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December 11, 2020
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Nella realtà alternativa di Trump i suoi sogni diventano gli incubi della democrazia USA

La Corte Suprema ha respinto l’istanza presentata dall’Attorney General del Texas, Ken Paxton, alla quale avevano aderito altri 17 Stati

Massimo JausbyMassimo Jaus
Econ-comiche: Trump, Biden e il passaggio della torcia alla Casa Bianca

Illustration by Antonella Martino

Time: 6 mins read

Lunedì prossimo è il giorno in cui i Grandi Elettori voteranno per eleggere il presidente. E’ anche l’ultimo giorno in cui il presidente sconfitto potrà continuare a raccontare le sue fantasiose frottole ai suoi irriducibili seguaci. Le minacce, le commedie, i teatrini, le sceneggiate di Donald Trump fatte dal 3 novembre ad oggi dovranno fare i conti con la realtà, quella vera non quella alternativa. Preoccupante però per la democrazia degli Stati Uniti l’accanimento dei repubblicani nel difendere una situazione indifendibile, dimenticando il giuramento fatto di rispettare la Costituzione rendendosi in questo modo complici di un tentativo di “golpe bianco”.

Corte Suprema di Giustizia, USA (wikimedia)

La Corte Suprema ha respinto l’istanza presentata dall’Attorney General del Texas, Ken Paxton, alla quale hanno aderito altri 17 Stati in cui Donald Trump ha ottenuto la maggioranza dei voti, nel tentativo di invalidare il risultato elettorale di Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Otto milioni di voti che secondo i repubblicani si sarebbero dovuti  cancellare non più per le frodi che lo stesso Attorney General William Barr ha smentito, ma perché “i brogli – era scritto nella mozione depositata e respinta dalla Corte Suprema – sono undetectable” cioè non si vedono poiché gli addetti al servizio elettorale in quegli Stati erano complici nel piano illegale per far perdere Trump. Così non riuscendo a produrre nessuna prova dei brogli, si era chiesto  alla Corte Suprema di accettare una istanza “alternativa” per un fatto “undetectable” per aprire un dibattito che, secondo il presidente Trump, avrebbe dovrebbe essere condotto davanti ai magistrati della massima corte giudiziaria degli Stati Uniti dal senatore Ted Cruz. E questa assurda stortura e’ stata avallata da 106 congressmen repubblicani e dallo stesso presidente.

Nessun costituzionlista intervistato dai maggiori canali televisivi aveva preso sul serio questa messinscena giudiziaria, ma quello che conta per Trump è la continuità della sua guerra sia per mantenere sempre calde le sue truppe di irriducibili, sia per continuare a prendere milioni di dollari in contributi che gli vengono fatti per continuare la battaglia, sia perché una volta fuori dalla Casa Bianca, quando non avrà più l’immunità e dovrà fare i conti con le indagini avviate dal procuratore distrettuale di Manhattan e dall’Attorney General dello Stato di New York, potrà sempre dire che il suo è un processo politico.

Trump as “The Great Dictator” (Illustration by Antonella Martino)

Un particolare curioso dell’istanza presentata da Ken Baxton, Attorney General del Texas, e respinta dalla Corte Suprema è che Baxton è indagato per una  truffa ai danni di alcuni suoi amici ai quali ha venduto azioni di una società poi fallita, senza dire loro che riceveva una commissione per la vendita dei titoli. Ha patteggiato in sede civile restituendo i soldi, ma è inquisito dalla procura federale sia per la truffa che per ver trattato titoli senza avere la certificazione dello Stato. 

Il farruginoso sistema elettorale, mai messo alla prova come quest’anno nei suoi 275 anni di storia, prevede che gli elettori votino il primo martedì di novembre. Il candidato che si aggiudica più voti nello Stato conquista un numero di Grandi Elettori che varia da Stato a Stato in base al numero di abitanti. Il 14 dicembre i Grandi Elettori si riuniranno a Washington e poichè non c’è una sede fissa dove si devono incontrare, il posto cambia con frequenza. Quest’anno si riuniranno al Campidoglio e qui eleggeranno il presidente. Il voto avviene con due schede, una per il presidente e una per il vicepresidente. Per essere eletti bisogna ottenere 270 voti dei Grandi Elettori. Biden ha ottenuto 81 milioni e 200 mila voti conquistando 306 Grandi Elettori mentre Trump ha ottenuto 74 milioni e 200 mila voti assicurandosene 232. In 32 Stati più il Distretto di Columbia (Washington) c’e’ l’obbligo per i Grandi Elettori di votare per il candidato che ha avuto il maggior numero di voti nello Stato. Negli altri 28 Stati l’obbligo non c’e’, ma tutti i Grandi Elettori sono scelti dal partito che ha ottenuto più voti nello Stato e finora tutti, con l’eccezione delle elezioni del 2016 per Hillary Clinton, hanno rispettato queste regole. Un meccanismo antiquato, quasi un rito, creato ai tempi dei coloni che non avendo possibilità di avere un conteggio totale del voto popolare il giorno delle elezioni crearono questo meccanismo per dare la possibilità ai delegati dei vari Stati di raggiungere Washington in poco piu’ di un mese. Un sistema anacronistico ma che finora e’ sempre stato rispettato.

Il Presidente Donald Trump e il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell: Trump: “Hey Mitch, non possiamo vincere quando le elezioni sono sicure e giuste”. McConnell: “Non ti preoccupare. Non faremo nulla per proteggere la democrazia” (DonkeyHotey 2019/Flickr)

Nelle settimane scorse Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana al Senato aveva affermato che avrebbe accettato la vittoria di Biden solo dopo il voto dei Grandi Elettori, cosi’ Trump, già sapendo di aver perso questa battaglia, sposta ora le sue trincee al 6 di gennaio quando il Congresso dovrà votare in seduta congiunta il risultato espresso dai Grandi Elettori. E anche qui non c’è nessuna speranza che Trump riesca a ribaltare il risultato elettorale con la Camera dei Rappresentanti che e’ a maggioranza democratica e con il Senato in cui la maggioranza repubblicana è di solo due senatori con molti repubblicani, secondo Carl Bernstein, il giornalista del Washington Post che con Bob Woodward scopri’ le malefatte del presidente Nixon al Watergate, quelli che si sono confidati con lui che abbandoneranno Trump sono 27. Finora sono usciti allo scoperto solo Lamar Alexander, Mitt Romney e Susan Collins e bastano solo questi tre per affossare qualsiasi decisione favorevole a Trump.

Il 6 gennaio è il giorno successivo ai ballottaggi suppletivi che si terranno in Georgia per due seggi al Senato e se i repubblicani li dovessero perdere tutti e due perderebbero anche la maggioranza al Senato. Per questo la leadership repubblicana e’ molto combattuta e non sa cosa fare: da una parte i bizzarri e sconclusionati capricci di Trump indispongono l’elettorato repubblicano moderato con il rischio che non andranno a votare o, addirittura, potrebbero votare contro i due senatori repubblicani in carica entrambi sostenitori del presidente, dall’altro la paura di intervenire per condannare il comportamento di Trump crea il rischio che i fedelissimi del presidente li prendano di mira alle prossime elezioni. Così stanno zitti rendendosi complici di questa gravissima crisi politica e istituzionale.

Il Senato oggi si è riunito per cercare di trovare una soluzione allo stallo che si è creato per lo stimolo economico. Mitch McConnell vuole un piano che non superi i 550 miliardi di dollari, Nancy Pelosi, la speaker democratica della Camera dei Rappresentanti ne ha presentato uno da 2 miliardi di dollari. Il presidente eletto Biden ha caldeggiato la proposta avanzata dal senatore democratico Manchin e dalla senatrice repubblicana Collins di circa 900 miliardi di dollari. Il contenzioso che ha bloccato la mediazione resta la linea voluta da Mitch McConnell che accettando il piano dei 900 miliardi vuole includere nel pacchetto dello stimolo l’esenzione per deresponsabilizzare imprenditori ed industrie in caso che i dipendenti contraggano il coronavirus al posto di lavoro. Uno stallo che dura da mesi non tenendo conto dei milioni di disoccupati a causa del coronavirus che non hanno più modo per sostenere loro stessi e le famiglie. E questa tragedia del coronavirus, che nelle ultime settimane sta colpendo violentemente gli Stati Uniti con più di 100 mila casi al giorno e che ha causato quasi 300 mila morti ( più della metà dei soldati americani caduti in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale), è la prima battaglia che il presidente eletto dovrà combattere. Per lui e per tutti gli americani la buona notizia gli viene dalla FDA che sta approvando anche il vaccino della Pfizer, dopo quello della Moderna approvato nei giorni scorsi. 

Come in tutte le guerre perse l’amministrazione Trump sta distruggendo i documenti compromettenti che evidenziano disfunzioni  irregolarità. E’ il caso denunciato dal Congressional Oversight Subcommitte che accusa il direttore del Center Disease Control and Prevention, Robert Redfield, di aver distrutto le email mandatagli da Paul Alexander, un assistente del ministro della Sanità Alex Azar, su direttiva della Casa Bianca, di nascondere gli effetti a lunga scadenza che il coronavirus ha sui bambini che erano contenuti in un rapporto scientifico. Tutti smentiscono, ma l’autrice del rapporta conferma e afferma che il rapporto e’ stato pubblicato senza modifiche.

La copertina di Times con Biden e Harris

In questi ultimi giorni dell’amministrazione Trump il boia torna a colpire. La moratoria per le esecuzioni emessa dl presidente Obama e’ stata tolta a luglio dal ministro della Giustizia William Barr. Ieri c’è stata l’esecuzione di Brandon Bernard, di 40 anni, in un carcere federale dell’Indiana. Era stato condannato per un duplice omicidio avvenuto in una proprietà federale. E’ la nona eseguita nel 2020. Venerdì ce ne dovrebbe essere un’altra, in Louisiana.  Da quando la moratoria e’ stata tolta 9 persone sono state condannate a morte.

Infine Joe Biden e Kamala Harris sono le Persone dell’Anno del 2020 per il settimanale Time, battendo il presidente uscente Donald Trump. “Assieme Biden e la Harris hanno offerto ristoro e rinnovamento in un unico ticket. E l’America ha comprato quello che avevano messo in vendita”, scrive il settimanale. 

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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