Si dice Joe Biden ma si pronuncia Kamala Harris. Ha una brutta voce, sottile e un poco stridula. Non ha un bel sorriso perché esplode spesso in una risata isterica che non controlla. È rimasta a lungo nell’ombra in questi tre anni e mezzo da vicepresidente col compito di risolvere il problema enorme dell’immigrazione clandestina esplosa sotto Biden.
Kamala Harris, 59 anni, da dieci anni sposata con l’avvocato delle star, Doug Emhoff, madre adottiva di Cole e Ella, le due figlie che il marito ha avuto dal primo matrimonio con una produttrice cinematografica, col passare delle ore, se non scoppia la guerra civile all’interno del partito democratico, potrebbe venir elevata come erede di Joe Biden alla nomination del partito dell’asinello, con la speranza (sfuggita a Hillary) di diventare lei la prima donna presidente degli Stati Uniti.
Per ora il vecchio Joe assicura che riprenderà la campagna la settimana prossima con Kamala al suo fianco.
Smentisce voci di abbandono, ma anche nel cerchio magico del presidente, dopo che 35 fra deputati e senatori lo hanno invitato a passare il testimone, si fa largo la convinzione che se si facesse da parte darebbe più energia al partito e alla causa dei democratici adesso in affanno.
In un partito diviso, i Clinton questa volta si sono schierati con lui, quasi in contrapposizione ad altri gruppi di potere interni.
Sulla carta, Harris ha una pagella da primati per essere stata la prima vicepresidente e donna nera degli Stati Uniti, la prima procuratrice generale della California e la prima senatrice figlia di immigrati di origine indiana.

A differenza di molti politici in Congresso che provengono da Harvard o Yale, Kamala è il frutto dell’educazione accademica californiana e fa parte della congregazione della “American Baptist Churches USA”. Nata e cresciuta a Oachland, per poi trasferirsi a San Francisco e Los Angeles, dal 2017 risiede a Washington, dopo il suo primo incarico al Senato ottenuto anche con l’appoggio di Barack Obama che ne ha sempre rinoconosciuta la tenacia e la determinazione insieme a un carattere d’acciaio dietro la sua vocina nasale.
Vista come parte dell’elite democratica fin dall’inizio della sua carriera, anche quando venne eletta procuratrice della California, grande sostenitrice dei temi di emenacipazione delle donne e del diritto all’aborto, considerata più a sinistra di Biden, Harris non ha mai perso un’elezione. Nelle primarie del 2020, ebbe un durissimo scambio con il presidente sulla segregazione degli studenti neri anche nei trasporti scolastici nel Golden State, ma il vecchio Joe la scelse proprio perché gli proteggeva il fianco sinistro del partito e oggi sono proprio il senatore Bernie Sanders e la deputata Ocasio Cortes a dire che, se il presidente dovesse mollare tutto, il loro appoggio andrebbe a lei e non alle mini-primarie.
In queste concitate settimane, mentre il partito dell’asinello si sta spaccando in gruppi di potere cinici e isterici, Harris come un buon soldato continua la sua campagna elettorale per assicurarsi soprattutto il voto femminile, della gente ispanica e nera, di ebrei come il marito e degli indipendenti. Per il 75% degli iscritti democratici, anche se non ha molto peso personale all’interno del partito,“sarebbe un buon presidente”.
L’atto di lealtà verso Joe Biden sotto attacco non poteva essere più chiaro. E non cesserà anche dopo che lo stesso presidente le passerà il testimone.
Ma in queste ore spunta anche l’ipotesi, per molti suicida, di indire “mini primarie” per rimpiazzare l’intero ticket e interrompere la continuità. In questo caso Harris finirebbe azzerata. Dovrebbe rimettersi in gara ma non sarebbe più la predestinata. E la guerra all’interno dei Dem diventerebbe sanguinaria e incivile.