Gli alleati di Trump alla Camera hanno messo in imbarazzante minoranza lo speaker repubblicano Mike Johnson. Nello specifico, hanno silurato clamorosamente il voto procedurale posto in aula per discutere il rinnovo delle autorizzazioni per il Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa) – la controversa legge che consente la sorveglianza senza mandato della magistratura ordinaria anche sui cittadini americani all’interno e all’esterno degli Stati Uniti per proteggere la sicurezza nazionale.
Prima del voto alla Camera Trump aveva scritto su Truth Social: “UCCIDERE FISA. È STATA UTILIZZATA ILLEGALMENTE CONTRO ME E MOLTI ALTRI. HANNO SPIATO LA MIA CAMPAGNA!!!”. Come è noto l’ex presidente racconta ai suoi sostenitori che i suoi guai giudiziari sono stati creati dal “deep state” e dalla comunità d’intelligence.
E i suoi parlamentari alla Camera hanno obbedito. A mandare a picco il voto procedurale infatti sono stati i suoi alleati che si sono uniti ai democratici progressisti sostenendo che la legge, in scadenza il 19 aprile, dà troppo potere agli inquirenti federali per spiare. È la quarta volta che lo speaker vede fallire un voto procedurale a causa dello sgambetto che gli fanno i suoi stessi compagni di partito.
Un’altra imbarazzante sconfitta per Johnson, tanto più in vista della dichiarata volontà di mettere ai voti i nuovi aiuti per l’Ucraina, dove però dovrebbe ottenere il sostegno dei democratici. In tal caso tuttavia la deputata trumpiana Marjorie Taylor Greene ha già minacciato che presenterà la mozione per destituirlo.
Lo speaker ha già preannunciato che riformulerà un altro piano per la Fisa. Intanto venerdì volerà a Mar-a-Lago per una conferenza stampa con Donald Trump sull’integrità delle elezioni, un tema cui l’ex presidente continua a battere sostenendo che la vittoria di Biden alle elezioni del 2020 è illegale perché ottenuta con i brogli elettorali. Ma Johnson vuole capire perché l’ex presidente ha questo astio personale sulle norme dello spionaggio usato dall’antiterrorismo. Soprattutto in un momento come quello attuale con queste fortissime tensioni con il mondo islamico fondamentalista pronto a dimostrare che può sempre colpire. Come peraltro è stato fatto nell’attentato alla periferia di Mosca alcune settimane fa.

Donald Trump, come è noto, afferma che l’FBI e i vertici del Dipartimento della Giustizia, hanno “politicizzato le indagini giudiziarie” a favore dei democratici e contro i repubblicani’. Accuse maturate anni fa, nel 2016, quando Trump era già alla Casa Bianca ed erano state aperte le indagini per il Russiagate. Nell’inchiesta dell’FBI era finito un aiutante della campagna di Trump, Carter Page. Gli agenti scavavano sul passato e sui contatti di questo stretto alleato del presidente che aveva rapporti di lavoro con molti oligarchi russi, specialmente con Igor Sechin, allora oligarca della Rosneft, il conglomerato russo del petrolio. Carter Page era un manager della Global Energy Capital, una società di investimenti per le prospezioni petrolifere nell’est europeo. Contatti peraltro mai chiariti del tutto.
Nella richiesta che gli agenti federali avevano fatto alla corte speciale della FISA per ottenere i permessi per metterlo sotto sorveglianza erano state omesse informazioni rilevanti che vennero scoperte dall’ex parlamentare repubblicano Devin Nunes, allora membro della Commissione parlamentare sui servizi segreti, il quale preparò un documento di quattro pagine, conosciuto come il “Nunes memo”, in cui affermava che il mandato per spiare Carter Page era stato ottenuto dall’FBI e più volte rinnovato in base soprattutto alle accuse contenute in un dossier stilato da Christopher Steele, un’ex spia britannica. Pertanto l’FBI abusò dei suoi poteri in quanto avrebbe usato come parte essenziale delle sue richieste per intercettare la campagna di Trump il dossier redatto dall’ex spia di Londra dalla credibilità incerta.
Secondo Trump il “Nunes Memo” era la dimostrazione che l’FBI e il dipartimento di Giustizia avevano abusato della loro autorità nell’ambito dell’inchiesta sulle interferenze russe nelle elezioni e sulle possibili collusioni tra il Cremlino e i suoi collaboratori.
L’allora presidente chiese al ministro della Giustizia William Barr di aprire una indagine e Barr, prima di lasciare l’amministrazione Trump, nominò come procuratore speciale John Durham che per 4 anni ha condotto le indagini. Dopo aver interrogato 74 testimoni, nel suo rapporto finale di 306 pagine, John Durham ha criticato l’FBI per le azioni intraprese per le indagini su Carter Page affermando che gli agenti “non erano riusciti a sostenere la loro importante missione di rigorosa fedeltà alla legge”.
Un imbarazzante ammissione che nonostante i tentativi di montatura politica della vicenda le mancanze erano da attribuire solo a un paio di burocrati delle indagini e che non c’era stata una trama per le indagini. Un nulla di fatto che tuttavia non è riuscito a placare l’ostilità, e la diffidenza, di Trump per la Fisa.