Erano in quattro ed erano delusi. Sono i seguaci dei QAnon che ieri sono andati a Washington per essere testimoni oculari del ritorno di Trump alla Casa Bianca. Corinne Perkins della Reuters News li ha identificati: Karyn Carson, John Carson, Lois Houser e Matthew Giannini. Karyn e John vivono in California. Hanno preso alcuni giorni di ferie per assistere in diretta al “miracolo” che non c’è stato. Sono delusi, ma non perdono la speranza. Per loro è solo una questione di date.

Di sicuro ci sarà il 20 marzo, ma forse no. Altri QAnon, invece, hanno accusato Black Lives Matter e Antifa. Sostengono che sono stati loro a lanciare questa data per mettere i “patrioti” in difficoltà. Nel loro mondo alternativo c’è una certezza: saranno i militari a riportare Donald Trump alla Casa Bianca, la data non è stata ben determinata, ma nessun dubbio sul risultato finale. Poco importa se gli agenti federali arrestano seguaci dei QAnon che hanno preso parte alle violenze del Campidoglio. Li considerano martiri per una causa superiore, il prezzo da pagare per sconfiggere il Deep State. Non conta che il luogo più sacro della democrazia americana sia stato violato e che nelle violenze ci siano stati 5 morti e centinaia di feriti. Per loro l’assalto è stato un gesto di patriottismo. Alcuni, come lo sciamano Jacob Chanseley intervistato in prigione da 60 Minutes, non vedono nulla di male nelle loro azioni. “Ho fatto solo un rito propiziatorio per mandare via gli spiriti del male” afferma. “Quando gli agenti ci hanno fatto segno di entrare non pensavo che ci fosse nulla di sbagliato”. E’ rimasto deluso, però che Donald Trump non gli abbia concesso il perdono presidenziale. “Ho cantato per creare vibrazioni positive in una camera sacra”, ha dichiarato. “Ho anche pregato per riportare Dio nel Senato”, ha proseguito Chansley, aggiungendo di aver impedito ad alcune persone di “rubare dei biscotti” dal cassetto di un parlamentare. Non si rende conto che rischia sino a 20 anni di reclusione. Questa storia degli agenti che invitavano gli insurrezionisti ad entrare al Congresso viene presa molto seriamente. Finora 35 agenti sono sotto indagine e 6 sono stati sospesi dal servizio.
In un’altra prigione, in un altro Stato Richard Barrett, l’uomo fotografato con i piedi sulla scrivania di Nancy Pelosi, durante l’udienza per la conferma del suo arresto, se la prende con il giudice che non gli ha concesso i domiciliari. “Avete rilasciato a piede libero tutti. Solo io resto in carcere”. Per lui non importa che sia entrato nella stanza della speaker della Camera armato con una “stun gun” una pistola stordente comprata alcuni giorni prima, che dalla scrivania di Nancy Pelosi abbia preso una lettera, “un souvenir” afferma in un video postato su facebook, e controbatte al magistrato che gli legge la lista delle imputazioni tra cui c’e’ anche il furto. “Non ho rubato – afferma – ho lasciato sulla scrivania 25 centesimi”.
Questa mattina è comparso davanti al magistrato per l’imputazione formale Federico Guillermo Klein, ex funzionario federale, che gli agenti esaminando i centinaia di video hanno notato che durante l’assalto desse ordini e indicazioni agli altri. Cosa molto importante per l’inchiesta perché Klein non era uno sconosciuto nella cerchia ristretta della Casa Bianca. Era stato scelto da Donald Trump per la campagna elettorale del 2016, e venne nominato all’ex presidente per ricoprire un incarico al Dipartimento di Stato. Un fatto questo che, secondo gli inquirenti, collega direttamente Trump ai gruppi che hanno lanciato l’assalto. Così come gli incontri tra il fedelissimo consigliere dell’ex presidente, Roger Stone e i Proud Boys.
All’attenzione degli inquirenti anche un’altra pista per dimostrare che l’assalto era stato preparato e coordinato. Sono sicuri che all’interno del Congresso c’erano dei basisti. Lo hanno determinato facendo le triangolazioni sulle comunicazioni fatte con i cellulari usando i telefonini sequestrati agli arrestati. Gli investigatori sono così riusciti a scoprire che molti messaggi partivano dalle aule del Campidoglio.
E ieri mattina erano in quattro con cappellino Maga e bandierina a stelle e strisce delusi che la profezia non si sia avverata, ma tronfi per essere riusciti a bloccare i lavori al Congresso, a blindare la città, a far mobilitare la Guardia Nazionale che è tornata in forze, questa volta è armata. Le farneticanti minacce hanno prodotto il loro effetto.
In questo clima surreale è cominciato il dibattito al Senato sul pacchetto di aiuti contenuti nella proposta della Casa Bianca per lo stimolo economico da mille e 900 miliardi di dollari. Il presidente Biden spera che l’approvazione ci sia prima del 14 marzo, quando alcuni benefici concessi con il precedente stimolo, scadranno. I democratici sono compatti. I repubblicani anche se sanno che alla fine perderanno questa guerra, non fanno sconti e tentano di ostacolare in tutti i modi l’iter per l’approvazione. Il senatore Ron Johnson, il fedelissimo di Trump che ha detto che le violenze al Campidoglio sono state fatte dagli attivisti di Black Lives Matter mimetizzati dai supporter dell’ex presidente, vuole leggere tutte le 628 pagine del disegno di legge. Ci vorranno 10 ore.
In mattinata lungo dibattito dopo che nei giorni scorsi era stata eliminata la direttiva che portava il salario minimo a 15 dollari orari. Il senatore del Vermont Bernie Sanders per sottolineare come il partito repubblicano voglia solo proteggere gli interessi delle società e non quello dei lavoratori ha proposto un emendamento in cui chiedeva di portare a 14 dollari e 75 centesimi la paga minima. Un provocazione che ha mandato su tutte le furie il senatore Lyndsey Graham e che è stata respinta anche con 8 voti dei democratici. In questo dibattito affiorano le lotte interne tra le correnti dei partiti. Tra i repubblicani quella dei falchi conservatori, che si oppongono a tutto perché non vogliono aumentare il debito pubblico, contrastatati dall’ala più liberale del partito che avendo nell’ottica le elezioni di midterm non vuole alienarsi le simpatie dell’elettorato. Tra i democratici l’ala progressista vuole molto di più e subito gli aiuti, forti della convinzione che aumentare il debito dello Stato sia ininfluente se riprende la produzione e aumentano i consumi. Tesi confutata dall’ala più conservatrice che invece è favorevole agli aiuti, ma in modo più contenuto. Il risultato è che la proposta approvata faticosamente in commissione è nuovamente a rischio nel dibattito generale. Alla fin per bloccare tutte le tattiche dilatorie il senatore democratico Chris Van Hollen ha messo un tempo massimo per il dibattito e tutti i presenti lo hanno accettato. Da capire se ora non ci saranno altre tattiche dilatorie.

Per fortuna della Casa Bianca oggi ci sono stati forti segnali di ripresa per il mercato del lavoro. A febbraio sono stati creati 379.000 posti di lavoro, circa 180 mila in più di quelli stimati dagli analisti. Ora il tasso di disoccupazione scende al 6,2% dal 6,3%. E’ questo il primo rapporto mensile completo sull’occupazione sotto la presidenza Biden. In un sondaggio condotto dall’Associated Press-Norc Center for Public Affairs Research, il 60% degli intervistati approva il suo lavoro in generale, mentre nella gestione della lotta al Coronavirus il consenso sale a 94% per gli intervistati che hanno votato per il partito democratico e al 22% per quelli che hanno votato per il partito repubblicano.