In molti hanno affermato che il risultato dei recenti incontri Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) e G20 (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea, Francia Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Sud Africa, Stati Uniti, Turchia, e Unione Europea; più l’Unione Africana da questo G20), abbiano delinea le condizioni per la “ristrutturazione” dei rapporti di forza internazionali, in direzione di maggiore capacità competitiva dei paesi emergenti e di minore potere del cosiddetto occidente.
Dall’analisi di seguito, si dedurrà che si è in presenza di uno dei tanti wishful thinking che da almeno un secolo (Spengler pubblica il primo volume di Il tramonto dell’occidente nel 1918 e lo rivede nel 1922, anno anche del secondo volume; Nietzsche sul tema aveva detto la sua già prima) a cadenza regolare armano il pensiero delle cassandre liberali e, soprattutto, dei nemici delle società “aperte”. Si vedrà al contempo, l’errore strategico di abboccare all’idea di un conflitto tra due blocchi (l’occidente e “gli altri”) che, non esistendo, non possono essere in stato di inimicizia.
I Brics si sono riuniti a Johannesburg dal 22 al 24 agosto, con all’ordine del giorno l’espansione dei membri (ci sono più di 40 richieste di adesione), la creazione di una banca di sviluppo (New Development Bank creata nel 2015 e alla quale hanno nel 2021 aderito Bangladesh, Emirati Arabi Uniti, Uae, ed Egitto non ha risolto due questioni centrali: la moneta per gli scambi, un efficace sistema di prestiti), un’efficace collaborazione economica (strutturazione condivisa di commercio e investimenti in energia, infrastrutture, digitale, mercato del lavoro).
La questione maggiormente dibattuta ha riguardato l’allargamento dei membri: nonostante la (quasi) opposizione del Brasile e l’indecisione di Sud Africa e India, la ferma posizione di Cina e Russia ha portato a prevedere sei adesioni nel gennaio 2024: Argentina, Egitto, Iran, Etiopia, Arabia Saudita, Uae. Un avanzamento ha anche registrato il progetto, spinto dal Brasile, per una valuta in grado di sostituire il dollaro come mezzo per pagamenti reciproci.

Il G20 (9-10 settembre) si è tenuto a Nuova Delhi sotto presidenza indiana, con l’auspicante titolo “One Earth, One Family, One Future”, purtroppo contraddetto dall’assenza di Xi Jinping, per nulla incline a condividere con Biden famiglia e futuro.
Fortemente concentrato su decarbonizzazione e neutralità climatica (il programma LiFE, Lifestyle for Environment è stato il fiore all’occhiello del vertice), il G20 ha lavorato per gruppi di lavoro: agricoltura, anticorruzione, digitale, disastri, sviluppo, istruzione, occupazione, ambiente e clima, transizioni energetiche, salute, commercio investimenti turismo. Nel comunicato finale, il ribadito Vasudhaiva Kutumbakam (in sanscrito, incorporato nei sacri testi indù: “il mondo è una sola famiglia”), ha reso evidente che il primo ministro indiano Narendra Modi era restato fermo sulla denuncia delle aggressioni internazionali in corso.
Proprio il modo con il quale l’India ha gestito il G20 e partecipato al Brics, manda due segnali a Cina e Russia, impegnati a immaginare un fronte che crei difficoltà a Stati Uniti e alleati.
Il primo è che in Asia, con l’India molti altri paesi (certamente Giappone e Corea, ma anche Filippine, Thailandia, Indonesia per citarne alcuni) temono le conseguenze che un’eccessiva forza economica e militare cinese potrebbe scatenare nella regione, e in quanto alla Russia hanno preso ripetute posizioni sfavorevoli all’aggressione contro l’Ucraina.
Il secondo che il multipolarismo nell’Indo Pacifico può anche essere benvenuto, purché non getti le premesse per un’egemonia regionale fondata su presupposti economici e politici nei quali le società plurali dell’area non intendono riconoscersi.
Dal che si deduce che i Brics non evolveranno in una sorta di soggetto geo-politico identitario, visto che interessi, ideologie e politiche dei membri non coincidono.
Più in generale la tentazione egemonica che in molti attribuiscono a Cina e Russia, non potrebbe tecnicamente avvalersi dei meccanismi Brics e tantomeno G20, perché non strutturati né come alleanze né come vere organizzazioni internazionali. Si guardi all’Ue, con ben altre fondamenta storiche, omogeneità culturali e politiche, condivisione di modelli economici, contiguità territoriale, per capire come i modelli cooperativi pluristati abbiano difficoltà enormi ad affermarsi come attori politici.
I raggruppamenti internazionali, quando non aggressivi, sono sempre benvenuti. Ma il dibattito velleitario in corso nell’ambito dei paesi emergenti richiama, per certi versi, quello che per qualche decennio animò i cosiddetti Non Allineati. Pur avendo a disposizione leader politici di ben altro calibro – Tito, Nasser e i Nehru, su tutti – non riuscirono mai a incidere sul sistema bipolare, complici anche certe ambiguità mantenute verso la Russia (Orwell avrebbe detto: di socialismo non ne vogliono sapere, ma tifano Urss).
Proprio nella Russia si trova l’altro elemento di debolezza di un supposto protagonismo antisistema dei Brics.
Putin, oggetto di un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale per crimini che attendono il giudizio delle nazioni, a Brics e G20 si è fatto rappresentare dal ministro degli Esteri Lavrov, parlando ai Brics in videoconferenza. Si ammetterà che si tratti di un handicap non da poco, che squalifica chi vorrebbe mettersi a capo di una coalizione internazionale che dovrebbe modificare l’attuale ordine internazionale. La debolezza personale di Putin si aggiunge a quella del complesso militare-industriale russo, che fallì in passato con gli Afghani, come sinora sta fallendo con gli Ucraini, per carenze in uomini e mezzi e soprattutto nel morale degli effettivi mandati in casa d’altri a combattere guerre d’aggressione.
Nella sua frustrazione, il padrone del Crelino afferma che il “neo-liberalismo” degli occidentali ha minacciato i valori tradizionali nei paesi in sviluppo e impedito l’emergere di un mondo multipolare dove nessun paese o blocco domini. Detto dalla Russia che invade le nazioni al fine di dominarle, la frase suona propagandistica e risibile. Fortunatamente in giro non si vedono stati significativi pronti a seguirla nella paranoia.
Gli stessi cinesi, al di là dei proclami, stanno saggiamente alla larga dall’avventurismo del Cremlino, e competono con gli Stati Uniti con ben altra serietà e su tavoli di tutt’altra rilevanza. Il presidente Xi è inoltre personalmente impegnato a non far fallire il suo progetto “Via della Seta” sul quale Pechino tanto ha investito in termini finanziari e politici.