Xi Jinping è molto più forte. Taiwan molto più debole. Da poche ore il presidente cinese, oltre ad essere stato investito all’unanimità di un terzo mandato quinquennale, è stato indicato anche nella costituzione del partito comunista cinese come “nucleo” del partito stesso. Solo a Mao venne concessa questa possibilità e significa che d’ora in avanti ogni pensiero di Xi diventerà dottrina.
Chi prova ad opporsi infatti potrebbe venir accusato di mettersi in contrapposizione con lo stesso PCC. La Cina è praticamente sotto il suo unico comando. Il politburo col suo ufficio permanente, l’organo di decisione più influente del PCC e dell’intera Cina, ha sostituito 4 dei suoi sette membri e gli entranti sono tutti uomini di Xi, come l’attuale ambasciatore cinese a Washington Quin Gang che lascia la diplomazia diretta in Usa per entrare direttamente nella stanza dei bottoni.
Ma anche dietro una coreografia perfetta e studiata da mesi non sono mancati drammatici colpi di scena in diretta tv alla conclusione dei lavori del Congresso, quando due uscieri energumeni hanno accompagnato a forza fuori dalla sala l’ex presidente cinese Hu Jintao, il predecessore di Xi, che sedeva al suo fianco e non se ne voleva andare nell’umiliazione generale, tentando di aggrapparsi agli altri dirigenti in prima fila tutti con gli sguardi pietrificati e immobili davanti ai 2300 delegati che hanno votato ogni decisione all’unanimità.
Le silenziose purghe di Xi e la calcolata e attesa resa dei conti potrebbe avere effetti notevoli nel nuovo equilibrio del corso cinese, molto meno incline al libero mercato come in passato e molto più interessato a riportare sotto l’ala e il controllo del PCC tutte le grandi realtà economiche, industriali, militari, sanitarie e ambientali del paese.
Nella costituzione che è stata cambiata c’è anche un espresso riferimento a Taiwan che “avrà mai la sua indipendenza” e potrebbe veder minacciata anche l’attuale autonomia. Se Putin invadendo l’Ucraina ha sancito il suo ruolo di dittatore e si è isolato a livello internazionale, Xi Jinping con l’avallo del Congresso che oggi lo incoronerà nuovamente segretario generale del partito/stato, facendo saltare ogni limite di mandato nei suoi confronti, ha consolidato invece quello di Imperatore comunista del ventunesimo secolo.
Con questi nuovi assetti cosa cambierà allora nel rapporto con gli Usa?
A leggere tra le righe gli elenchi di chi entra e chi esce, colpisce che sia stato allontanato chi sosteneva solo nel gennaio scorso l’”amicizia senza limiti” della Cina con la Russia di Putin e colpisce ancora di più l’astensione cinese in Consiglio di Sicurezza sulla condanna a Mosca, sostituita ogni volta dalla difesa dell’integrità territoriale e da un sempre più esplicito riferimento alla pace e al negoziato tra Mosca e Kiev.
Biden al G20 di Bali a fine novembre, e soprattutto dopo le elezioni di medio termine, potrebbe non incontrare Putin, ma sarebbe un segnale preoccupante se non avesse un faccia a faccia con Xi, perché rimangono loro i due più importanti interlocutori mondiali. Anche in tempo di guerra.