A coronamento di una lunga battaglia politico-legale dovuta all’ostruzionismo GOP, venerdì i deputati del Partito Democratico hanno pubblicato sei anni di dichiarazioni dei redditi dell’ex presidente Donald Trump.
Le dichiarazioni, che presentano dati personali sensibili come i numeri di previdenza sociale e di conto corrente bancario, coprono gli anni dal 2015 al 2020. Il dossier consta di oltre 6.000 pagine, di cui più di 2.700 riguardano dichiarazioni individuali di Donald Trump e di sua moglie Melania, e altre 3.000 riguardano le società commerciali del magnate newyorkese. Quello che emerge non è la brillantezza dell’imprenditore di successo, ma di un uomo che ha vantato verbalmente ricchezze che non aveva e successi commerciali mai raggiunti, anzi lo ha fatto per nascondere disastri finanziari destinati a rovinargli l’immagine dell’uomo che non sbaglia mai e del politico vincente che invece ha perso tutte le elezioni tranne quella del 2016 nelle quali è stato coinvolto o ha preteso di esserlo scegliendo i candidati.
A decidere formalmente per la pubblicazione è stata, la scorsa settimana, la Commissione parlamentare per i bilanci del Congresso – che è in maggioranza democratica fino al 1° gennaio. I repubblicani hanno protestato veementemente, argomentando che la pubblicazione avrebbe creato un pericoloso precedente per il diritto alla privacy.
Lo stesso Trump ha lottato per anni in tribunale per mantenere private le sue dichiarazioni dei redditi – sia quando era presidente sia quando era candidato. Tuttavia, il mese scorso la Corte Suprema aveva stabilito che l’ex presidente fosse obbligato a fornirle alla Commissione che si occupa di redigere le leggi fiscali.
I reporter di tutto il mondo sono al lavoro per analizzare le centinaia di migliaia di dati emergenti dai documenti, così da vederci chiaro sulla correttezza fiscale dell’uomo che aspira a tornare alla Casa Bianca nel 2024.