L’assenza ingiustificata di Trump, le politiche “fallimentari” dell’amministrazione Biden (soprattutto al confine meridionale), la minaccia cinese e l’economia. Sono stati sostanzialmente questi i temi principali del secondo dibattito repubblicano, tenutosi mercoledì sera presso la Biblioteca presidenziale Ronald Reagan a Simi Valley, in California.
Un confronto al quale non ha preso parte proprio colui che, a meno di clamorose sorprese, è destinato ad ottenere l’ambita nomination repubblicana per la Casa Bianca e a ri-sfidare il democratico Joe Biden. Come già successo in Wisconsin il mese scorso, Trump ha infatti deciso di saltare il dibattito e recarsi piuttosto in Michigan per dimostrare vicinanza ai lavoratori automobilistici in sciopero – forte del maxi-margine di vantaggio che lo separa dal secondo classificato secondo i sondaggi (54% contro il 13,8% dell’ex governatore della Florida Ron DeSantis).
Nella sua dichiarazione di apertura, è stato proprio Ron DeSantis a criticare Trump – per la prima volta in maniera così aperta: non solo per essere “assente in scena” ma anche perché la sua amministrazione ha aumentato il debito nazionale di “triliardi di dollari”. “(Trump) dovrebbe essere su questo palco stasera”, ha dichiarato DeSantis ottenendo gli applausi della folla. “Vi deve una spiegazione del suo operato”.
Dopo aver evitato per mesi il confronto diretto con il leader, DeSantis è diventato improvvisamente più bellicoso – anche se i suoi indici di gradimento sono calati vistosamente da quando era generalmente visto come la migliore alternativa a Trump.
Non ha risparmiato critiche all’ex presidente nemmeno Chris Christie, ex governatore del New Jersey, che ha definito il magnate newyorkese come un uomo “spaventato” e lo ha ribattezzato “Donald Duck” (ossia Paperino) per aver saltato il dibattito.
Mike Pence, che di Trump è stato vicepresidente di dal 2017 al 2021 prima di entrarvi in rotta di collisione il 6 gennaio 2021, si è invece limitato a criticare l’accentramento dei poteri attuato da Trump in capo al Governo federale, promettendo piuttosto di restituire potere ai singoli Stati. Nikki Haley, ex ambasciatrice dell’amministrazione Trump all’ONU, ha infine disapprovato la scelta del guru GOP di aver trattato il dossier Cina solo attraverso la lente del commercio tralasciando più ampie preoccupazioni di sicurezza nazionale.
Pochi minuti prima dell’inizio del dibattito, Trump aveva ironicamente definito i suoi avversari come “candidati per un posto di lavoro” durante un discorso ai lavoratori del settore automobilistico nello Stato del Michigan, un giorno dopo che Biden si era unito a un picchetto sindacale. “Qualcuno vede un vicepresidente nel gruppo? Non credo proprio”.

Nel mirino dei candidati repubblicani ci sono stati inevitabilmente anche Biden e la sua amministrazione, specialmente in merito all’andamento dell’economia e l’emergenza al confine meridionale con il Messico. La Casa Bianca a trazione democratica è stata criticata per non aver affrontato con la giusta durezza la crisi migratoria, alimentando un numero record di attraversamenti non autorizzati alla frontiera.
Laddove Vivek Ramaswamy ha promesso di revocare la cittadinanza acquisita per i figli degli immigrati clandestini, DeSantis si è impegnato a usare l’esercito contro i cartelli messicani.
“Biden non dovrebbe essere al picchetto”, ha detto Tim Scott. “Dovrebbe essere al confine meridionale a lavorare per chiudere il nostro confine meridionale perché è insicuro, aperto e insicuro, e ha portato alla morte di 70.000 americani negli ultimi 12 mesi a causa del fentanyl”.
In tema di politica estera, invece, la maggior parte dei contendenti ha concordato sulla necessità di continuare ad aiutare l’Ucraina, anche se DeSantis ha detto che non fornirà un “assegno in bianco”. Ramaswamy ha ammonito che il sostegno a Kyiv avvicina fatalmente la Russia alla Cina – affermazioni che non sono però piaciute ai suoi colleghi, che lo hanno accusato di essere filo-Putin.