“Sto parlando, Signor Vice Presidente”. Questa frase, ripetuta più volte da Kamala Harris per non farsi interrompere da Mike Pence, firma il dibattito tra i vice candidati alla presidenza e lo segna a favore del ticket democratico. Ha vinto la sfida la senatrice della California riuscendo, lei donna nera, preparata e sicura, a mettere “a cuccia” quell’uomo bianco che aveva accennato vanamente a rompere il filo logico dei suoi discorsi.
E’ stato sulla pandemia, il primo punto affrontato nelle affilate domande della moderatrice Susan Page, del giornale USA Today, che si è deciso il dibattito, dando l’opportunità a Harris di mettere all’angolo un Pence che ha avuto, dalla sua, solo la qualità di restare sempre calmo, anche quando le accuse delle rivale si rivelavano in tutta la loro efficacia. Ma Pence non ha mai dato l’impressione di poter controbattere con efficacia a quegli attacchi.
Che il coronavirus sarebbe stato sempre presente come una spada di Damocle sul dibattito, lo ricordavano i pannelli di plexiglas che dividevano i contendenti nella grande sala della Utah University di Salt Lake City. “Gli americani sono stati testimoni del più grande fallimento di una amministrazione presidenziale nella storia del nostro Paese”, ha sentenziato la senatrice Harris accusando l’amministrazione di aver nascosto la verità e taciuto la gravità del coronavirus: “La verità è che il 28 gennaio il vice presidente e il presidente erano stati informati della natura di questa pandemia” ha ricordato Harris. “Sapevano ma hanno nascosto tutto. Il presidente disse pubblicamente che si trattava tutto di un imbroglio. Hanno minimizzato la serietà del virus. Ma se gli americani avessero saputo prima, avrebbero potuto proteggersi meglio…”. Quindi sono Trump e Pence i responsabili di avere causato agli Stati Unti il più alto numero di morti (210 mila) nel mondo, gli oltre sette milioni di casi finora registrati. Qui Pence ha cercato di ribattere con un timido “il presidente ha messo la salute degli americani al primo posto…” ma è stata Harris, mentre guardava fissa la telecamera, ad essere molto più efficace nel condannare Trump sulla lotta al coronavirus quando ha ricordato agli americani i terribili momenti degli scorsi mesi.

Ormai sembrava che sulla questione del covid Harris potesse assestare il colpo del KO a Pence, ma la senatrice è sembrata come trattenersi, quando per esempio non ha infierito sugli ultimi comportamenti del Presidente Trump da quando si è scoperto positivo, e sul contagio esploso alla Casa Bianca proprio per certi modi irresponsabili di Trump riguardo all’uso della mascherina e che Pence goffamente cercava di difendere quando ha giustificato, per esempio, la cerimonia nel giardino della Casa Bianca per la nomina del giudice della Corte Suprema Barrett.
Quando la moderatrice ha chiesto a Harris se avrebbe preso il vaccino promesso da Trump in tempi brevi, anche prima del voto, la candidata alla vicepresidente di Biden ha risposto: “Se i medici, gli esperti e il Dr, Fauci diranno che è sicuro, lo prenderei senza esitare. Se a consigliarlo è Trump, no”. Sulla questione della lotta al covid, Pence ha cercato di replicare che il piano di Biden-Harris non è altro che una copia di quello della loro amministrazione, alludendo al fatto che Biden non è nuovo al plagio (anni fa, quando si candidò alla presidenza, Biden fu accusato di copiare gli slogan elettorali dagli altri).

Se è sul coronavirus che le staffilate di Harris hanno affondato di più, la serata è proseguita sullo stesso tono con la democratica all’attacco e il vice presidente sulla difensiva. Come sulla questione delle tasse, quando Harris ha ribadito lo scandalo dei soli 750 dollari pagati da Trump (“All’inizio avevo capito 750 mila, invece erano 750!”). Sempre sulle tasse, quando Pence ha cercato di far apparire il ticket democratico pronto ad aumentare le tasse, Harris ha replicato dicendo che Biden “non le aumenterà a nessun americano che guadagna meno di 400mila dollari” e appena il vicepresidente ha cercato di interromperla facendo diminuire il tempo, ecco che subito Harris non si è fatta intimidire: “Lui mi ha interrotto, e io vorrei finire la mia risposta”.
Ancora Harris ha attaccato Trump per essersi rifiutato di condannare il suprematismo bianco e addirittura “rilanciarlo” all’ultimo dibattito, senza che le smentite di Pence potessero avere alcuno effetto sugli spettatori: tutti abbiamo visto la performance di Trump.
Harris è apparsa più convincente dell’avversario in tutte le fasi del duello con Pence, sia quando si è parlato delle proteste razziali, delle riforme sanitaria, della Corte Suprema, dei rapporti con la Cina, dei cambiamento climatico, e del trasferimento dei poteri dopo il voto (dove Pence ha completamente ignorato la domanda sul suo ruolo).
Pence ha avuto il suo momento migliore quando ha ricordato la figura di una volontaria americana, Kayla Mueller, rapita, torturata e uccisa dall’ISIS. “Avremmo potuto salvarla, se non fosse stata per l’esitazione dell’amministrazione Obama, e del vicepresidente Biden, quando i militari vennero nell’ufficio ovale per dire che sapevano dove fosse tenuta prigioniera…. Ma quando furono poi autorizzati ad agire, era ormai troppo tardi” ha detto Pence rivolgendosi ad un pubblico tra i quali c’erano anche i genitori della ragazza invitati ad assistere. “La sua famiglia, con un cuore che rompe il cuore di ogni americano, crede che se Donald Trump fosse stato allora presidente, Kayla sarebbe oggi viva”, ha concluso Pence.
Un momento emotivamente forte che però non è bastato al vice presidente per fargli recuperare lo svantaggio accumulato soprattutto nella prima fase, quando era stato travolto da Harris con le accuse per la diffusione del covid.

Ad un certo punto, come ad accentuare la serata in favore della democratica, c’è stato l’intervento di una mosca che si è posata, ben visibile, sui capelli bianchi di Pence e lì é rimasta per alcuni minuti senza che il presidente sembrasse accorgersene. In qualche modo, quella mosca mai scacciata, simboleggiava bene la difficoltà dell’amministrazione repubblicana a rendersi conto della realtà degli Stati Uniti, ormai ben diversa da quella che favorì la vittoria di Trump nel 2016.