Vento in poppa per Kamala Harris. Da quando il presidente uscente Joe Biden ha rinunciato alla sua corsa alle presidenziali 2024 indicandola come sua sostituta, la vicepresidente ha ricevuto grande approvazione dal partito, oltre ad aver raggiunto la quota record di 100 milioni di dollari in donazioni in 48 ore.
Il processo per candidarla alla corsa presidenziale è spinoso, ma le tempistiche sono state accelerate per arrivare all’inizio della Convention Democratica, che si svolgerà a Chicago, in Illonois, dal 19 al 22 agosto, con un candidato ufficiale.
Già entro la fine di questa settimana, si dovrebbe conoscere il nome del vicepresidente che accompagnerà Harris. Il 1° agosto, invece, i delegati “promessi” (“pledged”), coloro ritenuti fedeli al Partito Democratico, sono chiamati a incoronare ufficialmente Harris candidata alle presidenziali. Se così non fosse (versione poco probabile) si passerà al secondo scrutinio in mano ai superdelegati, cioè i leader del partito, i consiglieri comunali e statali.
Questa volta (perché i numeri cambiano ogni quattro anni in base alle disposizioni decise alla precedente Convention) si contano 4.672 delegati in totale: 3.933 i “promessi” e 739 i “superdelegati”. Per essere nominato ufficialmente Harris avrà bisogno, al primo turno, di 1.968 firme e, al secondo, di almeno 300.
La scelta di affidarsi a Harris è la più sicura, oltre alla più ovvia. È la favorita del presidente uscente e ha già ricevuto l’endorsement da altri personaggi di spicco del Partito Democratico, quali l’ex speaker alla Camera Nancy Pelosi e i Clinton, insieme alla maggioranza dei dem al Congresso e dei governatori del Paese, come riporta il New York Times. Ha già guidato una campagna elettorale e rivelerebbe anche il conto in banca che, in questi mesi, ha finanziato i viaggi di Biden in tutto il Paese – si parla di circa 91 milioni di dollari raccolti negli ultimi due anni, che si andrebbero ad aggiungere agli 81 milioni di donazioni delle ultime 24 ore.
Se Harris non venisse confermata (assai improbabile), sarebbe un bagno di sangue. Il Partito Democratico ne uscirebbe ancora più diviso e decisamente impreparato per un confronto contro Donald Trump, candidato repubblicano che, al momento, è il favorito nei sondaggi degli Stati in bilico, fondamentali per vincere le elezioni 2024.