L’ultima volta che la Corte Suprema federale è entrata in una decisione che aveva a che vedere con l’elezione del presidente degli Stati Uniti è stato 24 anni fa, quando Al Gore e George W Bush, al fotofinish in Florida, contavano le schede che avrebbero assegnato la Casa Bianca.
Per giorni nel 2000 si rasentò il ridicolo con gli esperti che esaminavano le schede usando parole come chad, butterfly, dimples per definire i voti (chad era quando il pezzetto di carta della scheda perforata era rimasto attaccato ad un angolo della scheda, dimples quando la scheda non era stata perforata ma mostrava l’incavo lasciato dalla perforatrice, butterfly vote erano le schede per gli anziani per le quali era stata fornita una spiegazione del voto con caratteri tipografici più grandi. Una attenzione per i Senior che però disallineò le caselle delle schede elettorali che dovevano essere perforate e che pertanto non vennero contate). Un guazzabuglio elettorale che finì davanti alla Corte Suprema che con una decisione molto contestata assegnò la vittoria a George W Bush.
Questa volta, il coinvolgimento dei giudici potrebbe essere ancora più impegnativo. Oggi la Corte Suprema è diversa – con una maggioranza conservatrice ampliata dallo stesso Trump – è chiamata a decidere ancora prima che gli elettori si rechino alle urne.
Nelle prossime settimane la corte dovrà stabilire se Trump trascorrerà gran parte della campagna seduto in un’aula di tribunale, sul banco degli imputati, se dovrà rimanere con la bocca chiusa per non continuare ad infiammare l’elettorato con la sua velenosa retorica, e se potrà addirittura candidarsi.

Mai prima d’ora la Corte Suprema era stata chiamata per decidere se un candidato presidenziale potesse essere interdetto a prendere parte alla competizione elettorale. Questa è la domanda alla quale dovranno rispondere i magistrati dopo che i giudici del Colorado e la segretaria di Stato del Maine hanno stabilito che Trump, in base al terzo comma del 14mo emendamento della Costituzione, non è idoneo a ricoprire la carica di presidente per aver istigato il tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021.
La più alta corte del Colorado e il segretario di stato del Maine hanno stabilito che la condotta di Trump tre anni fa ha violato la Costituzione sulla quale aveva giurato assumendo la presidenza per cercare di rimanere in carica dopo essere stato sconfitto alle elezioni. Per arrivare alle loro decisioni, entrambi gli Stati hanno dovuto prima decidere che loro – a differenza del Congresso o di altri funzionari – avevano l’autorità di squalificare Trump.
Il caso del Colorado è ora davanti alla Corte Suprema e, sebbene i giudici non abbiano ancora annunciato se esamineranno il caso, gli esperti legali si aspettano ampiamente che la corte risolva l’incertezza per mettere fine alle decisioni dei singoli Stati. Anche perché altri Stati potrebbero seguire la decisione del Colorado e così si avrebbe la candidatura di Trump, se dovesse vincere le primarie come tutti i sondaggi evidenziano, in alcuni stati ma non in altri. Insomma una dimostrazione di disunione per un paese che si chiama Stati Uniti!
Visto che c’è un procedimento penale in corso per stabilire se Trump abbia cercato di sovvertire la legittimità delle elezioni vinte da Biden, i giudici potrebbero non pronunciarsi su una questione così impegnativa aspettando la decisione della corte appello in cui Trump è imputato. Potrebbero invece solo stabilire se la clausola del 14mo Emendamento della Costituzione sia applicabile al presidente. Ma anche una mancata decisione costituirebbe effettivamente una scelta per mantenere lo status quo, e Trump la sfrutterebbe sicuramente come un trionfo politico trasformando una non decisione in una vittoria.

L’idoneità di Trump a cercare di tornare alla Casa Bianca non è l’unica questione che potrebbe costringere la Corte Suprema a rivedere la decisione il 6 gennaio. La corte probabilmente deciderà anche se Trump è immune dalle accuse penali derivanti dalla congiura per aver tentato di ribaltare il risultato elettorale. Il modo in cui i giudici risolveranno la questione dell’immunità presidenziale potrebbe determinare se Trump dovrà essere processato per tali accuse, un processo che potrebbe metterlo da parte per mesi nel cuore della campagna.
Trump sostiene che i suoi sforzi per bloccare il risultato elettorale – che ha basato su inconsistenti e screditate accuse di frode che i consiglieri gli avevano detto che non c’erano state e che ben sapeva dopo che l’Attorney General William Barr glie lo aveva comunicato ufficialmente – facevano parte dei suoi doveri ufficiali come presidente per garantire che il voto fosse stato regolare.
Il consigliere speciale Jack Smith, che ha accusato Trump di cercare di privare milioni di elettori del diritto di voto e di fare pressioni sui funzionari governativi affinché annullassero i risultati legittimi delle elezioni, afferma che i presidenti non possono essere immuni da comportamenti criminali – e che gli sforzi di Trump sono stati fatti per avvantaggiarlo politicamente, non nella sua veste ufficiale di presidente.
Il mese scorso, Smith ha chiesto alla Corte Suprema di affrontare la questione dell’immunità in maniera accelerata nella speranza di mantenere l’inizio del processo per il 4 marzo. I giudici hanno respinto questa richiesta affermando che la potrebbero prendere in considerazione solo dopo che verrà esaminata dalla corte d’appello federale. Una volta che la corte avrà deciso, ai giudici verrà sicuramente chiesto di nuovo di intervenire – e questa volta potrebbero non essere in grado di evitarlo.
Il tempismo, tuttavia, sarà tutto. Se la corte accettasse di affrontare la questione ma la ponesse su un percorso più lento, potrebbe ritardare il processo fino a dopo le elezioni. E questo potrebbe significare che il processo non avrà mai luogo, perché se Trump dovese vincere le elezioni, nominerebbe sicuramente un procuratore generale che chiuderebbe il caso. Resta sempre quello statale in Georgia e, paradossalmente, se dovesse essere condannato, gli Stati Uniti avranno un presidente eletto che svolgerà le sue funzioni dal carcere.

Anche se Trump dovesse perdere le sue richieste di immunità, la Corte Suprema avrà una seconda possibilità di intervenire sul suo caso di sovversione elettorale federale quando considererà le condanne emesse per “ostruzione di un procedimento ufficiale”, il reato più grave contestato a più di 300 persone che hanno preso parte all’assalto al Campidoglio il 6 gennaio. La legge è anche la base per due delle quattro imputazioni criminali di Trump a Washington. Una legge varata dopo lo scandalo Enron per criminalizzare la manomissione delle prove durante i “procedimenti ufficiali” dei tribunali o del Dipartimento di Giustizia.
I pubblici ministeri federali affermano che l’accusa si applica anche agli imputati del 6 gennaio perché la legge aveva lo scopo di ampliare la condotta “ostruttiva”, non solo sulla manomissione delle prove, ma anche delle azioni. E le azioni dei rivoltosi del 6 gennaio – che hanno impedito al Congresso di contare i voti del collegio elettorale per ore mentre la polizia tentava di mettere in sicurezza il Campidoglio – sono rientrate in questa interpretazione della legge. I giudici delle corti di grado inferiore sono stati quasi unanimi nel ritenere che il Dipartimento di Giustizia abbia utilizzato correttamente la legge sull’ostruzione. Ma il mese scorso, la Corte Suprema ha accettato di accogliere la contestazione di un imputato per l’assalto al Congresso del 6 gennaio sulla validità di questa legge – un indizio che almeno alcuni giudici potrebbero avere una visione più restrittiva della posizione del Dipartimento di Giustizia.
C’è poi un’altra questione che i magistrati dovranno risolvere: ammesso che il processo e le accuse di Trump restino nei tribunali, i magistrati dovranno stabilire se un imputato può avere limitazioni nel modo in cui discute il suo caso con gli elettori mentre svolge la sua campagna elettorale per la presidenza.
Il giudice federale Tanya Chutkan ha imposto a Trump un ordine di silenzio in ottobre, concludendo che i suoi attacchi a testimoni e pubblici ministeri minacciavano l’integrità del caso. Trump ha sostenuto che le restrizioni sono violano i suoi diritti del Primo Emendamento, in particolare come candidato politico. Tre giudici della Corte d’Appello il mese scorso hanno confermato l’ordinanza di silenzio. Dopo la decisione gli avvocati di Trump hanno chiesto una nuova udienza davanti all’intera corte d’appello. Indipendentemente dall’esito, è sicuro che la parte che perderà ricorrerà alla Corte Suprema.
Mentre Trump vuole che i tribunali lo dichiarino immune dai procedimenti giudiziari a Washington, sta anche chiedendo ai tribunali federali – e probabilmente presto, alla Corte Suprema – di dichiararlo immune da cause derivanti dalle cose che ha fatto mentre era alla Casa Bianca. A Washington, una commissione della magistratura federale – che includeva uno dei magistrati nominati d Trump – ha stabilito che Trump non era protetto dall’immunità presidenziale per aver alimentato la violenza della folla in Campidoglio il 6 gennaio. E a New York, il 2° Circuit Court of Appel ha respinto il suo tentativo di rivendicare l’immunità nella causa per diffamazione intentata dalla giornalista-scrittrice E. Jean Carroll.
Mercoledì scorso, il 2° Circuito ha respinto la richiesta di Trump di una nuova udienza sulla questione. Trump potrebbe presentare ricorso contro entrambe le sentenze alla Corte Suprema e, nel caso Carroll, i suoi avvocati hanno già segnalato che potrebbero farlo rapidamente. Questo perché il processo per la causa di Carroll è previsto per la fine di questo mese e, proprio come nel contesto penale, Trump vorrebbe ritardare il processo fino alla risoluzione finale dei suoi ricorsi sull’immunità.

Un’ultima questione relativa ai problemi legali di Trump che potrebbero finire davanti alla Corte Suprema provengono dal suo ex capo dello staff della Casa Bianca, Mark Meadows.
Trump, Meadows, Giuliani e altre 16 persone sono stati formalmente incriminati nella contea di Fulton, in Georgia, accusati di aver tentato di ribaltare il risultato elettorale facendo pressioni sui funzionari elettorali dello Stato. Poiché si trattava di un complotto preparato da più persone che hanno tessuto la trama delle attività criminali insieme, sono stati incriminati usando la legge RICO contro il racket, quella che normalmente viene applicata contro le organizzazioni criminali come mafia, camorra e i cartelli della droga.
Meadows sta cercando di trasferire il suo caso fuori dal tribunale statale della Georgia per portarlo in un tribunale federale, dove crede di avere maggiori possibilità di far archiviare le accuse soprattutto se la richiesta di immunità che Trump sta presentando dovesse vere successo. Sia un tribunale distrettuale federale che la corte ristretta d’appello di Atlanta hanno respinto il tentativo di Meadows. Gli avvocati di Meadows hanno chiesto ora all’intero collegio della Corte d’Appello dell’11° Circuito di considerare la questione. Nel frattempo, Meadows ha aggiunto al suo team legale Paul Clement, un avvocato specializzato per discutere i casi davanti alla della Corte Suprema. Una mossa che suggerisce che abbia gli occhi puntati sull’Alta Corte.
Gli scenari sono tanti e imprevedibili, come tante sono le incriminazioni che pendono sulla testa di Trump. Da qui all’Election Day del 5 novembre ci sono 11 mesi nei quali politica e giustizia continueranno ad incrociarsi. Molto dipenderà dalla Corte Suprema che, anche se composta da una schiacciante maggioranza conservatrice, dovrà dire al paese se il presidente degli Stati Uniti ha i poteri di un re assoluto.