I PAC, Political Action Committee, dell’ex presidente Donald Trump hanno speso circa 50 milioni di dollari in denaro dei donatori per far fronte alle sue spese legali. I PAC sono le organizzazioni che raccolgono i fondi elettorali tra i propri simpatizzanti ai quali si chiedono donazioni a sostegno o per ostacolare candidati, referendum o iniziative legislative. Si saprà di più nei prossimi giorni quando saranno resi pubblici tutti i documenti della Commissione elettorale federale.
Come è noto Trump fa affidamento sulle donazioni per pagare l’esercito di avvocati, anche se non è molto chiaro che li paghi effettivamente. Comunque per farlo ha utilizzato il suo “Save America” per coprire le loro parcelle. Rimasto a corto di dollari un altro PAC, il “Maga Inc” ha trasferito 42 milioni di dollari a Save America. Le cose, però, non sono così semplici. I PAC raccolgono soldi per le campagne elettorali, cosa che è ben descritta nelle richieste inviate ai sostenitori. Il Save America dopo le prime raccolte iniziali ha dovuto scrivere nella lettera di accompagnamento che la raccolta di denaro serviva anche per pagare gli avvocati dell’ex presidente. E non è detto che tutti i suoi donatori siano d’accordo che l’uso del loro danaro spedito per sconfiggere Biden sia poi stato usato per pagare gli avvocati che lo difendono per le vicende dei suoi bilanci truccati.
L’ex presidente minimizza la portata dei suoi procedimenti giudiziari. Li definisce “caccia alle streghe”, “persecuzioni lanciate da Joe Biden”, “Giustizia usata come arma politica”, dal suo rivale alle presidenziali di novembre prossimo e utilizza le incriminazioni per dipingersi come una vittima dei pubblici ministeri, che accusa di pregiudizi politici riuscendo a galvanizzare la base del partito attorno alla sua candidatura.
Un sondaggio di Bloomberg News/Morning Consult, lancia però un avvertimento all’ex presidente: il 53% degli elettori nei sette stati dal risultato incerto non sarebbe disposto a dargli il voto se dovesse essere riconosciuto colpevole di un crimine, una cifra che sale al 55% se venisse condannato al carcere.

I 91 atti di incriminazione in quattro distinti procedimenti giudiziari che lo inseguono hanno finora alimentato la raccolta di fondi per la sua campagna elettorale, ma dall’indagine condotta oggi viene indicato che c’è un limite per il sostegno nelle sue battaglie legali. Quasi un repubblicano su quattro – il 23% – afferma di non essere disposto a sostenerlo se condannato.
La riluttanza degli elettori a sostenere un Trump condannato è uno dei pochi punti oscuri per l’ex presidente nel sondaggio che altrimenti lo mostra in vantaggio su Biden con un margine di 6 punti percentuali in questi sette Stati che probabilmente decideranno le elezioni presidenziali del 2024.
Il sondaggio è stato condotto dal 16 al 22 gennaio, dopo i caucus dell’Iowa e prima delle primarie del New Hampshire. Sono stati intervistati gli elettori in Arizona, Georgia, Pennsylvania, Michigan, North Carolina, Wisconsin e Nevada.
Trump dovrà affrontare quattro diversi processi penali nel 2024, anche se i suoi avvocati stanno cercando di ritardare i casi fino a dopo le elezioni.
Due casi – uno sui tentativi di Trump per ribaltare le elezioni del 2020 e un altro sui presunti pagamenti in nero alla porno star Stormy Daniels – dovrebbero andare in tribunale a marzo e potrebbero raggiungere un verdetto prima delle elezioni presidenziali di novembre. Le date degli altri due – quello sulla gestione dei documenti riservati da parte di Trump e quello sulle interferenze nei risultati delle elezioni in Georgia del 2020 – sono incerte.

Molto dipenderà dalle decisioni della Corte d’Appello federale che dovrà stabilire se Donald Trump era immune dalle responsabilità penali per le azioni compiute durante il suo mandato come presidente. Una decisione in suo favore potrebbe comportare l’archiviazione di due casi derivanti dai suoi tentativi di sovvertire le elezioni del 2020.
La sentenza sull’immunità non si applicherebbe agli altri due casi penali derivanti da azioni precedenti e successive alla sua presidenza.
In una opinione sul Washington Post Jennifer Rubin chiede retoricamente se la leadership del partito repubblicano abbia preso in considerazione la possibilità che Trump finisca in prigione. “La Costituzione non proibisce che una persona condannata per un crimine possa essere eletta” scrive Jennifer Rubin, che poi si chiede se il partito preparerà un piano B per la Convention repubblicana di Milwaukee per nominare un altro candidato in caso Trump dovesse essere condannato perché se non lo dovessero fare i repubblicani non solo perderanno la Casa Bianca, ma verranno decimati alla Camera e al Senato.