“Sembriamo un gruppo di idioti”, ha detto il deputato repubblicano Austin Scott alla CNN riferendosi ai suoi compagni di partito mentre annunciava la sua candidatura per la carica di speaker.
L’impasse per eleggere il capo della maggioranza repubblicana alla Camera non si sblocca, anzi, si complica.
Dopo dieci caotici giorni dalla rimozione di Kevin McCarthy, sfiduciato da otto parlamentari del suo partito legati a Trump, non si trova la soluzione.
Nel pomeriggio c’è stata una nuova votazione. Ha vinto Jim Jordan con 124 voti, ma 81 suoi compagni di partito hanno votato per Austin Scott, un alleato dell’ex speaker della Camera Kevin McCarthy. Un voto che sottolinea la profonda divisione del partito.
A gennaio c’erano volute 15 votazioni per eleggere McCarthy, costretto a fare promesse ai trumpiani dai quali poi è stato accusato di averli traditi per aver raggiunto con i democratici un accordo per l’alzamento del tetto della spesa pubblica. E da qui gli hanno tolto la fiducia.
Le elezioni interne per la scelta del sostituto di Kevin McCarthy inizialmente avevano visto emergere Steve Scalise, seconda carica del partito repubblicano. Il parlamentare della Louisiana, mercoledì aveva sconfitto il suo rivale Jim Jordan, deputato di estrema destra fortemente sostenuto da Trump. Ma la sua è stata una vittoria temporanea. Gli “irriducibili” trumpiani gli hanno negato il sostegno e lui ha gettato la spugna.
Scalise per essere eletto avrebbe dovuto ottenere 217 voti, ma dei 222 parlamentari del suo partito il gruppo di conservatori molto legati a Trump si opposti alla sua candidatura. Poi, mentre erano state intavolate le trattative per trovare i voti, lo stesso ex presidente gli ha dato il “bacio della morte”: durante una intervista a Fox News radio Trump ha detto che Scalise non poteva essere eletto “perché ha il cancro”. E alla successiva votazione i parlamentari George Santos di New York, Nancy Mace della South Carolina, Lauren Boebert del Colorado, Marjorie Taylor Greene della Georgia e Anna Paulina Luna della Florida lo hanno bocciato, citando le sue posizioni in materia di bilancio, il fatto che soffra di cancro e un discorso tenuto 20 anni fa a una convention legata a un ex leader del Ku Klux Klan come motivi per opporsi alla sua candidatura.

Questa mattina Jim Jordan, che era stato battuto da Scalise nella votazione a porte chiuse che si era tenuta mercoledì, si è ricandidato e subito dopo l’ala centrista del partito, che non lo vuole, ha spinto il parlamentare della Georgia Austin Scott a candidarsi.
Stretto alleato dell’ex presidente Donald Trump, Jordan non ha votato per certificare la vittoria del presidente Joe Biden alle elezioni del 2020. In qualità di presidente della potente Commissione Giustizia, Jordan è uno dei legislatori chiave che attualmente guida l’inchiesta di impeachment dei repubblicani alla Camera contro Joe Biden.
Austin Scott, anche se da più di 10 anni alla Camera, è relativamente poco conosciuto. È un conservatore tradizionale – che accusa il governo “degli sprechi sociali”, è contrario alla decisione delle donne di scegliere la maternità, è contrario al controllo delle armi e ai matrimoni gay – ed è un sostenitore di Donald Trump e delle sue bugie elettorali.
Non si capisce se questa inaspettata e improvvisa incursione di Scott sia un altro esempio del disordine con cui i deputati repubblicani sono alle prese da quando hanno preso il controllo della Camera a gennaio, o se si tratti di una manovra dei repubblicani moderati per boccare Jordan e aprire i colloqui con i democratici.

Gira anche la voce che per uscire da questo stallo si potrebbero conferire poteri aggiuntivi temporanei allo speaker ad interim della Camera, Patrick McHenry. Un fatto questo che consentirebbe alla Camera di funzionare – ed avviare i colloqui con i democratici per evitare lo shutdown del governo entro la metà di novembre. Ciò richiederebbe una certa collaborazione da parte dei democratici per elaborare i dettagli.
Dai democratici è arrivata la proposta di avanzare un nuovo nome in grado di raccogliere consensi bipartisan. Questa opzione, però, comporterebbe concessioni al partito di minoranza. “Siamo pronti, disposti e in grado di trovare un terreno comune bipartisan”, ha detto ieri sera il leader della minoranza Hakeem Jeffries. Jeffries ha affermato che i democratici potrebbero fornire i voti per eleggere uno speaker e modificare le regole per rendere più difficile rimuoverlo dalla carica, se il nuovo speaker concedesse più seggi ai democratici nelle commissioni e l’impegno di portare in aula proposte con il sostegno bipartisan, compreso gli aiuti all’Ucraina, a Israele e le spese annuali per evitare la chiusura.
Il deputato democratico Steny Hoyer ha detto che ci sono generalmente 300 legislatori disposti a lavorare insieme sulle grandi questioni. “Siamo prigionieri di un piccolo gruppo estremista che ha preso in ostaggio l’intero Congresso. L’unica soluzione è trovare l’accordo tra la stragrande maggioranza dei deputati moderati'”
Alcuni legislatori, tra cui la democratica Alexandria Ocasio-Cortes, ritengono, invece che cinque repubblicani potrebbero cambiare schieramento e votare per Jeffries come speaker.
Senza lo speaker la Camera non è in grado di approvare alcun disegno di legge o approvare le richieste di aiuti di emergenza della Casa Bianca. Ciò include l’aiuto a Israele nel contesto della sua lotta in corso con Hamas, così come gli aiuti all’Ucraina. Ma anche che la Camera non è in grado di approvare alcuna legge di spesa – nemmeno misure a breve termine – che consentirebbe al governo di evitare un potenziale shutdown a novembre.