Il magistrato federale della Southern Florida, Aileen Cannon, si è riservata di decidere se permettere ad uno “Special Master” di supervisionare i documenti top secret sequestrati dall’FBI nella vila di Trump a Mar-a-Lago, perché alcuni sarebbero stati coperti dal rapporto di confidenzialità esistente tra avvocato e cliente. Una richiesta tardiva avanzata dagli avvocati dell’ex presidente, dopo che più di due settimane fa gli inquirenti avevano preso in custodia, ed esaminato, tutto il materiale portato via.
Gli avvocati del Dipartimento della Giustizia hanno sostenuto in aula che la richiesta dei legali di Trump è inutile, perché i documenti sono già stati visionati, ed è un’istanza il cui unico scopo sarebbe quello di allungare i tempi. Il tutto sperando che la pressione mediatica sulla vicenda diminuisca e che a novembre, alle elezioni di midterm, i repubblicani conquistino la maggioranza alla Camera per poter rallentare tutte le indagini in corso.
La giudice a fine udienza ha detto che emetterà “presto e verbalmente” la sua decisione, ma è sembrata accondiscendente verso le richieste del guru GOP.

La realtà sta comunque prendendo il sopravvento sui “fatti alternativi” tanto cari alla Casa Bianca di Donald Trump. Giudice dopo giudice, anche quelli nominati dallo stesso ex presidente, tutti hanno messo la legge davanti alle loro idee politiche confrontati dalle schiaccianti prove che evidenziano la mancanza di rispetto per le regole basilari che un presidente dovrebbe avere.
Il mondo trumpiano, nei tentativi di difesa dell’ex presidente, continua a denunciare misteriose congiure contorcendosi in una fantasiosa narrativa non suffragata dai fatti. Dopo aver accusato gli agenti dell’FBI di aver piazzato loro i documenti top secret nell’ufficio di Trump in Florida, oggi davanti al magistrato federale, gli avvocati dell’ex presidente hanno affermato che quegli stessi documenti erano stati declassificati “per scrivere un libro”, cancellando le dichiarazioni fatte poche ora prima da Trump che aveva accusato gli agenti federali di aver “sparpagliato di proposito” i documenti sul pavimento per poi scattare la foto.
Il granitico mondo dei MAGA (Make America Great Again), fondato e nutrito da Trump, mostra insomma le crepe. In Alaska Sarah Palin, candidata GOP per la Camera in uno Stato da sempre in mano ai repubblicani, è stata battuta dalla democratica Mary Peltola. Il seggio per 45 anni è stato del repubblicano Don Young. Si tratta del secondo caso in meno di due settimane, quando nello Stato di New York il democratico Pat Ryan aveva battuto Marc Molinaro, in un seggio lasciato libero dal dem Delgado, che i repubblicani erano sicuri di poter conquistare. E i malumori cominciano ad affiorare.

All’inizio, i repubblicani erano molto critici nei confronti del Dipartimento della Giustizia per la perquisizione a Mar-a-Lago, ma man mano che sono emersi nuovi dettagli sugli oltre 100 documenti riservati che l’ex presidente ha nascosto a Mar A Lago, si sono ammutoliti. Un silenzio che si scontra con i canti di protesta di “Lock Her Up” che venivano intonati per Hillary Clinton accusata di aver utilizzato un account e-mail personale e un server privato quando era Segretaria di Stato di Obama.
Il senatore della Florida Rick Scott, presidente del National Republican Senatorial Committee, in un editoriale pubblicato dal Washington Examiner accusa, senza mai nominarlo, il leader della minoranza repubblicana al Senato Mitch McConnell, di non sostenere alle elezioni dell’8 novembre i candidati scelti dall’ex presidente. Una lotta intestina nel partito sui candidati imposti dall’ex presidente, invisi all’establishment repubblicano, che mette a rischio la conquista delle maggioranze sia al Senato che alla Camera. E in questa incertezza Donald Trump aspetterà fino a dopo le elezioni di midterm per lanciare la sua terza campagna presidenziale, sia per le difficoltà giudiziarie in cui è coinvolto, sia per il timore che i candidati da lui scelti per le elezioni di metà mandato possano essere respinti dall’elettorato.
“Sempreché il Dipartimento di Giustizia non lo rinvii a giudizio dopo le elezioni di novembre”, scrive Bloomberg News, che aggiunge che le incriminazioni potrebbero scaturire sia in seguito alla perquisizione nella sua residenza in Florida, sia rispetto all’altra indagine che si sta svolgendo in Georgia, dove tentò di convincere il segretario di Stato a trovargli i voti per ribaltare il risultato del voto del 2020.
In effetti dagli atti dell’indagine sui documenti classificati ritrovati a Mar-a-Lago si profilano rischi di un procedimento penale non solo per l’ex presidente ma anche per i suoi due avvocati, scrive il Washington Post, che dà rilievo alla valutazione di vari giuristi.

“Nella memoria depositata dal Dipartimento della Giustizia per ribattere contro la nomina dello Special Master – scrive l’influente quotidiano della capitale federale – ci sono elementi che potrebbero portare all’apertura di un procedimento contro gli avvocati di Trump Evan Corcoran e Christina Bobb per aver ostacolato le indagini del governo, dichiarando agli inquirenti di aver consegnato tutti i documenti riservati quando in realtà molti erano rimasti in possesso di Trump.
Di norma il Dipartimento di Giustizia evita azioni a ridosso delle elezioni. Negli ultimi anni, tuttavia, il Dipartimento non ha seguito questa politica in almeno due casi. Pochi giorni prima le presidenziali del 2016, l’allora direttore dell’FBI James Comey annunciò la riapertura dell’indagine sull’uso di un server di posta elettronica privato da parte di Hillary Clinton.
E nel 2020, l’allora procuratore generale William Barr annunciò che funzionari del dipartimento potevano fare annunci pubblici e aprire indagini in merito a casi di frode elettorale, una mossa vista come un’amplificazione della narrativa di Donald Trump.