Solo nell’ultima settimana, ottomila persone sono sbarcate a Lampedusa, ottomila migranti con barche dalla Tunisia e dalla Libia: più in fretta di quanto sia possibile spostarli in altre parti d’Italia.
Questa domenica, la premier Giorgia Meloni è andata sull’isoletta a mezza strada fra Sicilia e Tunisia per accompagnare la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Entrambe con un’agenda politica, sebbene non la stessa.
Le due leader hanno parlato con i volontari, hanno passato appena dieci minuti nel –sovraffollatissimo centro di prima accoglienza, il cosiddetto ‘hotspot’, scambiando qualche battuta con i migranti. Alla fine, hanno tenuto una conferenza stampa da cui emergono visioni un po’ diverse delle soluzioni possibili. Von der Leyen, certo, ha ribadito la necessità della solidarietà europea e ha promesso aiuto per esaminare le richieste di asilo; i toni più duri li ha usati quando ha detto “voglio essere molto chiara, abbiamo un obbligo (ad accogliere) come parte della comunità internazionale, lo abbiamo assolto in passato e lo faremo in futuro, ma decideremo noi chi verrà in Unione Europea e in quali circostanze; non saranno i trafficanti”.
Trafficanti è la parola chiave qui, perché i cosiddetti scafisti o comunque coloro che fanno soldi vendendo passaggi per mare ai migranti sono, secondo Meloni, i veri colpevoli dei naufragi nel Mediterraneo (i morti in vent’anni sarebbero almeno 40mila, ma sono stime; un cimitero sotto il mare). Per la presidente del Consiglio, l’Ue deve gestire la situazione fuori dai suoi confini, facendo accordi con i paesi nordafricani da cui partono i migranti, ma anche rafforzando la sorveglianza aerea e navale dei suoi confini.
Meloni cita ad esempio l’accordo già sottoscritto – ma ancora non messo in pratica, se avrà mai attuazione – con il leader tunisino Kais Saied, negoziato in agosto proprio da lei e da Ursula von der Leyen che erano andate appositamente a Tunisi. Un accordo che sostanzialmente porterebbe a una repressione dei trafficanti in cambio di soldi.
Soprattutto, la premier italiana tiene alla sua linea: sarebbe sbagliato fare quello che chiede l’opposizione di sinistra, mirare a una riforma del regolamento di Dublino, la norma cioè che obbliga ogni migrante a chiedere asilo nel primo paese in cui è identificato, per accogliere chi arriva e redistribuire i migranti in tutti i paesi europei. Meloni non può scontentare gli alleati che in Europa siedono con lei, come il premier ungherese Viktor Orban (sostenitore della tesi della “democrazia illiberale”), che è andata a trovare la settimana scorsa, e che rifiuta ogni idea di redistribuzione dei migranti. Molto meglio fare accordi con dittatori – come quello che l’Italia ha sottoscritto con la Libia, o appunto quello con la Tunisia.

ANSA/CIRO FUSCO
Il problema è che la questione migranti è prima di tutto politica. La pressione su Lampedusa, un’isoletta in mezzo al mare, imbuto degli arrivi via mare, è fortissima: settantamila arrivi quest’anno, persone che hanno bisogno di tutto. I residenti oggi si sono ribellati alla notizia – poi rientrata – che la Croce Rossa voleva aprire una tendopoli per chi arriva. E tuttavia i numeri dei migranti totali in Italia, poco più di 120mila finora nel 2023, non sono esattamente una invasione.
Invece i migranti assurgono a simbolo di tutti i mali del mondo: la povertà, la crisi economica, le crisi identitarie, la delinquenza, tutto si potrebbe risolvere – questo dicono molti politici agli elettori – se solo non ci fossero i migranti che arrivano (e che hanno il cattivo gusto di essere spesso africani, e sempre poverissimi).
Una scadenza all’orizzonte condiziona tutto: il prossimo giugno, si vota per il rinnovo del Parlamento europeo e della Commissione. Vediamo allora chi vuole cosa: Ursula Von der Leyen – partito cristiano democratico tedesco – si ricandida al governo Ue, e come tutti non può mostrarsi morbida su una questione che è diventata il cavallo di battaglia delle destre. In sostanza, del resto, l’Europa unita e democratica fin qui non ha avuto remore a predicare il diritto ad essere accolti ma lasciare che la gente muoia in mare.
Giorgia Meloni ha i suoi guai: ora si presenta da statista, ma il suo alleato di governo Matteo Salvini, leader della Lega, da giorni batte sul tema migranti accusando implicitamente la premier di non fare abbastanza. Questa domenica, Salvini ha tenuto l’annuale raduno dei suoi a Pontida, ospite d’onore Marine Le Pen. La bionda leader della destra estrema francese ha tenuto un discorso incendiario a 360 gradi attaccando l’Unione europea che “ci impone delle politiche che non abbiamo scelto”. “Difendiamo la nostra arte di vivere, i nostri usi e costumi, le nostre tradizioni” ha gridato Le Pen. A Pontida, si vedevano magliette che inneggiavano al “blocco navale” – una promessa chiaramente inattuabile che Meloni aveva però fatto in campagna elettorale.
Meloni e Salvini – entrambi nati a destra – siedono in due gruppi diversi al Parlamento europeo. Lui vuole recuperare consensi puntando agli elettori più estremi, e si appella alla loro pancia e alle loro paure. Lei vorrebbe pescare anche fra gli elettori più moderati di Forza Italia – terzo partner di governo – ora che non c’è più Berlusconi; ma non vuole rinunciare al suo elettorato tradizionale.
In un video di sei minuti e mezzo trasmesso due giorni fa – capelli severamente tirati indietro, piglio battagliero – Meloni aveva anche avanzato una proposta: “una missione europea anche navale se necessario e in accordo con le autorità dei paesi nordafricani per fermare la partenza dei barconi, verificare in Africa chi ha diritto all’asilo e accogliere in Europa solo chi ne ha diritto secondo le convenzioni internazionali”. Pare molto improbabile però che l’Europa si impegni a una missione navale per respingere le barche di chi cerca di arrivare, e anche che sia possibile garantire il diritto d’asilo esaminando le richieste in paesi come Libia e Tunisia.
Quel che è chiaro, è che “fermare i trafficanti” è uno slogan, non una soluzione. Nessuno si mette in mare rischiando la vita se dietro di sé non si ha di peggio, e l’onda della migrazione verso il nord del mondo – come si vede anche negli Stati Uniti – non si risolve pattugliando le frontiere.