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June 14, 2023
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Trump sotto processo: tutti gli scenari nel caso venisse condannato

Per il consigliere speciale Jack Smith il problema più grande non è l'ex presidente, ma il tempo

Massimo JausbyMassimo Jaus

Former US President Donald J. Trump speaks outside at Trump National Golf Club, in Bedminster, New Jersey, USA, 13 June 2023 - ANSA/EPA/Peter Foley

Time: 4 mins read

Sarà una lotta contro il tempo quella che vedrà impegnati gli avvocati di Donald Trump e gli inquirenti federali a Miami. Dopo l’incriminazione di ieri l’ex presidente, nel giorno del suo 77esimo compleanno, è arroccato nel suo club di Bedminster in New Jersey a colloquio con i suoi avvocati per cercare la strategia per poter replicare in tribunale ai 37 capi di accusa per cui è stato rinviato a giudizio. Per ora gli insulti agli inquirenti e il veleno che sparge contro Biden catturano la simpatia, e i soldi, dei suoi sostenitori, ma per lui questa volta la battaglia sarà in tribunale e non con l’opinione pubblica. 

C’è una ragione per cui il consigliere speciale Jack Smith, sempre parco di parole, ha affermato nei giorni scorsi che il Dipartimento di Giustizia è intenzionato a perseguire “un processo rapido”.  Messaggi chiari a quanti invece vorrebbero rallentare il procedimento. E soprattutto al magistrato federale che presiederà il giudizio. 

Per Jack Smith il problema più grande non è Trump, ma il tempo. Il Dipartimento di Giustizia ha seguito a lungo una regola non scritta secondo cui non dovrebbe intraprendere azioni 90 giorni prima delle elezioni perché il procedimento o le indagini relative ad una inchiesta potrebbero influenzare l’elettorato. Una regola che però ha avuto eccezioni come fu nel 2016 con l’allora direttore dell’Fbi James Coney che, a pochi giorni dalle presidenziali, riaprì le indagini sulle email di Hillary Clinton e lo notificò per lettera al Congresso. 

Senza dubbio gli avvocati di Trump cercheranno di allungare il più possibile i tempi del procedimento giudiziario che inevitabilmente cadrà durante la sua campagna presidenziale, perché Trump, anche se è in attesa di giudizio, libero senza cauzione, potrà continuare ad essere candidato. E per lui c’è un precedente, il socialista Eugene Debs nel 1920, condannato e in prigione ad Atlanta, che svolse dal carcere la campagna presidenziale contro Harding. 

Eugene Debs – wikimedia

Le elezioni primarie partiranno la prima settimana di febbraio 2024. Il che significherebbe per il processo di Trump a Miami che i giurati dovranno emettere il verdetto non oltre i primi di novembre. Quattro mesi per preparare e dibattere un procedimento penale contro un ex presidente.

Una situazione paradossale quella che si è creata che apre scenari hollywoodiani, con un presidente eletto ma non ancora in carica, che se dovesse essere condannato prima del giuramento potrebbe svolgere il suo ruolo non più dall’Ufficio Ovale, ma dalla cella di una prigione federale o, in caso di arresti domiciliari, dalla residenza coatta alla Casa Bianca.

Panorama differente, invece, se Trump dovesse essere eletto e si insedierà alla Casa Bianca prima che venga emesso un verdetto di colpevolezza. In questo caso potrebbe bloccare il procedimento perché il dipartimento della Giustizia risponde al presidente in carica. Le accuse statali, come quelle di New York e quelle che dovrebbero essere formulate in Georgia, rimarrebbero in vigore, perché non sono sotto l’autorità federale e Trump non potrà bloccarle. Se, tuttavia, Trump dovesse essere condannato dal tribunale federale prima di entrare in carica – il che è possibile – si entrerà in un territorio inesplorato. Nella Costituzione non c’è nessun riferimento che un criminale condannato non possa essere presidente. La Corte Suprema dovrebbe quindi decidere se il presidente possa perdonare sè stesso. E dalla commedia si passerebbe alla farsa. 

I contendenti repubblicani stanno già suggerendo che se l’elettorato repubblicano sceglierà loro, potrebbero perdonare Trump se verranno eletti. Potrebbe significare che Smith potrebbe non vedere mai una giuria in questo caso, per non parlare di un verdetto di colpevolezza. Ed ecco perché Smith invoca un processo rapido. 

Se invece il processo inizierà dopo le elezioni e Trump dovesse perdere nuovamente contro Biden per lui sarebbe la fine. E non solo delle sue aspirazioni presidenziali. I procedimenti giudiziari che dovrà affrontare lo inseguono. Per lui l’unica salvezza resta la rielezione, o come ultima possibilità, quella che venga assolto. Ma sono pochi a crederci. I suoi avvocati per primi.

One of a few supporters of former US president Donald J. Trump talks with reporters near Trump Tower in New York, New York, USA, 03 April 2023 ANSA/EPA/JUSTIN LANE

Molto dipenderà da quello che deciderà il magistrato Aileen Cannon, giudice nominato da Donald Trump che presiederà il processo. Secondo il New York Times  il giudice ha una limitatissima esperienza. Quarantaduenne è magistrato dal novembre 2020. Un database di Bloomberg Law elenca 224 casi penali che in due anni le sono stati assegnati. Ma i numeri hanno poco valore.  Una revisione fatta dal New York Times ha scoperto che solo quattro dei 224 casi di cui si è dovuta occupare sono finiti con un processo. In tutti gli altri ci sono stati patteggiamenti per ridurre la condanna. Ed i quattro processi erano casi criminali ordinari in flagranza di reato, come quello di un pregiudicato arrestato per possesso illegale di una pistola, oppure l’aggressione in aula ad un pubblico ministero federale, l’arresto di trafficanti di esseri umani catturati su una barca dalla Guardia Costiera al largo della Florida, e una frode fiscale per 15 mila dollari. 

 Il New York Times ha stabilito che sommando la fase processuale di tutti i quattro i procedimenti da lei giudicati il giudice Cannon ha 14 giorni di esperienza processuale.  “Il caso Trump solleverà – scrive il New York Times  – una miriade di complessità giudiziarie che rappresentano una sfida per qualsiasi esperto giudice, figuriamoci per uno che come Aileen Cannon non ha nessuna competenza sull’Official Secret Act. Si prospetta una battaglia legale sul modo in cui le informazioni classificate possano essere utilizzate come prova ai sensi del Classified Information Procedures Act, una legge sulla sicurezza nazionale. Cose che il giudice Cannon non ha mai trattato prima”. 

Inoltre fanno notare i giornali fu proprio lei l’anno scorso a decidere di rinviare l’esame del materiale sequestrato nella perquisizione dell’Fbi in Florida nominando un supervisore. Decisione che fu poi ribaltata dalla corte d’appello con una umiliante motivazione. E sarà lei a stabilire la data per il processo. E anche in questo caso qualsiasi sua decisione potrà essere contestata dagli avvocati di Trump che con mille cavilli cercheranno con le loro mozioni di rinviare e allungare i tempi per evitare che il processo parta prima delle elezioni presidenziali.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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