Non era poi così rosea la relazione tra Donald Trump, la figlia Ivanka e suo genero Jared Kushner. Anzi, l’ex presidente non li voleva proprio alla Casa Bianca, ma non aveva il coraggio di dirglielo di persona e li voleva allontanare dai loro ruoli di consiglieri senior con un tweet. Lo bloccò l’allora capo dello staff della Casa Bianca, John Kelley, che dopo ore di conversazioni lo riuscì a calmare e gli consigliò di parlare con loro prima di licenziarli.
Lo scrive la giornalista del New York Times Maggie Haberman nel suo nuovo libro Confidence Man, in uscita il prossimo 4 ottobre, e del quale il Washington Post ha ottenuto in anteprima una copia
John Kelly alla fine riuscì a convincere Trump – scrive la Haberman – che avrebbe dovuto parlare con la figlia e con il genero prima di allontanarli dalla Casa Bianca. Trump accettò la richiesta di Kelly “ma poi non ha mai dato seguito alla conversazione”. Però l’ex presidente aveva ripetutamente dato istruzioni “di considerare licenziata la coppia” durante gli incontri che Ivanka e Jared avevano con Kelly e con l’allora consigliere della Casa Bianca Don McGahn, ha scritto la Haberman. Ma sia Kelly che McGahan non seguirono le istruzioni di Trump perché erano sicuri che una volta allontanati dal cerchio ristretto della Casa Bianca l’allora presidente non li avrebbe sostenuti e avrebbe scaricato su di loro la responsabilità dell’emarginazione”.

Non è chiaro se Trump stesse solo facendo un po’ di teatro con i suoi commenti o intendesse effettivamente licenziare la figlia e il genero, e nemmeno il motivo per cui li volesse allontanare dalla Casa Bianca. Ivanka Trump e Jared Kushner non hanno preso stipendi per i loro ruoli alla Casa Bianca, sostenendo che fosse un dovere pubblico, ma secondo quanto riferito hanno comunque incassato centinaia di milioni di dollari di entrate esterne durante il loro servizio.
In Confidence Man: The Making of Donald Trump and the Breaking of America, la Haberman ben racconta il caos che regnava alla Casa Bianca quando Trump era presidente, con nuovi dettagli su come l’ex inquilino della Casa Bianca non volesse denunciare i suprematisti bianchi nella dimostrazione di Charlottesville in Virginia, schernendo il peggioramento della salute del giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg prima della sua morte nel 2020, che gli ha permesso di nominare un terzo magistrato alla massima assise federale.
Ma il libro di Haberman va oltre le tribolazioni della Casa Bianca, evidenziando come l’ascesa iniziale nel mondo immobiliare di New York degli anni ’70 e ’80 abbia plasmato la sua visione del mondo – e, per estensione, la sua presidenza. “Per fare i conti con Donald Trump, la sua presidenza e il suo futuro politico, le persone devono sapere da dove viene”, scrive Haberman.
Il libro è disseminato di esempi risalenti a decenni fa che documentano l’ossessione di Trump per l’aspetto, la sua fissazione per le questioni razziali, la sua gravitazione verso gli uomini forti e la sua volontà di cambiare facilmente le sue convinzioni per adattarsi a quelle convenienti al momento.
Gli aiutanti e i consiglieri che hanno parlato con la Haberman per il suo libro – l’autrice scrive di aver intervistato più di 250 persone – offrono un ritratto schiacciante di un comandante in capo che non era interessato a conoscere i dettagli del lavoro, che si aspettava una completa lealtà da coloro che lo circondavano e che era più interessato al dominio, al potere e a se stesso che non alle questioni di principio.

Haberman riferisce che gli aiutanti della campagna una volta hanno definito Trump un “pappagallo sofisticato” perché ripeteva senza capire cosa stesse dicendo ciò che gli era stato detto dai suoi assistenti prima dei comizi. Una volta fece una furibonda litigata con i suoi massimi generali durante un incontro nel “tank”, la sala conferenze sicura del Pentagono, perché non capiva di cosa stessero parlando. “Invece di ammettere la sua non conoscenza dei fatti e delle situazioni, se la prese con gli esperti”, scrive Haberman che conclude affermando che Kelly, il suo ex capo di gabinetto, abbia descritto Trump come un “fascista”, eccezionalmente inadatto al lavoro di guidare una democrazia costituzionale.
Il portavoce di Trump, Taylor Budowich, ha detto del libro: “Mentre le élites sono ossessionate da libri noiosi pieni zeppi di falsità anonime, l’America è una nazione in declino. Il presidente Trump è concentrato sul salvataggio dell’America e non c’è niente che le fake news possano fare al riguardo”.