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L’avvocato di Trump: “Cohen un bugiardo”. Il Pm: “Per questo lo ha servito per anni”

Spetterà ora alla giuria emettere il verdetto. Fuori dal tribunale Robert De Niro fa un comizio contro l'ex presidente

Massimo JausbyMassimo Jaus
L’avvocato di Trump: “Cohen un bugiardo”. Il Pm: “Per questo lo ha servito per anni”

Trump ouf of the Trump Tower in Manhattan (ph: Terry W. Sanders)

Time: 5 mins read

La parola è ora ai giurati. Il processo a Donald Trump è entrato nella fase finale. Dopo la pausa dovuta dal lungo weekend del Labor Day il giudizio è ripreso questa mattina con una maratona dialettica, prima con l’arringa difensiva degli avvocati dell’ex presidente e a seguire la lunga requisitoria del pubblico ministero. Un processo che entrerà nella storia perchè per la prima volta un ex presidente è stato incriminato per un reato penale. Domani, nonostante il mercoledì non si sisano tenute udienze, i giurati torneranno in aula per ricevere le istruzioni da parte del giudice Merchan, prima di entrare in camera di consiglio.

Questa mattina nell’aula con l’ex presidente c’erano i figli Eric e Donald Trump jr, la figlia Tiffany, la nuora Lara e il genero Michael Boulos. Assente, ancora una volta la moglie Melania, che si è sempre tenuta alla larga dai guai giudiziari del marito, il figlio più piccolo Barron e la figlia Ivanka, che nell’ultimo anno ha preso le distanze dal padre e dalla sua corsa alla Casa Bianca.

Fuori dal tribunale l’attore Robert De Niro e Harry Dunn, l’ex agente di polizia del Campidoglio che ha testimoniato alla Commissione della Camera sull’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021, hanno tenuto un comizio in favore del partito democratico. De Niro ha definito Trump un “perdente” e ha detto che se rieletto sarà un “tiranno” e un “dittatore”. “Questo è il momento di fermarlo bocciandolo una volta per tutte. Harry Dunn ha ricordato la pericolosità dell’ex presidente che per rimanere alla Casa Bianca aveva lanciato la folla per cercare di bloccare il passaggio dei poteri al presidente eletto.

In aula difesa e accusa hanno cercato di convincere la giuria che Trump, candidato presidenziale alle prossime elezioni, è innocente o colpevole dei 34 capi di imputazione che gli sono stati contestati per aver falsificato le spese societarie e violato la legge elettorale. Una serie di reati per cercare di nascondere i 130mila dollari pagati nel 2016 da Michael Cohen, che allora era il suo avvocato, per comprare il silenzio dell’attrice porno Stormy Daniels per una relazione sessuale avuta molti anni prima con Trump e che minacciava di rivelare a pochi giorni dalle elezioni presidenziali.

L’avvocato difensore di Trump, Todd Blanche, ha detto: “Il presidente Trump è innocente”. Blanche ha cercato di presentare Trump come la vittima di una estorsione in cui tutti sono bugiardi meno il suo assistito. Aggiungendo guardando i giurati: “Non ha commesso alcun crimine e il procuratore distrettuale non ha adempiuto all’onere della prova”. Nella foga della sua arringa l’avvocato Blanche si è fatto scappare che Trump è troppo avaro per aver dato 420 mila dollari a Cohen quando Stormy Daniels ne voleva 130 mila. Ha ripetuto che la richiesta di pagamento di Stormy Daniels era una estorsione e che Michael Cohen è il “super campione” dei bugiardi. Dopo quasi due ore e mezza l’avvocato Blanche, guardando i giurati ha concluso la sua difesa affermando “Non potete mandare in prigione  un ex presidente con le prove che l’accusa ha presentato in questa aula. Non potete mandre in prigione un ex presidente basandovi sulla testimonianza di un supercampione delle bugie come Michael Cohen”. Un’affermazione che ha fatto arrabbiare il giudice Merchan che alla ripresa dell’udienza, dopo l’interruzione per il pranzo, ha detto ai giurati di non prendere in considerazioni le affermazioni dell’avvocato di Trump perchè loro “non mandano in carcere nessuno”, ma decidono se un imputato è innocente o colpevole.

Ha preso quindi la parola Joshua Steinglass, il pubblico ministero che ha fatto la lunga requisitoria, quasi sei ore. “Questo procedimento penale riguarda un piano criminale e il tentativo di non farlo scoprire”, ha detto Steinglass ai giurati esortandoli a condannare l’ex presidente per aver falsificato i documenti aziendali per nascondere il rimborso del denaro usato da Michael Cohen per mettere a tacere Stormy Daniels per un incontro sessuale che, alla vigilia del voto delle presidenziali del 2016, avrebbe potuto danneggiare la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. “Michael Cohen e Donald Trump  – ha detto Steinglass – si conoscono molto bene e parlano un linguaggio codificato”. Dopo che la difesa nel corso del processo ha dipinto Michael Cohen come un imbroglione opportunista, corruttore e abile manipolatore, il pubblico ministero ha detto nel suo intervento “Noi non abbiamo scelto Michael Cohen come nostro testimone. E’ stato chiamato qui a deporre dopo che per anni ha servito Donald Trump proprio per queste sue qualità”. Questo caso riguarda “un complotto e un insabbiamento”, il primo “per corrompere le elezioni del 2016”, il secondo “per nascondere il complotto e mascherarlo falsificando i documenti aziendali” ha reiterato Steinglass che ha invitato la giuria a concentrarsi sui fatti e sulle “prove schiaccianti della colpevolezza dell’imputato”.

Il verdetto molto probabilmente potrebbe arrivare alla fine di questa settimana.

Si è conclusa così, dopo quattro settimane di processo, la fase dibattimentale del processo in cui sono stati ascoltati venti testimoni. L’attenzione maggiore è stata rivolta a quanto detto in aula da Stormy Daniels, da Michael Cohen e da David Pecker, l’ex editore del National Enquirer, il settimanale scandalistico che acquistava in esclusiva le scottanti “indiscrezioni” sull’allora candidato alla Casa Bianca e poi non le pubblicava. Oltre a nascondere le accuse vere, Pecker inventava quelle false sui rivali politici di Trump.

Stormy Daniel, invece ha raccontato in aula i salaci dettagli sul suo incontro con Trump, aspramente contestati dalla difesa come non rilevanti. Mentre la testimonianza di Cohen, già condannato in un altro procedimento per falsa testimonianza, per gli avvocati dell’ex presidente è stata una deposizione “inattendibile”.

Alla fine, quello che conta è solo il parere dei giurati che per condannare Trump devono essere sicuri della sua colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”. Per condannare Trump i giurati devono raggiungere l’unanimità. Basta un solo giurato che dissenta dalla maggioranza per avere la “hung jury”, che costringerebbe il giudice a dichiarare il mistrail, cosa che Trump rivendicherebbe come una vittoria anche se la vicenda potrebbe essere non chiusa per lui.

Domani  il giudice Juan M. Merchan dedicherà circa un’ora per dare le linee guida ai giurati sulle regola per emettere il verdetto, fornendo una tabella di marcia su ciò che può e non può essere preso in considerazione dai giurati nel valutare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. A dimostrazione di quanto siano importanti queste istruzioni, la scorsa settimana i pubblici ministeri e gli avvocati della difesa hanno avuto un vivace dibattito fuori dalla presenza della giuria mentre cercavano di persuadere Merchan su queste istruzioni per i giurati.

Nel caso dovesse essere considerato colpevole, Trump potrebbe andare anche incontro ad una pena detentiva, nell’ordine di alcuni mesi di prigione, secondo l’ex U.S. attorney Harry Litman, intervistato Npr il quale però ritiene che “assolutamente non verrebbe applicata prima di novembre”.

Infatti solitamente passano un paio di mesi tra il verdetto e la sentenza emessa dal giudice, senza contare che Trump presenterebbe immediatamente ricorso in appello congelando così l’applicazione della pena.  Se la giuria dovesse emettere un verdetto di colpevolezza, Trump non lascerà l’aula in manette e, a discrezione di Merchan, potrebbe restare libero fino a quando il giudice emetterà la condanna.

Litman ritiene che siano pari a “zero” la possibilità che Trump venga assolto, anche a causa dell’estrema politicizzazione che l’ex presidente ha fatto del processo, usato dall’ex presidente come piattaforma mediatica – considerando che l’aula si è trasformata in una passerella di esponenti repubblicani volati a New York per dimostrare solidarietà al candidato presidenziale – per la campagna elettorale.

Se ci dovesse essere una “hung jury” la procura di Manhattan potrebbe infatti decidere di istruire un altro processo, ma – secondo Litman – sarebbe difficile che questo avvenisse prima delle elezioni di novembre, dopo le quali si potrebbe trovare nelle condizioni di procedere contro un presidente eletto.

Per quanto riguarda i tempi, secondo Litman la decisione della giuria potrebbe arrivare anche in settimana, magari entro venerdì pomeriggio. Ma le deliberazioni potranno continuare anche la prossima settimana,

Il Washington Post analizza dettagliatamente i punti forti dell’accusa e della difesa e soprattutto l’errore definito “catastrofico” da parte di Trump di offendere ripetutamente il magistrato Juan Merchan, che alla fine dei conti, sarà l’ago della bilancia. Un errore ripetuto dopo gli insulti lanciati al processo civile al giudice Arthur Engoron che, alla fine del giudizio gli ha inferto una multa da 354 milioni di dollari e dopo gli insulti lanciati in aula alla scrittrice e giornalista E Jean Carroll per i quali è stato condannato per diffamazione. “Gli insulti al magistrato – afferma Joyce Vance, ex pubblico ministero federale, intervistata dalla MSNBC -inevitabilmente pongono Trump sotto una cattiva luce con i giurati”.  E già, perché alla fine saranno solo loro a decidere  se è innocente o colpevole.

 

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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