Con il passare dei giorni in vista del 3 novembre aumenta la frenesia elettorale. I comizi si moltiplicano, così come le interviste e gli annunci pubblicitari in televisione. E’ il rituale di ogni anno negli Stati Uniti dove sempre il primo martedì di novembre si vota per qualcosa: per il President, per il Congresso, per il Senato, per il governatore, per il parlamento statale, per i giudici, per il procuratore distrettuale, per una miriade di cariche locali come lo sceriffo e il responsabile del funzionamento della contea. Ma si vota anche per i referendum sia statali che locali che in qualche modo modificano la vita (e il portafoglio) dei cittadini. In modo referendario il comune o la contea, chiedono il permesso agli abitanti delle proprie circoscrizioni per l’emissione di un prestito obligazionario municipale o conteale per costruire un nuovo acquedotto, allargare i marciapiedi, ristrutturare i parchi, asfaltare le strade, migliorare il sistema scolastico. Si chiede il permesso perché alla fine i cittadini sono quelli che pagano le tasse per questi progetti e devono dare il loro parere. Quindi il primo martedì di novembre si vota sempre. Ma quest’anno le elezioni hanno qualcosa in più. Quest’anno non si scelgono solo il presidente, tutti i congressmen, 35 Senatori. Quest’anno le elezioni saranno un referendum sui quattro anni di Trump e sui suoi alleati. E i repubblicani tremano.
A meno di tre settimane dal voto i repubblicani si trovano ad affrontare due tematiche molto “pesanti” per tutta la nazione: la nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema e la riapertura del negoziato al Congresso per lo stimolo economico per mille e 800 miliardi di dollari. Negoziato che la settimana scorsa è stato abbandonato dal presidente, che ora, però, vuole riavviare.

Per la nomina del magistrato alla Corte Suprema il fronte repubblicano è unito, anche se politicamente i senatori che tra pochi giorni affronteranno il giudizio dell’elettorato avrebbero preferito che il voto si fosse fatto dopo le presidenziali. Ma aspettando il responso elettorale si sarebbe corso rischio di perdere la maggioranza al Senato e di vedere vanificati gli sforzi per avere una rappresentanza più forte tra i giudici conservatori alla Corte Suprema. Per la riapertura del negoziato per lo stimolo economico, invece, i repubblicani sono divisi. L’ala conservatrice del partito, composta da una ventina di senatori, non è favorevole allo stimolo perché ingigantirebbe il debito pubblico specialmente ora, dopo che gli Stati Uniti sono in un situazione conflittuale con la Cina. Pechino infatti era il maggior acquirente dei buoni del Tesoro americani e difficilmente, con Trump alla Casa Bianca, continuerebbe ad assorbire il debito pubblico americano. Ma Trump non sente storie. Vuole che lo stimolo venga approvato prima delle elezioni. Vuole che gli americani ricevano gli ulteriori benefici di disoccupazione prima del voto di novembre e che gli dicano grazie al seggio elettorale.
In questo panorama sono continuate le audizioni alla Commissione Giustizia del Senato di Amy Coney Barrett. Domande scontate sulla sua posizione per l’obamacare, il diritto delle donne di interrompere la maternità, i matrimoni tra coppie dello stesso sesso, il diritto di acquistare armi. E altrettanto scontate le risposte: “non faccio politica”, “seguo la legge e la Costituzione”, “non ho nessun secondo fine per essere parte della Corte Suprema”. Non ha voluto dire se si ricuserà nel caso che Trump contesti il risultato elettorale se dovesse essere sconfitto e si rivolgerà alla Corte Suprema per cercare di cambiare il verdetto. I senatori democratici l’hanno accusata di non dare risposte chiare, ma lei è bravissima nel non rispondere. Sarà sicuramente confermata a meno che nelle prossime 48 ore non esca fuori una sua fotografia con gli incappucciati del KKK mentre sventola una bandiera confederata. Il voto di conferma in commissione sarà strettamente lungo le line dei due partiti: i repubblicani sono 12 e i democratici 10.
Al Senato, dove il voto della Commissione Giustizia dovrà essere ratificato, il discorso è un po’ diverso sia perché molti senatori rischiano di perdere i loro seggi se votano per la Barrett, sia perché alcuni senatori sono stati colpiti dal Covid 19 e non è ammesso il voto per via remota. Quanti sono i senatori con il coronavirus il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell non lo vuole dire. Erano noti i nomi di tre senatori: Tom Tillis, Mike Lee e Ron Jhonson. Mike Lee ha preso parte alle udienze della Commissione Giustizia, senza mascherina, dicendo che come Trump anche lui è guarito. Al Senato i repubblicani hanno una maggioranza composta da 53 senatori contro 45 democratici e 2 indipendenti che hanno sempre votato con i democratici. Quattro voti fanno la differenza perché in caso di parità il voto determinante è affidato al vicepresidente. E sono molti i senatori che non si pronunciano sapendo che i sondaggi sono contro la scelta affettata per la nomina della Barrett e temono le ire dell’elettorato.
Il presidente continua il suo tour elettorale. Dimenticando che ci sono quasi 8 milioni di americani colpiti dal virus che ha causato 215 mila decessi e oltre 3 milioni di ricoveri negli ospedali, ieri sera in Florida urlava ai suoi che la pandemia non fa male, che oramai è passata e che il vaccino sarà pronto tra qualche settimana. “Mi avete rincuorato, vi voglio baciare tutti” ha detto il presidente al migliaio di persone che erano andate al suo comizio, strettamente senza mascherina. A questo proposito c’è da aggiungere che il gruppo farmaceutico Johnson & Johnson ha sospeso i test clinici del vaccino dopo che uno dei volontari a cui era stato iniettato ha contratto una malattia “inspiegabile”.

Oggi il presidente è in Pennsylvania dove ieri era Biden e Biden è in Florida dove ieri era Trump. Il balletto dei comizi, specie negli stati in bilico è impegnativo e stressante per due candidati non più giovanissimi.
Infine si è saputo durante il rinvio a giudizio nel tribunale di Detroit che i miliziani del Michigan che volevano rapire il 3 novembre il governatore dello Stato, Gretchen Whitmer, per gettare lo scompiglio nel Paese, avevano in mente anche il rapimento del governatore della Virginia, Ralph Northam, anche lui “colpevole” di aver imposto il lockdown nello Stato.