La politica americana ha la tendenza ad etichettare tutto: fa parte del marketing elettorale. Uno slogan che fa presa sull’elettorato vale cento comizi. I messaggi “It’s the economy, stupid” di Bill Clinton o quello di Obama “Yes, we can” sono stati determinanti nelle elezioni presidenziali. Trascinano le masse ai seggi elettorali.
Il marketing politico ha inventato anche il “parcheggio” per i politici incerti, quelli che vorrebbero fare il passo lungo, ma non sanno se hanno, o avranno, il supporto politico ed economico per affrontare una elezione nazionale.
La politica americana è così volubile che basta solo la possibilità di prendere in considerazione una possibile candidatura, che si forza il partito, o i candidati già in lizza, a concessioni che altrimenti non si riuscirebbe ad ottenere. Un “parcheggio” inventato alcuni anni fa dal movimento “No Labels”, la politica senza etichette, che cattura le simpatie dei repubblicani e democratici scontenti proponendo un centrismo al di fuori degli schemi dei due partiti.

Ad un evento promosso dai No Labels accorreranno questa sera il senatore democratico Joe Manchin della West Virginia e l’ex governatore repubblicano dello Utah Jon Huntsman, che risponderanno alle domande degli elettori al Saint Anselm College di Manchester nel New Hampshire. Un incontro che alimenta le voci che i due stiano prendendo in considerazione di formare il proprio ticket presidenziale per le elezioni del 2024, creando un “terzo polo”, come fece Ross Perot nel 1992 e nel 1996. Un “terzo incomodo” che ottenne il 18% dei voti, senza aggiudicarsi neanche un collegio elettorale, trascinando nella sua sconfitta le speranze elettorali di George Bush padre e quelle del senatore John Dole.
Joe Cunningham è un ex membro democratico del Congresso e membro attuale dei No Labels. Cunningham afferma che l’evento di questa sera prenderà in considerazione numerose controversie politiche come aborto, sicurezza al confine e l’economia. Cunningham assicura che non sarà l’avvio di una campagna presidenziale ma di un esame dei No Labels per cercare nel mondo politico se ci sia una possibilità per respingere la polarizzazione attuale per trovare candidati accettabili da entrambi i partiti. I sondaggi dei No Labels mostrano che più americani vogliono soluzioni bipartisan e non sono entusiasti di una rivincita tra il presidente Joe Biden e l’ex presidente Donald Trump. “Vogliamo altre opzioni “, ha detto Cunningham. Il quale, però, non ha voluto dire chi siano i finanziatori del suo gruppo affermando che non è importante saperlo perché i No Labels non sono un partito politico ma un gruppo senza scopo di lucro. Una mancanza di trasparenza che ovviamente alimenta le congetture che i No Labels possano essere un gruppo di disturbo per influenzare il risultato del prossimo anno.
Un nuovo sondaggio condotto da Prime Group, un’azienda politica critica nei confronti di No Labels, mette in evidenza che se il gruppo non sosterrà nessun candidato, il presidente Biden vincerà la rielezione presidenziali del 2024. “Di sicuro non faremo nulla per far vincere le elezioni a Donald Trump”, ha detto Cunningham.
Le decisioni di Manchin hanno una lunga storia di politica locale, personalismi e opportunità. Con il senato diviso tra 50 democratici e 50 repubblicani basta un solo “no” per bloccare le proposte della Casa Bianca. E Manchin ha voluto fare l’ago della bilancia e di no ai programmi di Biden ne ha dati tanti: dal Build Back Better, alla riforma del filibustering, alla riforma della polizia.

Minacciando di passare al partito repubblicano ha imposto i suoi no. Ma il mandato del senatore scadrà nel 2025. E il governatore del suo Stato, il repubblicano Jim Justice, si è candidato al suo seggio. Il suo ostruzionismo all’agenda di Biden, soprattutto alle energie alternative, gli è costato l’appoggio degli ambientalisti. Così come il suo voto per togliere i fondi federali a Planned Parenthood, l’organizzazione non profit che difende i diritti delle donne nella scelta della maternità, o quello contrario all’Affordable Care Act. Criticato per la sua contrarietà alle agevolazioni sociali e per la sua tolleranza con l’industria estrattiva del carbone (è proprietario di una azienda di mediazione del fossile).
I suoi capricci non sono piaciuti al partito Democratico che per la sua rielezione ha stretto i cordoni della borsa. Le sue minacce di passare al partito repubblicano scontentano anche il Gop che con il suo salto otterrebbe la maggioranza almeno temporaneamente fino alle elezioni del 2024, ma ugualmente sarebbe un candidato troppo “pesante” da poter gestire e il partito gli preferisce Jim Justice. In pratica Manchin è scomodo al Senato sia per i democratici che per i repubblicani. Starà a lui decidere ora se fare l’ultimo dispetto a Biden e candidarsi per la Casa Bianca senza nessuna possibilità di successo, se saltare nel partito che per 40 anni ha criticato, o rientrare nei ranghi. Ma la politica americana ci ha insegnato che in tempo di elezioni nulla è impossibile.