Joe Biden tra poche ore si giocherà tutto. Gli ultimi 6 mesi da presidente e i prossimi 4 anni che spera di ottenere con il secondo mandato. In realtà lui e Kamala Harris hanno in tasca la nomination virtuale del partito democratico con 87% dei consensi, ma la devastante performance durante il dibattito televisivo con Trump sembra aver azzerato tutte le sue carte. Il partito democratico è nel panico. In preda ad una crisi isterica che a tratti diventa irresponsabile. Da giorni gruppetti di deputati e senatori producono dichiarazioni che indeboliscono comunque la compattezza del partito. Sono slanci individuali scomposti che si abbattono su Biden mentre è in corso uno storico vertice della Nato a Washington che il presidente ha allargato e potenziato trasformandolo nel salvagente per l’Ucraina e nel suo fiore all’occhiello della politica internazionale: Molto più del pasticcio di Gaza.
Tutti sembravano concordare all’interno dei democratici che ciascuno si sarebbe espresso anche col dissenso solo dopo il vertice Nato di Washington. Ma non hanno resistito e adesso è in atto una vera sfida aperta al vecchio Joe. I ribelli uno alla volta pensano di guadagnare spazio e visibilità. Se il leader democratico del senato Schumer ripete a macchinetta “io sono con Joe” quello della Camera Jeffries che deve maneggiare un gruppo molto meno compatto non si è ancora espresso. Entrambi lo faranno ufficialmente venerdì quando incontreranno Biden alla Casa Bianca per le decisioni finali sulla crisi di nervi.
Persino Nancy Pelosi è stata ambigua e un poco scivolosa. Senza dire apertamente che Joe se ne dovrebbe andare, ha continuato a invitare alla calma e alla pazienza: “la scelta deve essere solo sua…e qualunque cosa decida io lo appoggerò…” dimenticando forse per l’età (lei ha 84 anni) che Biden anche con una lettera, aveva già sostenuto che rimarrà in corsa e dovranno cacciarlo solo a forza dalla Convention democratica di Chicago in agosto.
Per ultimo anche George Clooney con un editoriale ha chiesto a Biden un passo indietro.
Mancano solo poche ore alla conferenza stampa della sua vita. Sarà davvero l’ultima stazione per decidere, in caso di nuovo fallimento, se restare o passare la mano. All’incontro con i sindacati a Washington Biden ha ottenuto però un altro piccolo bagno di entusiasmo mentre parlava a braccio e senza teleprompter.
Ma i cecchini del partito democratico hanno già iniziato a sparare da giorni ,incoraggiati da insoliti editoriali dei grandi giornali americani come il New York Times che si sono trasformati non solo in king maker ma in singolari crociati per difendere la democrazia americana contro l’arrivo di Trump “dittatore per un giorno ”.
Dietro queste pressioni e manovre però si nasconde altro. Le grandi lobby democratiche, le elite intellettuali mediche economiche e dello spettacolo puntando ad un candidato alternativo pensano di avere maggiori chances di vittoria a novembre ma di impossessarsi anche del partito con le nuove leve sparando proprio sul vecchio leader che è in difficoltà.
Un benservito con i fiocchi
Il caos al posto del catenaccio e dell’unità potrebbe essere invece una semplice ricetta per il disastro o un irrimediabile ferita autoinflitta
Se invece Biden fallirà la prova delle domande senza rete, al termine del vertice Nato , riapparendo fragile incerto e confuso, non ci saranno più attenuanti, e sarà lui a capire di lasciare tra gli applausi alla silenziosa e leale Kamala Harris la guida per la corsa per la Casa Bianca. Ed è questa l’ipotesi che Trump teme di più