Sapevano di perdere, ma la sconfitta era il traguardo che volevano raggiungere. “Alcune volte perdere una battaglia è necessario per vincere la guerra” afferma Chuck Schumer, il capo della maggioranza democratica al Senato. E la guerra è quella della minaccia di riformare le regole del filibuster.
Oggi si è discusso sulla possibilità di aprire il dibattito per presentare For The People Act, la riforma elettorale federale voluta dai democratici in risposta alle restrizioni imposte da 14 Stati in cui il governo locale è detenuto dai repubblicani. Non c’è stato nulla da fare. Non ci sono stati i numeri al Senato per superare l’opposizione della minoranza perchè con le regole attuali per superare il filibuster c’è bisogno del voto di 60 senatori. I democratici ne hanno 50 e nessun repubblicano ha votato con loro. Una sconfitta voluta per evidenziare la grave situazione costituzionale che si è creata in seguito alle bugie dette da un ex presidente che motivando la sua sconfitta con la falsa narrativa dei brogli elettorali ha avvelenato la politica basata sul compromesso. Una sconfitta cercata anche in luce delle elezioni di Mid Term del prossimo anno allorché i repubblicani dovranno difendere le loro scelte e spiegarle agli elettori. Un voto voluto da Schumer per unificare il partito dopo che alcuni senatori hanno mostrato più interesse alla loro rielezione piuttosto che seguire le direttive per portare quelle modifiche necessarie alla ripresa economica del Paese dopo la pandemia. Un test quindi, per vedere se il granitico ostruzionismo dei repubblicani ai piani presentati dalla Casa Bianca possa essere aggirato con il sistema del reconciliation che ha bisogno del voto della maggioranza semplice anziché di quella qualificata. Il reconciliation è applicabile solo ai disegni di legge presentati dall’Esecutivo per le materie finaziarie e di bilancio.
Per sottolineare l’importanza della riforma elettorale è intervenuto ieri sera anche Barack Obama. “Pensate come dopo l’insurrezione del 6 gennaio, con la nostra democrazia” in pericolo, i repubblicani hanno appoggiato l’idea delle “irregolarità e della legittimità del voto e ora improvvisamente hanno paura di parlare di questo tema e di trovare una soluzione”, ha detto l’ex presidente. “Il problema dei diritti di voto potrebbe non allarmare molti di noi” ma “la violenza del 6 gennaio – aggiunge – dovrebbe ricordarci che non possiamo dare per scontata la democrazia”.

Fino all’ultimo il senatore democratico della West Virginia, Joe Manchin, ha fatto il misterioso non rivelando le sue intenzioni di voto. Dichiarazioni incomprensibili dopo che lui ha imposto dei cambiamenti al disegno originale, modifiche tutte accettate, per dare il suo voto. “Non vi preoccupate – ha detto Schumer – il senatore Manchin voterà con noi”. E così è stato.
La sinistra democratica è sul piede di guerra. A gran voce vengono chiesti i cambiamenti promessi dal presidente Biden durante la campagna elettorale che ora vengono messi in discussione dai repubblicani con il filibuster. La paralisi imposta alla discussione della riforma elettorale ha dato l’occasione per chiedere la modifica delle regole del filibuster al Senato, la tattica dilatoria usata dall’opposizione per bloccare il dibattito di un disegno di legge. Per superare il filibuster c’è bisogno del voto della maggioranza qualificata dei 3 quinti dei cento senatori presenti e votanti. Questo voto si chiama “closure”. In questo modo la minoranza composta da 41 senatori è in grado di bloccare la maggioranza di 59 senatori. L’ultima volta che il Senato ha avuto un partito di maggioranza con 18 senatori in più della minoranza è stato nel 1975. Il filibuster è stato applicato da nel corso degli anni da entrambi i partiti quando erano in minoranza, ma solo come misura finale dopo il fallimento della mediazione. Il filibuster preventivo è diventata la tecnica usata da Mitch McConnell per bloccare la discussione delle iniziative dei democratici. Una tattica distruttiva più che di opposizione imposta dall’ex presidente che continua a mantenere saldamente in pugno il partito.
Stranamente molto dipenderà anche dal risultato elettorale di oggi a New York su chi sarà il prossimo District Attorney di Manhattan che prenderà in eredità da Cyrus Vance l’inchiesta criminale su Donald Trump e le sue società. Tradizionalmente in una città tutta democratica come New York, il candidato che vince le primarie democratiche è anche quello che vince le elezioni di novembre. Da capire se prima di lasciare l’incarico Cyrus Vance concluderà l’istruttoria. Attualmente la vicenda giudiziaria viene discussa da un Grand Jury che interroga i testimoni, vede le prove dell’accusa e alla fine emette il verdetto per il rinvio a giudizio o per il proscioglimento dell’indagato.

Le indagini si fanno sempre più serrate, gli avvocati dell’accusa interrogano i manager della Trump Organization, la holding dell’ex presidente che controlla circa 500 società. Una azienda privata di cui Donald Trump è l’unico azionista. Dopo l’interrogatorio dei giorni scorsi del Jeffrey McConney, il revisore dei conti della Trump Organization, ora viene interrogato Matthew Calamari, l’ex guardia del corpo, promosso Chief Operational Officer della holding. Interrogatori per sentire le loro verità prima di arrivare al testimone chiave, Allen Weisselberg, il CFO dell’organizzazione che secondo l’ex avvocato di Trump, Michael Cohen, è quello che conosce tutti i segreti dell’ex presidente.
Nei mesi scorsi l’ex nuora di Weisselberg ha consegnato agli inquirenti casse di documenti che il suocero aveva portato a casa del figlio per custodire. Poi c’è stato il divorzio e la vendetta della nuora è arrivata con il camioncino che ha depositato le carte a Center St negli Uffici del District Attorney. In base alla documentazione gli inquirenti stanno interrogando gli operativi finanziari della società di Trump per capire sia il movimento dei soldi che le decisioni prese. Alla fine interrogheranno Allan Weisselberg che ovviamente non sa quello che è stato detto al Grand Jury dagli altri testimoni. Secondo Michael Cohen Weisselberg patteggerà la sua immunità in cambio della testimonianza.
Ed ecco che in questo panorama il futuro della direzione che il partito repubblicano prenderà dipende molto dal futuro delle indagini sull’ex presidente.