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December 29, 2023
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Trump “il martire”: la battaglia per il suo nome sulle schede delle primarie

Al no del Colorado si è aggiunto il Maine. Ma paradossalmente crescono i consensi

Massimo JausbyMassimo Jaus

Former US President Donald Trump, addresses a crowd of supporters during a rally at the University of New Hampshire in Durham, New Hampshire, USA, 16 December 2023 ANSA/EPA/AMANDA SABGA

Time: 4 mins read

Si complica la corsa per la Casa Bianca per Donald Trump dopo che la segretaria di Stato del Maine, Shenna Bellows, massima funzionaria elettorale dello Stato, lo ha rimosso dalle schede elettorali per le primarie repubblicane 2024. È il secondo Stato, dopo il Colorado, a bloccare la candidatura dell’ex presidente.

Alla base della decisione ancora una volta c’è la Sezione 3 del 14esimo emendamento della Costituzione, secondo cui nessun cittadino può assumere un incarico federale “se ha giurato sulla Costituzione ed è stato coinvolto in una insurrezione o una ribellione contro gli Stati Uniti o ha dato aiuto o sostegno a coloro che l‘hanno intrapresa”.

In altri Stati, peraltro, lo stesso 14mo emendamento è stato invocato per lo stesso scopo ed è stato respinto, in molti altri, invece, una decisione deve essere ancora presa.

Una nuova polemica che si snoda mentre arrivano nuove accuse a Trump proprio in merito agli avvenimenti del 6 gennaio. Secondo e-mail e registrazioni in possesso della CNN, due giorni prima dell’insurrezione l’ex Presidente tentò di fare arrivare a Washington i falsi certificati elettorali portati dai falsi grandi elettori del Michigan e del Wisconsin.

Stando alle ricostruzioni, l’allora presidente uscente cercò di nominare suoi fedelissimi per cambiare il collegio elettorale composto dagli eletti del voto di novembre. A loro spettava il compito di proclamare il nuovo presidente. Tuttavia, i falsi elettori, per una serie di contrattempi, rimasero bloccati per il maltempo. Da qui il tentativo di farli arrivare a Washington con altri mezzi, incluso l’utilizzo di jet privati per consegnarli di persona, accompagnati da compiacenti parlamentari alleati di Trump, all’allora vicepresidente uscente Mike Pence, che pur sotto le forti pressioni di Trump rifiutò di commettere illegalità.

Il giorno dopo che un secondo Stato dell’Unione ha bloccato l’ex presidente dal prendere parte alle primarie, Lawfare, blog della Brooking Institution, ha contalo le cause legali con cui si cerca di rimuovere Trump dalle elezioni del 2024.  Sono attualmente 14 gli Stati che hanno richiesto di escluderlo: Arizona, Alaska, Nevada, New Jersey, New Mexico, New York, Oregon, South Carolina, Texas, Vermont, Virginia, West Virginia, Wisconsin e Wyoming.

Molte delle richieste di esclusione sono state avviate dall’avvocato texano John Castro, un candidato repubblicano semi-sconosciuto in lizza per la nomina presidenziale repubblicana del 2024. Due cause separate sono state intentate nello Stato di New York: una da Castro presso il tribunale di Manhattan e un’altra da Jerome Dewald, un avvocato repubblicano. Castro, che originariamente aveva presentato ricorsi in decine di Stati, sostiene nelle sue cause legali che Trump non è idoneo a candidarsi ai sensi del terzo comma del 14° emendamento. L’avvocato del Texas ha inoltre affermato che subirà “danni competitivi irreparabili” in Stati come l’Alaska se all’ex presidente verrà consentito di candidarsi.

Il giudice distrettuale Irene Berger ha rigettato la causa di Castro in West Virginia, ma quest’ultimo ha presentato appello sia lì che in Arizona (dove la pratica era stata archiviata). Le sue richieste di esclusione di Trump sono state respinte in Florida, Michigan, Minnesota, New Hampshire e Rhode Island. Il giurista GOP ha volontariamente ritirato le cause presentate in California, Connecticut, Delaware, Idaho, Kansas, Massachusetts, Montana, North Carolina, Oklahoma, Pennsylvania e Utah.

Da aggiungere che in Florida il giudice federale Robin Rosenberg, nominato da Obama, ha respinto il tentativo di escludere Trump dalle primarie presentato da tre avvocati, sostenendo che i tre non avevano “legittimazione” per contestare le “qualifiche” di Trump per candidarsi alla presidenza. La causa si basava anche sulla clausola di insurrezione del 14° emendamento.

Le cause legali in Michigan e Minnesota sono state dibattute nelle locali sedi giudiziarie ma i giudici di entrambi gli stati hanno stabilito che solo il Partito Repubblicano ha il controllo su chi può partecipare alle primarie, indipendentemente dalla qualifica del candidato per la carica.

L’organizzazione liberale no-profit Free Speech for the People ha presentato ricorso contro la decisione nel Michigan, e la Corte Suprema del Minnesota ha affermato che i querelanti potrebbero presentare un ricorso separato dopo il 13 agosto 2024 qualora Trump dovesse vincere le primarie per la nomination del partito Repubblicano.

Finora l’unico tribunale che ha deciso di impedire a Trump di prendere parte alle primarie è stato quello del Colorado. La decisione emessa la scorsa settimana, è stata impugnata dal partito Repubblicano dello stato. I querelanti nel caso, Citizens for Responsibility and Ethics (CREW), hanno chiesto alla Corte Suprema federale di esaminare rapidamente il caso, sostenendo che la decisione deve essere emessa prima che gli elettori delle primarie votino il mese prossimo. Tutto quindi dipenderà dalla decisione della Corte Suprema federale. Ma i giudici della massima assise potrebbero anche decidere di non esaminare il caso e quindi la decisione del tribunale del Colorado potrebbe far testo per le decisioni degli altri Stati.

In Maine, invece, Shenna Bellows, la segretaria di stato, ha rimosso unilateralmente Trump dalle primarie. La sua decisione si applica solo alle elezioni primarie di marzo e può essere impugnata dinanzi ai tribunali statali. Una decisione che mette in mostra le incertezze per le prossime elezioni scaturite dal rifiuto di Trump di accettare la sconfitta e di bloccare la certificazione elettorale di Biden. Ed ora, a poche settimane dall’inizio delle primarie, gli Stati Uniti si trovano con due Stati dell’Unione che hanno deciso che l’ex presidente aveva complottato un’insurrezione contro il Paese che lo ha bocciato. Una situazione inaudita in qualsiasi altro momento della storia americana.

Una controversia che fa pensare perché questi tentativi di far pagare a Trump le sue responsabilità sull’assalto al Congresso si stiano ritorcendo contro il presidente Joe Biden e sui democratici. Le molteplici accuse penali che l’ex presidente sta affrontando hanno aumentato la sua popolarità tra gli elettori della sua base – ai quali poco importa la sua condotta antidemocratica. Anzi, più selvaggia è la sua retorica autoritaria e populista, più plausi riscuote tra i suoi.

L’ex governatore del New Jersey e candidato repubblicano alle primarie, Chris Christie, ha centrato il bersaglio parlando a This Morning della CNN, sostenendo che le decisioni del Colorado e Maine rendono l’ex presidente un “martire” per i suoi seguaci.

Da capire se la via del “martirio” alla fine lo porterà alla Casa Bianca o a un penitenziario federale.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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