Donald Trump si è schierato in favore della nomina di Jim Jordan come prossimo speaker della Camera. L’appoggio dell’ex presidente al suo stretto alleato è stato fatto tre giorni dopo che la Camera, con una decisione senza precedenti, ha votato per rimuovere il deputato Kevin McCarthy dalla carica di speaker. La decisione di Trump è un duro colpo per il leader della maggioranza repubblicana alla Camera Steve Scalise, che si era candidato anche lui, e che ha una maggiore esperienza nella leadership del partito.
Un appoggio politico questo dato a Jordan dopo che diversi parlamentari repubblicani avevano chiesto che lo stesso Trump si candidasse non ricordando che l’articolo 26 del Regolamento della Conferenza repubblicana afferma che un “membro della leadership del partito non è elegibile se incriminato per un reato per il quale può essere imposta una pena detentiva di due o più anni”. E Trump di incriminazioni penali ne ha quattro e se dovesse essere riconosciuto colpevole rischierebbe più di 400 anni di carcere. Alla Camera potrebbero sempre modificare questa regola, ma c’è bisogno di un voto che difficilmente potrebbe passare.
In questa vicenda politica che non ha precedenti nella storia americana era stata proposta anche un’altra “primizia”: i candidati repubblicani in corsa per ricoprire la carica di speaker si sarebbero dovuti affrontare lunedì sera in un dibattito condotto da Bret Baier su Fox News. Erano stati invitati il leader della maggioranza alla Camera Steve Scalise, Jim Jordan e Kevin Hern, il più moderato, che ancora però non ha annunciato ufficialmente la sua candidatura. Ma alla fine il dibattito è stato disdetto perchè, hanno detto molti repubblicani, avrebbe creato un’aria da circo.
I repubblicani alla Camera sono suddivisi in 5 differenti gruppi. Il meno conservatore, il Republican Study Committee, è quello che è guidato da Kevin Hern al quale appartengono 173 parlamentari. Tra questi anche Steve Scalise, che però nella sua posizione di leader della maggioranza del partito si è defilato. Jordan, invece, è parte dell’House Freedom Caucus, il gruppo più reazionario legato ai MAGA, del quale fanno parte 33 parlamentari.
La Camera voterà per il nuovo speaker la prossima settimana. I candidati avranno bisogno di 218 voti, o della maggioranza dei legislatori presenti, per assicurarsi la carica di speaker. Non è chiaro quanto tempo richiederà questo processo: per McCarthy sono state necessarie 15 votazioni in quattro giorni.

I repubblicani si riuniranno martedì per un forum – guidato dallo speaker pro tempore McHenry e dalla presidente della conferenza del partito, Elise Stefanik – in cui i candidati alla carica di speaker esporranno le loro visioni politiche. Il giorno successivo ci sarà il voto.
Per ora appare chiaro che i democratici voteranno contro tutti i candidati. I repubblicani hanno solo una leggera maggioranza alla Camera, il che significa che il prossimo speaker dovrà ottenere tutti i voti del GOP per essere nominato.
“Kevin McCarthy – scrive il Financial Times – non è mai stato esattamente un figlio della rivoluzione di “Make America Great Again”. L’ex speaker ha fatto nei loro confronti ripetute concessioni nel tentativo di ingraziarsi i loro consensi. Una decisione “miope” che lo ha distrutto. McCarthy è stato eletto presidente dopo 15 voti alla Camera ed è rimasto in carica solo 269 giorni. Il suo è stato il mandato più breve come speaker della Camera in oltre 140 anni. La sua ascesa e la successiva ingloriosa defenestrazione sono un’importante lezione su come stringere accordi con gli estremisti Maga e il loro leader, Donald Trump. È inutile. Qualsiasi repubblicano che sia interessato a far funzionare effettivamente il governo – invece di distruggerlo – dovrebbe imparare da questo episodio”.
In effetti per ottenere la nomina, McCarthy ha accettato di cambiare le regole parlamentari permettendo che un singolo membro della Camera potesse avviare la mozione di sfiducia. Una decisione che ha reso facile per i membri più estremisti del suo partito di bocciarlo solo per aver concordato un accordo di finanziamento con i democratici per evitare la paralisi del governo. Né Jordan, né Scalise, hanno l’appoggio dei repubblicani moderati.

“Considerata la striminzita maggioranza dei repubblicani alla Camera – scrive il Washington Post – un candidato responsabile per essere eletto avrà bisogno dei voti dei democratici”. Un fatto questo che pone una forte responsabilità anche su Hakeem Jeffries, il leader della minoranza democratica alla Camera. Da capire quali compromessi repubblicani e democratici sono disposti a fare per mantenere in funzione il governo. La posta in gioco è molto alta. Le attività federali – e la capacità dell’Ucraina di sostenere la lotta contro l’invasione russa – potrebbero dipendere dal fatto che il Congresso approvi un budget che duri più di qualche settimana. E né Jordan né Scalise sono in grado di ottenere questi consensi.
Jim Jordan è troppo legato ai MAGA per essere una scelta accettabile. La sua battaglia per mettere Dipartimento della Giustizia ed Fbi sotto accusa per le indagini su Donald Trump non trova spazi tra i dem. Il suo principale rivale, Steve Scalise, a differenza di Jordan, ha assunto una posizione più responsabile nei confronti dell’Ucraina. Ma anche Scalise, come Jordan, ha sostenuto e difeso le bugie di Trump sulle elezioni “rubate” da Biden. Solo questo probabilmente renderà impossibile per i democratici sostenerlo.
Il caos alla Camera è parte di una ben più ampia disintegrazione del sistema politico americano. Donald Trump rimane il favorito per la nomina del partito repubblicano, nonostante si trovi ad affrontare quattro distinti procedimenti giudiziari penali e la possibile perdita di gran parte del suo impero economico. Con Trump come uno dei due principali candidati, le elezioni presidenziali saranno caotiche. Un Congresso senza leader, incapace di approvare il bilancio federale, farebbe sprofondare il paese nel caos.
La soluzione migliore sarebbe che il prossimo speaker ricevesse l’appoggio dei moderati di entrambi i partiti. Se emergesse un repubblicano centrista, disposto ad affrontare gli estremisti di Maga, i democratici dovrebbero cogliere l’occasione. Altrimenti sarà l’autodistruzione.