In Calabria ci sono due Commissari alla Sanità: uno, è un Generale dei Carabinieri in congedo, l’altro, un medico/funzionario pubblico. Messa così, potrebbe anche sembrare l’attacco di una barzelletta, secondo il noto schema formulare. Magari un po’ arido, ma pur capace di finire in una conclusiva risata.
Senonché, noi sappiamo che questo non sarebbe il registro appropriato, perché in questa faccenda, come si dice, c’è poco da ridere. Volgiamoci allora alla nuda cronaca.

Nel Dicembre 2018, dai Ministri Giovanni Tria, dell’Economia e Finanze, e Giulia Grillo, della Salute, Governo Conte I, “di concerto”, viene nominato Commissario alla Sanità per la Regione Calabria, il Generale dei Carabinieri in pensione Saverio Cotticelli.
Nel corso di un’intervista di qualche giorno fa, molto diffusa, si è appreso che costui era affatto ignaro dei suoi presenti doveri d’ufficio: ha dichiarato di non sapere che, nella qualità, doveva attuare il Piano-Covid stabilito a Giugno, e nonostante una circolare ministeriale di Ottobre avesse ribadito la competenza del suo ufficio; né quanti fossero i posti in terapia intensiva disponibili; quale fosse lo stato finanziario della sanità; quale, l’origine di un non meglio precisato “debito nascosto” di 110 milioni di euro; e dicendosi convinto che in Calabria, sebbene appena dichiarata “zona rossa”, non ci fosse “questo problema numerico”; e così via. Mentre parlava, a conferire a questa tragedia mascherata da commedia pure il sapido colore della surrealtà, si poteva udire una “Maria” (la funzionaria Maria Crocco, sua Vice), che sciorinava: “La devi finire, tu devi andare preparato”.
Il Commissario distratto è stato convinto a dimettersi. Benché dovesse aver capito, già in corso d’opera dichiarativa, come quella sua esibizione lo stesse avviando alla porta: “Domani mattina io sarà cacciato da qui”. Persino nell’Italia in cui un Ministro della Giustizia annaspa malamente sulla differenza fra dolo e colpa, e un Ministro degli Esteri non supererebbe un esame di geografia di quinta elementare (e su una quantità di altre materie).
Al posto del Commissario/Generale, arriva in queste ore il dott. Giuseppe Zuccatelli: si diceva, medico e alto burocrate di lungo corso. Nato nel 1944, laureatosi e poi specializzatosi in igiene e medicina preventiva, tuttavia, l’iniziale esperienza medica non deve aver lasciato grandi ricordi nello stesso interessato: se nemmeno nel suo Curriculum Vitae, è possibile rinvenirne tracce. Comincia dal 1978: “Ispettore Sanitario alla USL di Copparo (FE)”, e poi riccamente prosegue, fino ad oggi.
Anche di lui si sono apprese, via rete, alcune posture piuttosto spiazzanti: nello scorso Maggio, ancora nel corso di un’intervista, rassegnava la sua ferma convinzione che le mascherine “non servono a un cazzo”, e che “per beccarti il virus, se io fossi positivo, tu devi stare con me e baciarmi per 15 minuti con la lingua in bocca, altrimenti non te lo becchi”.
Ora, interessa poco qui stabilire se, nei due casi, si tratti di un errore unico oppure no. Se, come l’ineffabile Generale Cotticelli ha dichiarato in una successiva apparizione televisiva, potrebbe essere stato “drogato”, da non si sa quale crudele manina, e simili altre amenità. O se i dubbi sull’efficacia sanitaria e preventiva delle mascherine, fossero o meno “in linea” con quanto allora sosteneva e non sosteneva l’OMS (che del sostenere e del non sostenere pare abbia fatto sua norma statutaria), e se oggi il dott. Zuccatelli si dica invece convinto che servano, e inviti ad indossarle, bontà sua.
Il punto è un altro. Qui vacilla la “struttura” di un’intera società politica.
Il vuoto, orribile, disarmante, che si apre anche di fronte all’osservatore più smaliziato, viene dallo svuotamento dei significati; dalla tendenziale e diffusa inaffidabilità di parole, immagini, ruoli, attributi che, secondo una elementare e ragionevole sensatezza, quelle parole e immagini, quei ruoli e attributi dovrebbero avere.
Quante omissioni, quante sciatterie, quante convenienze, quante pigrizie, culturali, politiche, istituzionali, sindacalistiche, stingono da una maschera di scolaretto balbuziente, dove era lecito attendersi gravità di soldato, fermezza di comando, intelligenza adulta del dolore?
Quanti equivoci pseudodemocratici, quanto manierismo falsamente popolare, quanta inerzia di costume, quanto smarrimento psicologico e sociale, sono giunte ad annidarsi in questa Italia dell’anno 2020, se la volgarità sterile e insignificante, l’ammiccamento corrivo, vengono esibiti come capacità professionale e uso di mondo? Senza imbarazzo, ed anzi pubblicamente scandite, perché meglio giungano agli amministrati?

Insomma, quante “cose che non funzionano” sono tradite da simili risultati? La pandemia, probabilmente, sta solo accelerando, concentrando, i guasti maturati in decenni di moralismo di massa; di gozzoviglie paraistituzionali in cui è bastato si dicesse “anti”, anti-mafia, anti-corruzione, s’inalberasse il vessillo ingannevole della “legalità”, per autoattestarsi meritevole di ogni fiducia e responsabilità. Al momento della nomina del Generale, la rammentata Ministro Grillo, ci tenne a precisare: “Mi hanno fatto qualche critica per avere enfatizzato il bisogno di legalità, quale presupposto nella scelta dei nomi. I Commissari ad acta sono figure di garanzia, che incarnano i valori della competenza, onestà e trasparenza, da sempre miei cavalli di battaglia. Sono sicura che porteranno buoni risultati”. Tutte parole ben spese, come si può constatare.
Quello che è successo è il frutto di una cambiale tossica, spensieratamente e collettivamente sottoscritta. Ora stanno solo cominciando ad arrivare le scadenze.