Sono tornati a casa. Michelle e Barack Obama hanno elettrizzato lo United Center. “Sentite che c’è qualcosa nell’aria? America, è la speranza che sta tornando!”, ha cominciato l’ex First Lady. Affascinanti, taglienti, ironici, veri. I due non si sono risparmiati: “Non abbiamo bisogno di altri quattro anni di caos – ha detto Barack. – Abbiamo già visto quel film e sappiamo tutti che il sequel è peggio Noi siamo pronti per un nuovo capitolo”.
Vestita completamente di nero, forse in segno di lutto per la madre – menzionata diverse volte durante il suo discorso – morta solo qualche settimana fa, Michelle Obama si è rivista in Kamala Harris e ha espresso tutte le difficoltà di essere una donna nera in una posizione così di spicco: le madri come capisaldi che insegnano a rimboccarsi le mani e a lavorare sodo, le lezioni di vita, il sudore, le rinunce e le continue critiche. “Quelle come noi non hanno una seconda, terza, quarta possibilità. Lavorano duro tutta la vita per vincere al primo colpo”. E poi ha attaccato Trump su un commento recente sugli immigrati senza documenti che ruberebbero i “posti di lavoro ai neri”. “Chi gli dirà che il lavoro che sta cercando di prendere potrebbe essere proprio uno di quei posti di lavoro per neri?”. Infine, si è rivolta all’elettorato: “Se vi aspettate che vi vengano a chiamare, be’ non succederà mancano solo 77 giorni al 5 novembre. Dovete essere voi a coinvolgere gli altri”.

È stato un crescendo di aspettativa e adrenalina: quando Michelle, lentamente, scandendo parola per parola, ha annunciato l’entrata sul palco del marito e tutta l’arena sapeva quello che stava per succedere. Era percepibile nell’aria. E poi Barack è uscito e l’ha abbracciata. Il pubblico intanto era esploso, incontenibile.

Da parte sua, Barack si è preso un momento per ringraziare Biden, che durante la sua amministrazione è stato il suo vice. “La storia ricorderà Joe Biden come il presidente che ha difeso la democrazia in un momento di grande pericolo”. Poi è entrato nel pieno del suo intervento con grande passione oratoria e tono pungente, dalle “folli teorie complottiste” alla “stramba ossessione per le dimensioni del pubblico” – non mancando di fare gesti inequivocabili con le mani. “Abbiamo la possibilità di eleggere una persona – riferendosi a Harris – che ha passato tutta la vita a cercare di dare agli altri le stesse possibilità che l’America ha dato a lei. Mi sento fiducioso perché questa Convention è sempre stata piuttosto buona con i ragazzi dai nomi buffi che credono in un Paese in cui tutto è possibile”.
Di sottofondo, lo “yes, we can” che ha accompagnato le campagne di Obama a poco a poco si è trasformato in uno “yes, she can”.
Per quanto attesi fossero gli Obama, la seconda serata è stata carica di democratici di spicco. Primo fra tutti, il marito di Kamala Harris, Doug Emhoff. È stato introdotto da un video emozionante con immagini commentate da una voce bambina per raccontare la sua storia, dall’infanzia all’università, all’incontro con Harris fino agli ultimi momenti, i più recenti di una settimana fa, in campagna elettorale con il governatore del Minnesota Tim Walz. Quando è salito sul palco, ha parlato di se stesso, del matrimonio precedente da cui sono nati i figli e di come ha organizzato un appuntamento al buio con quella che è diventata la sua attuale moglie – il modo impacciato di lasciarle un messaggio in segreteria e la tenerezza con cui Harris a ogni anniversario glielo rifaccia ascoltare. E ancora: la decisione di rinunciare alla carriera da avvocato e dedicarsi solo all’insegnamento per non interferire con quella della moglie in politica. L’obiettivo – raggiunto a pieni voti – era descrivere un altro volto di Harris, quello più intimo, che possa essere anche un suo punto di forza. È stato raggiunto a pieni voti.

Onorevoli menzioni anche per: il governatore dell’Illinois J. B. Pritzker, che era anche fra i possibili candidati per il ticket della vicepresidenza; il senatore del Vermont Bernie Sanders – l’unico che, in tutta la serata, ha menzionato la guerra a Gaza chiedendo un cessate il fuoco e di liberare tutti gli ostaggi; il leader alla maggioranza in Senato Chuck Schumer; e Stephanie Grisham, che ha lavorato sotto l’amministrazione Trump alla Casa Bianca prima di rinunciare alla sua posizione dopo l’attacco al Congresso il 6 gennaio 2021. Per un breve collegamento da Milwaukee, in Wisconsin, Harriz e Walz sono apparsi sul mega-schermo dell’arena per accettare, simbolicamente, l’incoronazione della roll call da parte dei delegati degli Stati. I due, che erano assenti per un comizio nella città dove solo un mese fa c’è stata la Convention Repubblicana, hanno riscosso molto successo e partecipazione: Fiserv Forum stracolmo e ha parlato senza teleprompter con naturelezza.