Tra dieci giorni, l’8 novembre, circa 170 milioni di americani voteranno, chi di persona, chi per posta, per le elezioni di midterm, che letteralmente sono le elezioni di metà del mandato presidenziale e per questo vengono lette come una sorta di referendum sull’operato del presidente in carica. Ma quest’anno è differente: ci sono in gioco altri fattori che per un verso o per un altro condizioneranno le scelte dell’elettorato.
Si voterà per rinnovare un terzo del Senato, l’intera Camera dei Rappresentanti, 36 governatori e una miriade di altre cariche politiche locali come sindaci, magistrati, sceriffi e funzionari locali.
Il Senato e la Camera dei Rappresentanti costituiscono rispettivamente i due rami legislativi del Congresso, i cui membri restano in carica per 6 anni al Senato, e per 2 alla Camera. Ogni due anni si rinnova totalmente la Camera, e un terzo del Senato. Quest’anno i seggi al Senato che dovranno essere rinnovati sono 35.
I senatori sono 100: due per ogni Stato dei 50 che formano gli Stati Uniti. Il Senato è attualmente diviso equamente tra 50 democratici (compresi gli indipendenti Angus King, del Maine e Bernie Sanders del Vermont) e 50 repubblicani. I democratici hanno la maggioranza solo perché in caso di parità il voto del presidente del Senato, che è istituzionalmente quello del vicepresidente degli Stati Uniti, in questo caso di Kamala Harris, è decisivo per rompere l’equilibrio. Ma al Senato per passare le leggi che non siano solo di bilancio c’è bisogno della maggioranza qualificata con il voto di 61 senatori. Un fatto questo che non avviene dal 1975, dopo che i democratici in seguito alo scandalo del Watergate ottennero la maggioranza sia alla Camera che al Senato.
Per più di 30 anni, fino alle elezioni del presidente Barack Obama nel 2008, democratici e repubblicani avevano mediato, trattato, negoziato e la politica con il suo do ut des aveva fatto il suo corso. A rompere gli equilibri la gravissima crisi finanziaria del 2008, che mise il Paese in ginocchio, e le successive contromisure passate da Obama per cercare di evitare che le grandi banche e le mega-corporation tenessero nuovamente in ostaggio la nazione. Oltre a questo, la riforma sanitaria voluta dall’allora presidente che offriva a tutti gli americani la possibilità di avere una mutua.
Decisioni che coalizzarono i gruppi più reazionari del Paese che lanciarono una campagna di demonizzazione dei valori sociali che l’amministrazione Obama intendeva raggiungere culminata poi con l’elezione di Donald Trump alimentando una pericolosissima polarizzazione della retorica politica che, quattro anni dopo non accettando la sconfitta alle urne, ha deciso per il confronto il cui risultato finale, come si è visto, è esploso nel tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021.

IL SENATO
In queste elezioni ci sono in ballo 35 seggi. I senatori rappresentano l’intero Stato in cui sono stati eletti. Tutti i sondaggi danno i due partiti in parità: le sfide più grandi si giocherebbero in Arizona, Wisconsin, New Hampshire, Georgia, Pennsylvania e Nevada.
I democratici sono convinti che manterranno la maggioranza, dovendo difendere solo 14 seggi, mentre i repubblicani ne devono difendere 21, per i quali hanno presentato candidati di poco spessore politico come Herschel Walker in Georgia o J. D. Vance in Ohio.
Il margine di errore nei sondaggi è del più o meno 1.5%. Deciderà l’affluenza alle urne poiché l’elettorato più numeroso è quello iscritto al partito democratico.
LA CAMERA DEI RAPPRESENTANTI
Sono 435 i seggi per cui si vota alla Camera dei Rappresentanti. Qui, secondo diverse analisi, saranno i repubblicani a spuntarla. È importante però sottolineare come, nelle ultime settimane, il partito di Biden abbia ripreso leggermente terreno: a settembre le chances di vincere per i democratici erano stimate intorno al 25%, a inizio ottobre intorno al 35%.
Si tratta comunque di una questione di pochi seggi: l’Economist prevede una vittoria del GOP con 221 seggi, contro i 212 dei dem. Due seggi sono vacanti: dovuti alla morte della congresswoman Jackie Walorski e alle dimissioni di Charlie Crist (che tenta di spodestare il governatore Ron De Santis in Florida). Anche Politico e FiveThirtyEight prevedono una vittoria dei repubblicani alla Camera.
I congressmen sono in proporzione alla popolazione nello Stato. Negli Stati con pochi abitanti come Alaska, Delaware, Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont, e Wyoming c’è un solo congressman in rappresentanza di tutto lo Stato.
Storicamente, il partito del presidente in carica perde quasi sempre seggi alla Camera alle elezioni di metà mandato. Ma quest’anno nella disputa elettorale si sono inserite di prepotenza due varianti: la decisione della Corte Suprema sull’interruzione della maternità e le divisioni interne nel partito repubblicano tra i candidati scelti dall’ex presidente Donald Trump e il partito. E su questo il voto degli indipendenti giocherà un ruolo determinante e imprevedibile, perché più del 60 % degli americani sono favorevoli al diritto delle donne nella scelta della maternità
Secondo un sondaggio del New York Times e del Siena College, il 49% degli elettori statunitensi sceglierà un rappresentante repubblicano in una delle due Camere, contro il 45% di chi ha segnalato l’intenzione di votare per un democratico. Ma la partita sembra in realtà molto incerta.
Se i repubblicani vinceranno alla Camera, saranno ben posizionati per bloccare gran parte del programma legislativo di Joe Biden, rendendolo un’anatra zoppa, un termine per definire come gli ultimi due anni della presidenza siano tutti in salita per il capo della Casa Bianca.
Se dovessero ottenere anche la maggioranza al Senato, i repubblicani sarebbero in grado di bloccare le nomine di gabinetto e quelle giudiziarie, sia per i magistrati federali, inclusi quelli della Corte Suprema, sia per gli ambasciatori.

I GOVERNATORI
Le elezioni di metà mandato sono un appuntamento importante anche a livello locale: vengono eletti anche 36 governatori, su un totale di 50. Trentaquattro Stati eleggono la propria guida per quattro anni. Il Vermont e il New Hampshire eleggono i propri governatori per un mandato biennale (una volta con le elezioni presidenziali, e una volta con le elezioni di midterm). Vengono eletti inoltre i membri delle assemblee legislative degli Stati membri e degli organi di contea per un mandato di due anni e i sindaci di diverse città.
Gli INDIPENDENTI
Il clima politico è teso. La costante ruggine tra Democratici e Repubblicani ha alimentato il “non partito” degli indipendenti. Il 43 percento degli elettori, infatti, non è iscritto a nessuno dei due partiti. E sono loro che fanno la differenza.
Il New York Times scrive di come i maggiori problemi siano quelli economici. La maggior parte dei cittadini che non hanno una preferenza politica ben definita, scrive l’influente quotidiano di New York, potrebbe votare per i repubblicani proprio perché considerati – al momento – più affidabili su questioni economiche, anche se fa notare che l’inflazione e i costi energetici sono un problema globale derivati dalla pandemia e dalla guerra tra Russia e Ucraina. Inoltre, afferma il New York Times i repubblicani hanno criticato le scelte economiche di Biden, ma dopo le critiche non sono stati in grado di presentare un piano economico per la ripresa migliore di quello messo in atto da Biden. In politica la critica è facile, il difficile è trovare le soluzioni, ma molti elettori si fermano alla prima fase.