Su una cosa democratici e repubblicani concordano: l’attuale sistema di immigrazione non funziona. Non è al passo dei tempi. Quello che divide i due partiti è il modo per riformare una vecchia legge, i cui punti fondamentali non confrontano la realtà della situazione. L’ultima riforma la fece il presidente Ronald Reagan nel 1986. Oggi gli agenti federali sorvegliano il confine con strumenti come droni, sensori elettronici e intelligenza artificiale applicando leggi scritte quando cellulari e Internet erano una novità.
Il dibattito sull’immigrazione si basa su una strana dicotomia secondo cui l’America deve decidere se onorare la sua storia e le sue tradizioni come nazione di immigrati o essere una nazione di legge e ordine bloccando anche quanti fuggono dalla disperazione della miseria, dalle violenze e dalle persecuzioni.
Si parla tanto, anzi, tantissimo. Ma si fa poco, anzi, pochissimo! È più facile per tutti, democratici e repubblicani, puntare il dito sull’altro partito e accusarlo delle storture del sistema. Ma nessuno dei due partiti ha le idee chiare sul modo per risolvere questo delicato problema.
I nemici degli Stati Uniti sono in agguato. L’11 settembre ha messo a nudo la facilità con cui si può entrare nel Paese, prendere un brevetto di pilota, dirottare un aereo e schiantarsi sui bersagli prescelti. La lotta al terrorismo ha cambiato l’equazione. Ciò nondimeno il Paese nato con l’emigrazione non può ideologicamente chiudere i cancelli a quanti chiedono la sopravvivenza.
La più recente grande riforma sull’immigrazione promulgata negli Stati Uniti, l’Immigration Reform and Control Act del 1986, era un accordo bipartisan presentato dai senatori Alan Simspson, repubblicano e Romano Mazzoli, democratico, voluta dal presidente Ronald Reagan. Una legge che ha reso illegale l’assunzione o il reclutamento di immigrati clandestini, legalizzando allo stesso tempo circa 2,7 milioni di residenti che illegalmente si trovavano negli Stati Uniti privi di documenti che erano entrati nel Paese prima del 1982. Ma pochissimi datori di lavoro rispettarono le regole imposte dalla legge e quasi 12 milioni di lavoratori dopo aver attraversato illegalmente il confine degli Stati Uniti si sono trasferiti negli Stati Uniti costituendo circa il 5% della forza lavoro del Paese. È stato inoltre stimato che circa il 70% di questi lavoratori illegali è entrato dal confine con il Messico.

Nella primavera del 2001 l’ex presidente messicano Vicente Fox e il presidente George W. Bush avevano avviato i colloqui per una nuova legislazione per regolamentare l’immigrazione, ma tutto venne bloccato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Negli anni successivi, nel 2005, la “Riforma Sensennbrenner”e nel 2006, la Comprehensive Immigration Reform Act, proposta dal senatore Arlan Specter si arenarono nelle paludi del Campidoglio perché entrambe prevedevano un’amnistia per gli immigrati illegali residenti negli Stati Uniti da almeno 10 anni che avevano lavoro e avevano creato una famiglia.
Nel 2013 ci riprovarono otto senatori, democratici e repubblicani, a cambiare la legge. La “banda degli otto” venne chiamata dai giornali popolari, includeva anche Chuck Schumer, un democratico che ora è leader della maggioranza al Senato, e Marco Rubio, repubblicano della Florida. La loro proposta avrebbe regolarizzato milioni di persone che erano entrate illegalmente nel paese e avrebbe ampliato i visti di lavoro rafforzando al contempo la sicurezza delle frontiere imponendo obbligatoriamente ai datori di lavoro di verificare lo status legale dei lavoratori.
Una misura che trovò l’appoggio della comunità ispanica e dei sindacati, ma che venne bloccata dai repubblicani alla Camera. L’allora speaker John Boehner affermò che troppi deputati diffidavano dell’amministrazione Obama per via dell’amnistia, una parola tabù per i repubblicani. Con milioni di illegali già presenti l’amnistia è il requisito essenziale per qualsiasi riforma.

Solo il presidente Obama, con un executive order dalla Casa Bianca riuscì almeno a proteggere i dreamers, i figli degli immigrati illegali nati, o portati negli Stati Uniti da bambini, che erano nei college o lavoravano. Obama varò il programma DACA (Deferred Action of Childhood Arrival) che però venne in parte bloccato dalla Corte Suprema nel 2016. Poi, dopo le elezioni di Donald Trump il programma venne ulteriormente ridotto lasciando centinaia di migliaia di giovani in un limbo giuridico. Le restrizioni vennero rimosse dopo l’elezione di Joe Biden, che come primo atto da presidente tolse le limitazioni della precedente amministrazione. Ma molti magistrati federali degli Stati del Sud hanno emesso ingiunzioni per bloccare o limitare queste agevolazioni e ancora oggi non c’è certezza per i dreamers di poter restare legalmente negli Stati Uniti.
La Casa Bianca con il presidente Biden, dopo che sono state tolte le restrizioni imposte dalla pandemia con il “Title 42”, ha cercato di portare riforme al sistema appoggiandosi a Paesi amici disposti ad ospitare quanti sono fuggiti dal loro paese. Ma sono misure tampone minuscole che non risolvono il grande problema.
Molti repubblicani vedono la tolleranza zero al confine come un modo per ottenere consensi dalla loro base elettorale. I democratici invece oscillano tra misure più rigide alle frontiere e i tentativi per umanizzare la politica per l’immigrazione. Il risultato è che tutto è rimasto come era 37 anni fa.