Tutti vogliono vedere i documenti sequestrati a Donald Trump nel suo resort di Mar-a-Lago, ma né il Dipartimento della Giustizia, né i National Archives li vogliono mostrare. La “Banda degli Otto”, come il Politico definisce gli otto politici (di entrambi i partiti) più influenti di Senato e Camera, premono con motivazioni differenti affinché siano dati maggiori particolari sul materiale sequestrato dall’FBI nella residenza dell’ex presidente. Il Dipartimento della Giustizia si oppone e vuole che l’inchiesta vada avanti senza interventi politici.
Le elezioni di mid-term sono alle porte e la storia delle cartelle top secret sulla sicurezza nucleare americana che l’ex presidente si era portato a casa sua in Florida dopo aver lasciato Washington sta rischiando di alterare le previsioni di una facile vittoria dei repubblicani. Per questo il leader della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, vuole prendere le distanze dall’ex presidente, mentre i democratici martellano affinché l’ex presidente e i suoi sostenitori al Congresso siano resi responsabili per la cattiva gestione della Casa Bianca.
Il giorno dopo lo scoop del New York Times che ha reso noto che erano più di 300 i documenti classificati che Trump aveva trasferito dall’Ufficio Ovale alla sua fastosa residenza in Florida, gli avvocati dell’ex presidente hanno chiesto un “arbitro” che esamini i documenti sequestrati. Uno “Special Master”, scrivono i legali nella loro istanza di 27 pagine presentata al giudice federale della Florida Aileen Cannon, nominata proprio da Trump, per esaminare gli incartamenti poiché, secondo gli avvocati, l’FBI si è piegata alla “politica” e “alla politica non può essere consentito di avere un impatto sulla giustizia.
“Stiamo assumendo le misure necessarie per avere indietro i documenti, che sarebbero stati consegnati senza lo spregevole raid. Non smetterò mai di battermi per gli americani” scrive Trump sul suo sito web, sottolineando che la mozione al tribunale della Florida è stata presentata “per far valere i miei valori in merito al non necessario” blitz dell’FBI.

Nel braccio di ferro tra l’ex presidente e il ministero della Giustizia si inseriscono anche i National Archives, che senza un ordine del magistrato non vogliono rilasciare agli inquirenti che indagano sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio i documenti legati all’assalto al Congresso.
Nella partita a scacchi che si sta giocando tra Donald Trump e il Dipartimento della Giustizia l’ex presidente cerca di allungare i tempi chiedendo lo “Special Master”. Se il magistrato accetterà la richiesta, il processo di revisione dei documenti sequestrati si allungherà, rallentando anche l’indagine del Governo federale. Gli avvocati di Trump sperano che alle elezioni di midterm i repubblicani ottengano la maggioranza almeno alla Camera, in modo da sciogliere la Commissione d’Inchiesta sul 6 gennaio e quindi rallentare tutti i procedimenti giudiziari in cui l’ex presidente è coinvolto.
L’obiettivo degli avvocati dell’ex presidente per la nomina dello “special master” è insomma parte del manuale che Trump, quando non era presidente, usava il sistema giudiziario per ritardare, deviare, distorcere e politicizzare le accuse contro di lui.
La mozione presentata dai suoi avvocati – fa notare la CNN – evidenzia la volontà di Trump di presentarsi come nuovo candidato presidenziale, vittimizzandosi e accusando gli inquirenti di un’ingiusta persecuzione giudiziaria ordita dall’amministrazione democratica per cercare di fermarlo. E tutto con un solo semplice obiettivo: allontanare, con nuove accuse rivolte al sistema, l’attenzione dalle pesantissime indagini che sono state avviate – e che hanno giustificato la perquisizione senza precedenti dell’abitazione di un ex presidente – per aver rimosso dalla Casa Bianca centinaia di documenti Top Secret, negando poi di averli portati via.

Secondo quanto ha rivelato il New York Times, una volta terminata la presidenza, Trump ha trattenuto oltre 300 documenti riservati. La metà, 150, sono stati recuperati lo scorso gennaio dai funzionari degli archivi nazionali che per primi ne hanno scoperto la scomparsa. Un altro gruppo poi è stato consegnato ai funzionari del dipartimento di Giustizia andati a Mar-a-Lago lo scorso giugno con un primo ordine di perquisizione per prendere in consegna i restanti documenti che l’ex presidente si era portato via.
Tra sorrisi e strette di mano, gli agenti se ne andarono con alcuni scatoloni, ma i documenti top secret mancanti non erano tra le carte prelevate. E da qui lo showdown della perquisizione di due settimane fa, durante la quale, secondo quanto rivelato dal Washington Post, l’FBI cercava documenti relativi all’arsenale nucleare americano.
Quindi non solo Trump avrebbe sottratto il materiale top secret – avanzando poi la giustificazione che lui avrebbe declassificato tutti quei documenti prima della fine della presidenza, operazione che un presidente può fare ma seguendo e documentando tutto attraverso un processo verificabile – ma avrebbe anche ostacolato l’inchiesta per recuperarli. Ed è per questo che è indagato non solo in base all’Espionage Act ma anche per “ostruzione di indagine federale”.
Ma c’è di più. Nei giorni scorsi l’ex presidente aveva scritto sul suo sito web che stava prendendo in considerazione la possibilità di rendere pubblici i video della perquisizione degli agenti dell’FBI nella sua residenza di Mar-a-Lago. Registrazioni che ora gli inquirenti stanno esaminando per osservare chi aveva accesso nella stanza blindata dove i documenti Top Secret erano stati nascosti.