La vicenda dei documenti Top Secret di Biden quando era vicepresidente dell’Amministrazione Obama, scovati dai suoi avvocati in un ufficio che allora Biden usava quando insegnava alla University of Pennsylvania, sta per esplodere alla Camera. Per ora la Casa Bianca è solo sfiorata dalle velate accuse, ma è la calma che precede la tempesta.
I documenti del 2013-2016 trovati casualmente a novembre scorso dagli avvocati del presidente mentre impacchettavano le carte per la ristrutturazione degli uffici sono stati mandati ai National Archives che ha informato il Dipartimento della Giustizia. Le conseguenze politiche sono inevitabili.
Anche se il comportamento di Biden e dei suoi avvocati è stato lineare, Donald Trump ha lanciato dal suo social un attacco al Dipartimento della Giustizia accusandolo di non aver perquisito la casa del presidente.
Le due vicende non sono lontanamente paragonabili. Da una parte un ex presidente che non risponde agli inviti dei National Archives di restituire i carteggi Top Secret che nasconde e più volte dice di non avere. Dall’altra un presidente che non ricorda neanche dell’esistenza di questi documenti di quasi dieci anni fa, e che come è stato informato del loro ritrovamento li ha fatti restituire ai National Archives. Due comportamenti completamente opposti. Ma la politica ha la magia di trasformare un errore, o una dimenticanza, in uno scandalo, specialmente se lo sbaglio viene strumentalizzato dall’opposizione.
Negli anni recenti lo si è visto con le email di Hillary Clinton che usava le sue linee private invece di quelle del Dipartimento di Stato. Una mancanza di disciplina che molto probabilmente le ha fatto perdere la Casa Bianca in una vicenda ampiamente strumentalizzata dall’opposizione che ha cavalcato le indagini federali. Ma i repubblicani sanno perfettamente quando la fortuna li aiuta e ricevono un regalo inaspettato.

Ed è per questo che il ministro della Giustizia Garland oggi ha insistito sul fatto che le indagini sui documenti top secret di Biden andranno dove le prove e la legge lo richiederanno. E inevitabilmente la questione dei documenti di Biden, se non si intraprenderanno le stesse indagini applicate per Trump, susciterà le critiche dei repubblicani per aver usato un doppio standard.
Il caso intensificherà poi le accuse latenti tra la nuova maggioranza della Camera e la Casa Bianca. I repubblicani sono pronti a scatenare una massiccia indagine su questa vicenda per screditare Biden e distrarre l’opinione pubblica dai comportamenti di Trump. Un’offensiva facilmente prevedibile, data la forte sudditanza psicologica dei gruppi conservatori ancora saldamente tenuti in pugno dall’ex presidente e dalle concessioni date da McCarthy agli irriducibili del suo partito per ottenere il loro voto per eleggerlo speaker della Camera.
Tra le nuove regole della Camera approvate lunedì, ad esempio, c’è anche la formazione di una sottocommissione che avvierà indagini sulle agenzie federali come l’FBI o il Dipartimento di giustizia, accusate dai repubblicani di essere un’arma politica dei democratici. Una mossa che consolida la svolta del GOP sull’FBI, una volta vista come una delle agenzie più conservatrici del governo degli Stati Uniti, causata dalle ripetute affermazioni di Trump di essere stato illegalmente preso di mira dalle loro indagini, anche se i direttori sono stati nominati dai suoi ministri della Giustizia. Inoltre Trump ha tentato, senza riuscirci, di utilizzare il Federal Bureau of Investigation come arma da lanciare contro i suoi avversari politici.
Il controllo e la supervisione di un’agenzia investigativa così fondamentale per preservare la legge e l’ordine e la democrazia nel Paese sono inevitabili e desiderabili. Ma come sempre, quando nelle indagini entra la politica, ci si chiede quando la vera supervisione si fermi e inizino le inchieste politicamente motivate.

Il congressman repubblicano Jim Jordan, ad esempio, che sarà nominato presidente della Commissione Giustizia della Camera, è stato un attore di primo piano in una precedente indagine voluta dai repubblicani sulla morte dell’ambasciatore statunitense in Libia Chris Stevens e di altri tre americani uccisi da militanti islamici a Bengasi nel 2012. L’inchiesta condotta dal GOP ha evidenziato l’inerzia burocratica, la mancanza di intelligence, il rapido peggioramento della sicurezza in Libia e le inadeguate risorse per difendere l’ambasciata.
Mancanze che non hanno prevenuto l’invasione e gli omicidi nell’ambasciata. Ma Jordan non soddisfatto dalle conclusioni contenute nel rapporto finale che non colpevolizzavano Hillary Clinton, che era l’allora Segretario di Stato, pubblicò un suo rapporto molto più critico, insieme all’allora deputato Mike Pompeo, che in seguito divenne lui stesso Segretario di Stato. In quell’occasione McCarthy si vantava che l’indagine avesse danneggiato la campagna presidenziale di Hillary Clinton del 2016, rivelando apparentemente le motivazioni politiche dietro l’indagine del Congresso.
Oltre alla tempesta sui documenti classificati trovati negli uffici di Biden, un obiettivo chiave della nuova maggioranza della Camera GOP sarà quello di screditare la Commissione d’Inchiesta della Camera che ha indagato sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio. Nel rapporto finale è stato dipinto un quadro che non lascia dubbi sul comportamento di Trump dopo le elezioni del 2020 e prima del tentativo insurrezionale.
Il fatto che molti degli attuali parlamentari, incluso lo stesso speaker, abbiano votato per negare la certificazione della vittoria elettorale di Biden sulla base delle bugie elettorali che Trump usava per cercare di usurpare il potere, evidenzia la strumentalizzazione della vicenda e sulla natura partigiana delle indagini repubblicane.