Giustamente concentrati sulle grandi crisi belliche nell’Europa centro-orientale e in Medio
Oriente, non si è data la giusta attenzione al risultato delle elezioni politiche in Polonia di
domenica 15 ottobre. Eppure il rivolgimento che hanno prodotto, promette un grande
significato per l’Europa in termini istituzionali politici ed economici, ma anche strategici. I
primi tre riguardano le ripercussioni sul futuro dell’Unione Europea, nell’immediato ma
soprattutto in vista delle elezioni europee del prossimo anno e della formazione della
nuova Commissione. L’altro le ripercussioni sul futuro della Nato.
Il risultato raggiunto dalle forze d’opposizione schierate dentro Coalizione Civica guidata
dall’ex Primo Ministro della Polonia (2003-2014) e del Consiglio Europeo (2014-2019),
Donald Tusk, ha spazzato via le pretese di continuità al governo del nazionalista Diritto e
Giustizia (PiS), ma anche le ambizioni ad accrescere i consensi di Konfederacja, partito
populista di estrema destra. L’ampia maggioranza raggiunta dall’opposizione all’attuale governo
che fa riferimento al partito presieduto da Jarosław Kaczyński, consentirà al 53,71% raggiunto dalla
Coalizione (Koalicja Obywatelska, centrista popolar liberale di Tusk 30,7%; Trzecia Droga, centro-
destra, 14,4%; Lewica, socialdemocratico, 8,61%) di far uscire il paese dalle secche del populismo
nazionalista e sovranista nel quale l’aveva cacciato PiS, fermato al 35,38% dagli elettori e privo di
alleati in parlamento.

Gli effetti delle elezioni sullo scacchiere internazionale sono già evidenti. A Bruxelles si festeggia, dopo i troppo lunghi anni di tensioni con Varsavia, non tanto o non solo per le legittime posizioni che il governo di Mateusz Morawiecki è andato ripetutamente assumendo contro tutta una serie di orientamenti fortemente maggioritari nell’Ue (si pensi, per un esempio, alla soluzione ipotizzata per la redistribuzione dei richiedenti asilo, molto cara all’Italia) ma per le illegittime decisioni che hanno alterato in Polonia lo stato di diritto e messo il locale Tribunale Costituzionale contro la primazia del diritto unionale.
Il nuovo governo deve fare presto a ripristinare buoni rapporti con Bruxelles, perché la Polonia
rischia di perdere i miliardi del Fondo di ripresa e resilienza congelati per le continuate violazioni
polacche dei trattati unionali. C’è da attendersi che PiS farà valere la sua forza parlamentare per
accusare Tusk di servilismo verso l’Ue e di svendita agli stranieri dell’orgoglio nazionale, in
particolare alla Germania.
Nelle elezioni per il Parlamento Europeo della prossima primavera il gioco potrebbe pagare in termini elettorali, non potrà tuttavia spezzare la spinta riformatrice che sembra a questo punto possa profilarsi nell’Europa centrale, con i punti di forza dati dalla triade Scholz, Macron, Tusk, rappresentanti di paesi che contano, anche perché hanno battuto la stagione del populismo partendo da premesse ideologiche diverse: socialdemocratiche, liberali e popolari.
L’isolamento della piccola Ungheria sarebbe a questo punto insignificante, anche se puntasse a
un’alleanza di destino con l’ancora più piccola Slovacchia.

Si festeggia anche a Berlino. Il populismo sovranista tuttora al governo a Varsavia era riuscito a
risuscitare i fantasmi del pregiudizio antitedesco, incurante del fatto che una delle ragioni fondanti
dell’Unione è di lasciar dormire il sonno eterno dell’oblio ad ogni fantasma del passato che possa
ingenerare conflitti nel presente di un’Unione che, grazie a detto principio, si è garantita pace e
benessere da quasi tre quarti di secolo.
Da un anno, la Polonia sta chiedendo alla Repubblica Federale €1,3 trilioni di compensazione per danni di guerra. Ovviamente Tusk non vorrà portare avanti una rivendicazione tanto provocatoria, preparato anche su questo punto a prestare il fianco alla futura opposizione populista. Auspicabile che a Berlino si rinunci alla tradizionale rigidità, offrendo empatia e disponibilità al nuovo governo, visto anche il bisogno di unità che attraversa l’Europa di fronte all’aggressività russa e alle minacce terroristiche che il perdurare delle tensioni in Medio Oriente sicuramente trasferirà sul pacifico suolo dell’Ue.
Una buona operazione potrebbe essere consentire ai polacchi di meglio tutelare in sede Ue i loro interessi in settori come l’energia, le foreste, il mare, le industrie considerate strategiche in particolare per il rafforzamento delle Forze Armate necessario a prevenire la minaccia russa al confine orientale.
A Mosca, al contrario, si manifesta un forte disappunto, anche perché al Cremlino si era guardato
con favore e speranza ai recenti malumori manifestati dal primo ministro Morawiecki contro
l’Ucraina, che avevano fatto pensare a un rallentamento della solidarietà con la resistenza di Kiev
che potesse spingersi sino alla cessazione della fornitura di armi. Il portavoce di Putin, Dmitry
Peskov, ha fatto sapere: “… i polacchi non ci piacciono, non sono amichevoli con noi, assumono
una posizione molto, molto ostile su tutte le questioni che ci riguardano. Questo non ci piace”.
Il nuovo governo potrebbe essere in carica a metà dicembre, dopo aver superato tutte le procedure
costituzionali previste. Si troverà di fronte un paese spaccato in due dagli anni del populismo al
potere. Il PiS di Kaczyński potrà fare affidamento sul suo forte radicamento nella Polonia orientale
e rurale, così come la coalizione del prossimo governo sul consenso che riscuote nei centri urbani e
nei territori ad occidente.
Tusk cercherà certamente di riunificare il paese, anche attraverso politiche che provino a superare le
esistenti differenze socio-economiche e culturali, ma i suoi oppositori non staranno certo a
guardare. Il “basta con Kaczyński” che ha spinto la gente ad andare a votare in massa per spedire a casa il governo nazionalista, non basterà per mantenere il consenso una volta che il governo inizierà a
lavorare.
Sul tavolo ci sono questioni spinose e divisive (fisco, welfare, istruzione privata, diritti
civili come aborto e gender) dove sarà necessario mantenere unita la coalizione e non inimicarsi la
chiesa cattolica che in Polonia, nonostante la crescente disaffezione dei fedeli, resta potente.
Ci sono inoltre gli scogli istituzionali rappresentati dal ruolo che la costituzione assegna al
presidente della Repubblica e al Tribunale Costituzionale. Quelli in funzione non risultano
esattamente in sintonia con la Coalizione ma godono di poteri che possono fermare ogni atto
legislativo del futuro governo. Si tratta di uno scenario che la Polonia ha già sperimentato sotto le
presidenze di Lech Wałęsa (anni 1993-1995) e di Lech Kaczyński (anni 2007-2010).