E’ una Washington sonnacchiosa quella di questi giorni, con il Congressso che ha sospeso i lavori fino alla settimana prossima, dopo il Memorial Day.
I secondi “100 giorni” del presidente si presentano più difficili dei primi. Joe Biden continua nella sua ricerca di appoggi dall’opposizione per l’ “American Jobs Plan”, il suo piano per finanziare la ripresa dell’economia creando posti di lavoro per il rammodernamento delle infrastrutture con particolare enfasi alla produzione di energia pulita. Un piano da circa 2 mila e 300 miliardi di dollari. “La palla è nelle loro mani” ha detto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki spegando che sta al partito repubblicano fare quei passi per avviare un serio negoziato. Ma il partito repubblicano non sembra essere interessato, sia perchè un piano simile creerebbe milioni di posti di lavoro durante una amministrazione democratica, sia perchè per finanziare questa iniziativa verrebbero aumentate le tasse alla classe americana più facoltosa che è tradizionalmente quella che lo vota e fa massicce donazioni elettorali al loro partito.
Biden ha i numeri dalla sua, ma sono così scarni che non può permettersi nessuna defezione e al Senato ci sono alcuni senatori democratici che in questa precaria maggioranza hanno scoperto che le loro perplessità gli danno un peso politico e un riflettore fino a ieri impensabile. Protagonismo individuale e opposizione distruttiva sono gli elementi che impediscono di fare quelle riforme necessarie per uscire dalla crisi in cui il Paese si dibatte. In questo modo i tempi per raggiungere i traguardi che la Casa Bianca con molta enfasi ha anticipato, non sempre possono essere rispettati.

E’ il caso della legge della riforma della polizia che Biden aveva annunciato che sarebbe stata approvata per l’anniversario dell’uccisione di George Floyd. Oggi è trascorso un anno dalla brutale violenza di Minneapolis e non se ne è fratto nulla. Proposta di legge passata in prima battuta alla Camera con 220 voti favorevoli e 212 contrari, giace ora al Senato nel cimitero dei decreti approvati dai rappresentanti e mai portati in discussione alla Camera Alta, bloccati dalla minaccia del filibuster da parte dell’opposizione. Per eliminare il filibuster servono 60 voti al Senato e i democratici non li hanno. Non si riesce a trovare neanche l’accordo per passare il decreto legge approvato in prima battuta dalla Camera per creare la Commissione d’inchiesta per l’assalto al Congresso. Violenze impensabili in un Paese che della democrazia e del rispetto delle regole costituzionali ne ha fatto il proprio Vangelo. E ora, dopo che tutti i parlamentari ne sono stati testimoni oculari, per calcoli politici, si minimizza la gravità della vicenda, si accusano quanti la commissione la vogliono creare di volerla solo per calcoli politici. Il risultato di questa polarizzazione è che al Congresso tutto è fermo e probabilmente sarà così fino alle elezioni di Mid Term sperando che dalle urne esca una maggioranza più netta per poter avviare i cambiamenti . Ma anche per le elezioni la battaglia è aperta per via delle restrizioni che molti Stati hanno imposto con l’intento di eliminare quella fascia elettorale che ha portato il partito democratico a conquistare la Casa Bianca e la maggioranza al Senato. Modifiche basate su bugie ripetute migliaia di volte accettate da una larga fascia elettorale istigata da un ex presidente che del disprezzo dei principi costituzionali e delle regole parlamentari che per quasi 250 anni hanno governato questo Paese, ne ha fatto una bandiera.
Nei programmi politici di approfondimento del fine settimana si è capito che il combattimento politico non è più solo tra democratici e repubblicani, ma tra democratici e le due anime del partito repubblicano che si scontrano ma non vogliono l’aiuto del partito rivale. “Essere contro Trump non vuol dire essere contro il Grand Old Party” ha affermato Liz Cheney al microfono di Axios in un programma trasmesso da HBO, “Il mio obiettivo è quello di riportare il partito nel rispetto dei valori nei quali ci siamo identificati – ha detto la congresswoman del Wyoming – questa leadership repubblicana è asservita alle bugie di un ex presidente”.
Concetto ripetuto dall’ex segretario alla Difesa Robert Gates, repubblicano, che è stato ministro con 8 presidenti, 5 repubblicani e 3 democratici. “Questo partito repubblicano è irriconoscibile – ha detto a John Dickerson nel programma Face the Nation – e non credo che nessuno dei presidenti con cui ho lavorato si identificherebbe con questo partito ora. Una guerra interna che giova solo ai democratici”.
Guerra tra ex alleati anche in tribunale. E’ il caso dell’ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la Comunità Europea, Gordon Sondland, che ha citato in giudizio l’ex segretario di Stato Mike Pompeo accusandolo di non aver rispettato i patti per rifondergli le spese legali da lui sostenute per preparare la sua testimonianza al Congresso durante il primo Impeachment dell’ex presidente Trump per l’Ukrainagate. Sondland era stato chiamato a testimoniare dagli avvocati della difesa dell’ex presidente. Lui non voleva testimoniare ma l’ex segretario di Stato lo convinse assicurandogli che il Department of State avrebbe fatto fronte a tutte le spese per la sua testimonianza. La sua, però fu una testimonianza che anzichè aiutare Trump, evidenziò come Rudy Giuliani cercasse di influenzare i politici ucraini ad aprire una indagine sul figlio di Biden e cercasse di rimuovere l’ambasciatore americano a Kiev che era a lui ostile. Dopo questa testimonianza Pompeo si rifiutò di pagare il conto degli avvocati. “Gli dissi – scrive Sondland – che la mia testimonianza non era favorevole, ma lui insistì promettendomi il risarcimento delle spese legali da me sostenute”. E così è partito l’atto di citazione chiedendo un rimborso delle parcelle degli avvocati da un milione e 800 mila dollari.
Oggi, infine, decine di giuristi, professori di legge delle più importanti università americane, hanno fatto un appello affinché alla città di Washington sia concesso lo status di Stato dell’Unione con tanto di rappresentanza parlamentare. Gli abitanti di Washington, circa 700 mila persone, più di quante abitano nello Stato del Wyoming, sono gli unici negli Stati Uniti che non hanno alcuna rappresentanza al Campidogl io, né un congressman, né i due senatori. Pagano le tasse come tutti gli altri cittadini, ma nessuno in Parlamento difende i loro diritti. Una evidente dissonanza dalla Costituzione alla quale però nessuno, né democratici, nérepubblicani, ha voluto rimediare nel corso degli anni.