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January 2, 2021
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Trump contro tutti e tutto in un clima sempre più infuocato in attesa della Georgia

Dopo l'umiliante sconfitta di capodanno inflitta al presidente dal Congresso in cui ha annullato un suo veto, Trump non molla e continua a contestare le elezioni

Massimo JausbyMassimo Jaus
La strada che ci ha portati a “Terminator Trump” (Please Congress pensaci tu…)

Donald Trump, illustrated by Antonella Martino

Time: 6 mins read

Anno nuovo e problemi vecchi per Donald Trump in un frenetico crescendo di malumori tra il presidente e il suo partito a pochi giorni dalle importantissime elezioni per il Senato in Georgia.

Contrarietà non solo dopo che il Congresso, come regalo di capodanno, gli ha inflitto una umiliante sconfitta annullando per la prima volta un suo veto, ma per la inutile distruttiva caparbietà del capo della Casa Bianca di accettare il verdetto elettorale del 3 novembre. Una sconfitta che ha trasformato il presidente dal suo ruolo di leader del partito in quello di un mestatore senza scrupoli pur di cercare appigli per poter contestare il risultato elettorale ignorando come tutti i suoi tentativi siano stati smontati sia politicamente che in ambito giudiziario. Un atteggiamento risibile che rischia di allontanare quella fascia moderata dell’elettorato repubblicano che martedì prossimo dovrà votare in Georgia per eleggere due senatori. Se i democratici dovessero conquistare tutti e due i seggi otterrebbero il controllo del Senato rendendo tutto molto più facile per il presidente eletto Joe Biden e per la sua agenda dei lavori dato che i democratici già hanno la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

Ma questo presidente che la notte di capodanno ha piantato in asso 500 invitati al veglione che aveva organizzato nel suo resort a Mar-a-Lago per correre a Washington e preparare la nuova offensiva, spara indifferentemente su tutti quelli che lo contrastano repubblicani e democratici e proprio con i repubblicani ora è lo scontro più duro.

Per Trump e’ arrivato l’annullamento anche da parte del Senato del veto presidenziale che aveva messo sulla legge da 740 miliardi di dollari per la difesa (primo presidente in 59 anni a porre il veto sulla questa legge). La Camera dei Rappresentanti lo aveva già respinto, ma li la maggioranza è in mano ai democratici, quindi il voto era scontato. Al Senato, invece, contro la decisione del presidente hanno votato oltre a tutti i senatori democratici, anche 35 senatori repubblicani e il veto è stato annullato con 81 sì e 13 no.

Il National Defense Authorization Act è utilizzato per finanziare le operazioni del Pentagono all’estero e include aumenti salariali per i soldati, fondi per nuove attrezzature militari e per pagare l’assistenza sanitaria per le truppe. Trump aveva posto il veto perché nella sua guerra personale contro Facebook e Twitter, che censurano i suoi post, aveva inserito nel disegno di legge anche l’abolizione dell’immunità per i social media, la ‘Section 230’ del Communications Decency Act che tutela legalmente il ‘big tech’ rispetto ai contenuti pubblicati da terzi, sostenendo che sono parte della disinformazione e quindi un pericolo per la sicurezza nazionale. Senatori e congressmen, anche se in molti sono favorevoli all’abolizione della “Section 230”, non hanno voluto inserire le modifiche chieste dalla Casa Bianca  perché hanno detto che la revisione merita un più ampio dibattito politico che esula da quello dei finaziamenti al Pentagono.

Illustration by Antonella Martino

Ma non solo. Per motivi politici, il presidente si era anche opposto al cambiamento dei nomi delle basi militari che in passato erano state intestate a militari confederati come Fort Benning, in Georgia in memoria del generale che guidò l’offensiva contro i soldati dell’Unione a Bull Run, o come Fort Bragg, in North Carolina, che ospita le forze speciali, dedicato al generale sudista Braxton Bragg. Un cambiamento voluto da repubblicani e democratici al Congresso per rispettare quella parte della popolazione oppressa dagli Stati schiavisti del Sud dove però c’é il grande serbatoio elettorale di Trump. Una sconfitta, come le ciliegie, tira l’altra. Poi è arrivata la decisione del magistrato federale del Texas, Jeremy Kernodle, altro giudice repubblicano nominato dallo stesso Trump, che ha respinto l’azione legale del congressman repubblicano Louie Gohmert, alla quale si erano associati anche altri congressmen dell’Arizona,  con cui si chiedeva di autorizzare il vicepresidente Mike Pence di poter cambiare i voti del Collegio Elettorale quando il 6 gennaio, nella sua qualità di presidente del Senato, aprirà i lavori della sessione del Congresso riunita formalmente per ratificare l’esito delle elezioni. Il giudice ha respinto la richiesta con due parole: “No Merit”, cioè senza base, affermando che i promotori dell’iniziativa non hanno nessun motivo per avviare un’azione legale alla quale lo stesso Pence si era già opposto. Ciò nonostante un altro senatore, Josh Hawley prosegue nella sua futile e distruttiva battaglia simbolica al Senato cercando di delegittimare il presidente eletto accusandolo di aver vinto le elezioni con i brogli e il 6 gennaio guiderà il fronte del no alla sessione del Congresso. Alla sua iniziativa, elogiata da Trump, si sono associati un’altra decina di senatori tra cui anche Ted Cruz. Per poter cambiare i voti del Collegio Elettorale servono le prove che le elezioni siano state truccate e l’Attorney General William Barr (ormai ex), il capo della cibersicurezza federale, Christopher Krebs, oltre a una cinquantina di magistrati, hanno stabilito che le prove non ci sono. Quindi l’azione del senatore Josh Hawley viene vista solo come una manovra di disturbo in contrasto con le direttive del leader della maggioranza al senato Mitch McConnell che ha fermamente invitato i colleghi a desistere da questa iniziativa. 

Alcuni tweet di Trump sulla Georgia lanciati sabato, 2 gennaio

Persa anche questa battaglia Donald Trump lancia con i suoi rancorosi twit una nuova offensiva dichiarando “illegali e non valide” le elezioni in Georgia che martedì prossimo  decideranno il destino del Senato. Nel mirino del presidente il ‘Georgia Consent Decree’, un accordo raggiunto tra democratici e repubblicani nella primavera scorsa in seguito alle restrizioni imposte per la pandemia che avrebbero costretto milioni di elettori a non andare ai seggi elettorali. Il parlamento statale, a maggioranza repubblicana, approvò sia all’Assemblea che al Senato, il provvedimento che rendeva valide le schede elettorali mandate per posta. Alcune settimane dopo cominciarono i ripensamenti dopo che i repubblicani presero atto del capillare lavoro svolto dall’attivista politica democratica Stacy Abrams che con il suo movimento “Fair Fight Action” aveva fatto registrare alle elezioni centinaia di migliaia di afroamericani dello Stato. E così partì l’offensiva dei repubblicani per cercare di abrogare la legge che avevano approvato. Ma i tribunali sia statali che federali in tutti i gradi giudiziari, hanno respinto le loro richieste. “Il Georgia Consent Decree è incostituzionale e dunque le elezioni presidenziali 2020 in questo stato sono illegali e non valide, e questo comprende anche le due elezioni senatoriali in corso”, twitta Trump irritando i repubblicani che temono che le sue futili accuse stiano demotivando l’elettorato repubblicano moderato chiamato a sostenere la rielezione dei senatori Kelly Loeffler e David Purdue.  

Ma Donald Trump non abbassa i toni e rinfaccia alla leadership del partito il fallimento della sua proposta di portare a 2 mila dollari il bonus per lo stimolo economico. Un battaglia contro Mitch McConnell che l’ha respinta e che vede i due candidati, Kelly Loeffler e David Perdue, allineati alla direttiva del presidente che ora vuol dimostrare come il capo del partito sia lui e per questo lunedì andrà a Dalton, in Georgia per sostenerli anche se David Perdue è in quarantena preventiva perché ha avuto contatti con alcune persone che hanno contratto il coronavirus.  Ma c’é di più. Lin Wood, uno degli avvocati di Donald Trump in Georgia, che è anche il commentatore politico in una stazione radio dell’ultradestra cospirazionista di Atlanta, dopo aver minacciato nei giorni scorsi il vicepresidente Mike Pence, ha invitato lo “zoccolo duro” dell’elettorato della Georgia a disertare i seggi “per dare una lezione a Mitch McConnell”. Da vedere ora quanti seguiranno il suo suggerimento. Nello Stato finora hanno già votato per posta più di 3 milioni di elettori. Di sicuro dopo le elezioni di martedì all’interno del partito Repubblicano ci saranno i chiarimenti.

Joe Biden e Kamala Harris nell’illustrazione di Antonella Martino

Anche i democratici volano in Georgia: il presidente eletto Biden andrà ad Atlanta in aiuto dei due candidati dell’Asinello Jon Osoff e Raphael Warnock mentre Kamala Harris domani andrà a Savannah. Jon Ossoff e Raphael Warnock puntano a scalzare i due senatori reubblicani in carica Kelly Loeffer e David Perdue.  Aumentano i malumori e gli estremisti di entrambi i partiti passano all’azione. E’ successo in California a San Francisco dove è stata vandalizzata la casa della speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi; è successo in Kentucky, a Louisville, dove altri vandali hanno imbrattato l’abitazione di Mitch McConnell. Azioni che hanno messo in allarme quanti proteggono il presidente e il vicepresidente. Ed è forse per questo che l’ufficio del Secret Service ha deciso di cambiare il team per proteggere il presidente Joe Biden e Kamala Harris, inserendo agenti familiari al presidente eletto dai tempi in cui era vicepresidente. Questo perché in questo clima politico infuocato ci sono maggiori preoccupazioni che alcuni agenti della scorta siano politicamente alleati con Donald Trump.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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