione scontato di un film di fantapolitica, ma del credo politico del pianeta MAGA che in Trump ha trovato il suo eroe.
La scalata ai vertici del potere di questo 44enne avvocato, figlio di genitori indiani fuggiti negli anni ’70 dall’Uganda, rifugiati prima in Canada e poi a New York, è cominciata quando era un oscuro collaboratore del deputato repubblicano Devin Nunes. La sua ascesa è dovuta alla cieca lealtà a Trump e alla sua dichiarata volontà di vendicarsi contro gli avversari del presidente eletto all’interno della struttura federale.
Patel è salito alla ribalta nel pianeta MAGA durante il primo mandato di Trump come consigliere senior della commissione Intelligence della Camera, allora presieduta da Nunes. Fedelissimo dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, Patel aveva l’incarico di indebolire, annacquare, svilire le indagini sui collegamenti poco cristallini che Trump aveva con la Russia. Fu lui l’autore del “promemoria Nunes”, un rapporto di quattro pagine che avrebbe dovuto svelare il complotto ordito da Carter Page, un collaboratore della prima campagna di Trump che aveva in parte svelato i mai chiariti contatti tra Trump e Mosca. Il promemoria sosteneva che l’emissione di una citazione in giudizio del Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA) per avviare le indagini su Trump si basava sulle salaci informazioni contenute nel “dossier Steele”, che era stato finanziato, indirettamente, dal Democratic National Committee e dalla campagna del 2016 di Clinton.
Il suo rapporto, però, venne smentito dai professionisti dell’intelligence che, sebbene avessero fatto notare che l’inchiesta fosse stata avviata con deboli pretesti giuridici, affermarono che le conclusioni fatte da Patel si basavano su una “declassificazione selettiva”, con “distorsioni”, “false dichiarazioni” e “pure invenzioni” dei fatti. Inoltre, venne spiegato a Patel che non c’era bisogno di un’autorizzazione della FISA per le indagini poiché la società dietro il dossier Steele, la Fusion GPS, aveva iniziato la sua ricerca sull’opposizione a Trump finanziata dal movimento di destra Free Beacon del miliardario conservatore Paul Singer, molto prima che il Democratic National Committee chiedesse la continuazione delle indagini.
Ciononostante, Patel definì il suo promemoria come uno smascheramento mondiale del “deep state”, che ha poi descritto nel suo libro del 2023 Government Gangsters, in cui affermava che con Nunes aveva esposto “il più grande scandalo politico esplosivo nella storia americana”.
Per le sue distorsioni della verità, lo stesso Patel finì sotto indagine dell’FBI. Patel afferma che, nel novembre 2017, il governo richiese a Google di consegnare i dati associati al suo account privato di posta elettronica, e per questo ha citato in giudizio il direttore dell’FBI Chris Wray, accusandolo di aver violato i suoi diritti del Quarto Emendamento. Nell’atto di citazione Patel definì l’indagine “uno sforzo incostituzionale per cercare informazioni compromettenti contro di lui”. Poiché il mandato venne emesso mentre stava preparando il rapporto Nunes, sostenne che si trattava di un “atto di ritorsione”. Nella sua denuncia affermò che “l’FBI e il Dipartimento di Giustizia non volevano che esponesse la loro condotta scorretta”. Il giudice federale Amit Mehta, però, ha respinto la richiesta di Patel, deridendo le sue fantasiose teorie.
Patel ha anche citato in giudizio organi di stampa come Politico e il New York Times, sostenendo di essere stato diffamato. Ha anche citato in giudizio il Dipartimento della Difesa. Di recente, durante un dibattito pubblico sulle sue qualifiche per guidare l’FBI, Patel ha minacciato un’ex collega, l’ex consigliera del vicepresidente Mike Pence, Olivia Troye, di azioni legali dopo che lei lo aveva criticato per le sue fantasiose teorie.
Nel corso di un suo intervento a War Room, il programma radiofonico di Steve Bannon, ha detto: “Andrò a trovare i cospiratori non solo nel governo, ma anche nei media. Gli darò la caccia”.
“Kash ha fatto un lavoro incredibile durante il primo mandato”, ha scritto Trump alla fine di novembre in un post in cui affermava che Patel, che nella sua prima amministrazione aveva avuto incarichi al Pentagono e al Consiglio di Sicurezza Nazionale, avrebbe riportato “fedeltà, coraggio e integrità nell’FBI”.