Ha scritto Tiziano Terzani nel suo In Asia: “La guerra è una cosa triste, ma ancora più triste è il fatto che ci si fa l’abitudine. Il primo morto, quando l’ho visto, stamani rovesciato sull’argine di un campo con le braccia aperte, le mani magrissime piene di fango e la faccia gialla, di cera, mi ha paralizzato. Gli altri, dopo, li ho semplicemente contati, come cose di cui bisogna, per mestiere, registrare la quantità”.

Rispecchia la situazione dei molti paesi che fanno ancora i conti con i morti di guerra. Guerre che, nel mondo molto più pacifico della storia recente, fanno anche più orrore, specie quelle che, iniziate più di trent’anni fa, tra alti e bassi, non hanno mai cessato di esistere. Il conflitto del Nagorno-Karabakh è una di queste tragedie. Affonda le sue radici nel passato che è il crollo dell’Unione Sovietica. Fino ad oggi il dolore della ferita aperta tra l’Armenia e l’Azerbaigian si è fatto sentire spesso. Ultimamente, pochi giorni fa, lo scontro tra le forze dei due paesi ha causato il timore che il conflitto si riaccendesse, distruggendo il poco di stabilità raggiunta (tregua temporanea) e portando enormi danni economici e militari, per non parlare della perdita di vite umane.
Il conflitto di oggi è un richiamo dello scontro del luglio scorso, quando le forze si sono combattute, non nel Nagorno-Karabakh, ma alla frontiera internazionale tra Armenia e Azerbaigian. L’Armenia raggiunse un successo microscopico dal punto di vista militare, ma realizzò un trionfo simbolico prendendo il controllo di alcune delle zone di conflitto e uccidendo un generale azero. L’Azerbaigian se ne sentì indebolito. Riaccendendo il conflitto, quest’ultimo, ha tentato soltanto di cambiare lo status quo del Nagorno-Karabakh, nella consapevolezza di non poterne assumere il controllo.

La maggior parte della popolazione in questa unità amministrativa dell’Azerbaigian è rappresentata dagli etnicamente armeni, eredi dei compatrioti che vi si stabilirono già all’inizio del XIX secolo durante la guerra russo-iraniana. Nei primi anni della formazione dell’impero sovietico, il Nagorno-Karabakh fu separato dal governo centrale come unità amministrativa, nel 1922 gli fu concesso lo status di regione autonoma e la capitale fu spostata da Shusha a Khankendi (in seguito Step’anakert). Già alla fine degli anni Ottanta, in parallelo con l’indebolimento dell’Unione Sovietica, l’Armenia cercò di cambiare la situazione a proprio favore e la sua Accademia delle Scienze pubblicò un documento con il quale si chiedeva il rientro del Nagorno Karabakh e Nakhichevan (un’enclave dell’Azerbaigian, di cui costituisce regione autonoma) nel territorio e nella giurisdizione della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. Il processo raggiunse il culmine nel 1988, quando il governo del Nagorno-Karabakh chiese l’estensione della giurisdizione armena sul territorio. Gli etnicamente azeri, residenti in Armenia si ritrovarono in una situazione difficile, e nello stesso anno cominciò il primo afflusso di profughi a Baku, capitale dell’Azerbaigian. Il confitto si trasformò in scontro armato a febbraio. In Armenia iniziò la “pulizia” dagli azeri e musulmani, mentre in Azerbaigian venivano perseguitati gli etnicamente armeni. Secondo una risoluzione adottata dal consiglio supremo della Repubblica di Armenia il 1° dicembre dell’89, il Nagorno-Karabakh doveva unirsi alla Repubblica Armena. Anche il consiglio popolare del Nagorno-Karabakh sostenne la secessione dall’Azerbaigian, ma il consiglio supremo dell’Azerbaigian non ne accettò la decisione, respingendola e dichiarandola nulla.
Nel frattempo, in entrambe le repubbliche si allestirono truppe armate. Le unità militari armene furono supportate anche dall’esercito regionale della Repubblica Russa e da volontari russi, mentre risultava evidente che l’esercito azero non era in grado di difendere il proprio territorio. Nel 1992 la situazione era estremamente tesa. Le forze armene presero il controllo, non solo del territorio del Nagorno-Karabakh, ma anche delle zone limitrofe abitate dagli azeri, avviando la pulizia etnica, con una continua violazione dei diritti umani.

L’Azerbaigian non riconosce lo status di indipendenza del Nagorno-Karabakh, si oppone alla sua unificazione con l’Armenia e/o alla sua trasformazione in stato indipendente. Fa anche richieste formali, secondo le quali l’importante è mantenere l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, e la questione non può essere oggetto di trattative. L’Azerbaigian chiede anche il non riconoscimento del Nagorno-Karabakh come stato indipendente e il ritiro delle forze armate del Nagorno-Karabakh da tutti i territori occupati. L’Azerbaigian vuole che il Nagorno-Karabakh sia completamente soggetto alle leggi e alla giurisdizione dell’Azerbaigian. È solo dopo aver soddisfatto questi requisiti che sarà possibile rivedere lo status del Nagorno-Karabakh.
Il Nagorno-Karabakh, dal canto suo, si oppone all’estensione della giurisdizione azera, e al tempo stesso dice di non ambire a diventare parte dell’Armenia.. Ritiene che Baku debba tenere conto della sconfitta sul campo e di conseguenza lasciare che la regione vada verso l’indipendenza.

L’Armenia, da parte sua, si oppone alla ripresa delle ostilità e non sostiene una soluzione militare al conflitto del Nagorno-Karabakh. Ritiene anche che la sicurezza nel Nagorno-Karabakh dovrebbe essere garantita da principi internazionali. È inoltre necessario riconoscere i diritti del Nagorno-Karabakh per risolvere il conflitto. Tuttavia, per l’Armenia, c’è un’altra opzione per risolvere il conflitto: lo scambio territoriale.
Questa versione è stata presentata dal politologo americano Paul Goble, che prevedeva il trasferimento di parte del Nagorno-Karabakh all’Armenia in cambio di un ponte controllato dagli armeni tra l’Azerbaigian e il Nakhichevan. Se questa opzione fosse adottata, l’Armenia perderebbe i legami con l’Iran e l’Azerbaigian. L’Iran è un importante sbocco per l’Armenia verso il mondo musulmano. La sua chiusura peggiorerebbe la situazione geopolitica dell’Armenia e influenzerebbe negativamente il suo sviluppo economico. Tenendo conto di questi fattori, Goble ha apportato una correzione alla sua versione iniziale: offrire all’Armenia il collegamento con l’Iran attraverso la regione di Meghri (città armena che si trova prossima al confine con l’Iran). Ma in questo caso alla lista dei problemi irrisolti legati al territorio tra Armenia e Azerbaigian si aggiungerebbe un’altra questione territoriale (corridoio di Meghri) e la situazione si complicherebbe ulteriormente. Pertanto, questa opzione si è rivelata inaccettabile per entrambe le parti.
Nel 1992 dalla Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (Csce), ora Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), nasce il Gruppo di Minsk per studiare “le questioni connesse al conflitto nel Nagorno-Karabakh e nelle zone circostanti e assisterle negli sforzi volti a conseguire un accordo sulla cessazione del conflitto armato e alla creazione delle condizioni per il dispiegamento di un’operazione Osce di mantenimento della pace”. Nel 1994 diversi furono i tentativi di risolvere il conflitto, specie da parte russa, garante del cessate il fuoco. Nel 1996 l’Osce riconobbe come unico modo per risolvere il conflitto il principio dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, accettato nel maggio del 1997 dal presidente armeno Lewon Ter-Petrosyan, che pagò con le dimissioni l’anno seguente. Armenia e Azerbaigian non sarebbero più riusciti a trovare un punto d’incontro, nonostante il lavorio diplomatico messo in campo anche dalla vicina Georgia. Il piccolo paese caucasico da sempre mantiene la neutralità verso ambedue i paesi coinvolti nella crisi. Il governo georgiano ha dichiarato di esser pronto a fare da tramite tra i due paesi contendenti, o ad ospitarne i governi, per riaprire il dialogo. Sicuramente, non sarebbe conveniente neanche per la Georgia l’escalation del conflitto nella regione, che si vedrebbe bloccato il suo faticoso avvicinamento all’occidente.

L’interesse della Russia, il “padrone” della regione in epoca sovietica, si è visto sia nella fasi di intensificazione che di congelamento del conflitto, in quanto potenza in grado di interpretare agevolmente il ruolo di negoziatore. L’intenzione russa non andava letta dietro le righe, era ovvia: tenere sotto la sua influenza i partecipanti al conflitto. Nessuno potrà però mai convincere l’Azerbaigian che la Russia non prenderà le parti dell’Armenia e non le offrirà la protezione del suo ombrello. Per rafforzare il suo punto di vista, il governo azero ricorda gli anni 1994-1996, quando il Ministero della Difesa Russo mandò in Armenia il sostegno di ulteriori effettivi. Il mantenimento dello status quo nell’attuale conflitto è dovuto ad un altro importante interesse russo: le risorse energetiche dell’Azerbaigian. Seguendo le orme degli investimenti americani nel bacino del Caspio, anche le politiche energetiche ed economiche russe nei confronti dell’Azerbaigian si sono intensificate. Mosca sta cercando di rafforzare i legami con l’Azerbaigian attraverso la sua posizione nei settori strategici dell’economia. Ma adesso che interesse potrebbe avere la Russia in questo conflitto? Il risultato più ottimistico degli attuali combattimenti, dicono anche gli analisti del New York Times, sarebbe un ritorno allo stesso infelice status quo precedente alle attuali scaramucce, piuttosto che una guerra più ampia, che potrebbe attirare nel gioco anche la Turchia, a sostegno dell’Azerbaigian. Si capisce come la Russia non abbia interesse a perdere influenza sull’Azerbaigian al quale, tra l’altro, continua a vendere armi. Se il conflitto arriverà al punto che la Russia sarà obbligata ad intervenire, non potrà fare comunque molto proprio per i motivi sopradescritti. A meno che i comportamenti della Turchia non la spingano a cambiare registro.

A partire dagli anni ‘90 la Turchia ha sempre sostenuto, apertamente, l’Azerbaigian. Nonostante ciò, la Turchia è stata uno dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza dell’Armenia. La stessa Turchia nel 1993 ha chiuso le frontiere con essa, proprio per la questione del conflitto del Nagorno-Karabakh. In più aveva affermato, che se la frontiera di Nakhichevan fosse stata in pericolo, la Turchia sarebbe intervenuta in aiuto dell’Azerbaigian. In tutti gli anni successivi l’Azerbaigian ha goduto del supporto della Turchia, che però non è mai andato oltre le affermazioni di principio. Solo dal 2016 le cose sono parzialmente mutate. In Azerbaigian i soldati turchi addestrano ora le truppe azere, mentre l’Azerbaigian rafforza il suo rapporto acquistando da Ankara armi, soprattutto droni.
L’Armenia ha un motivo per essere preoccupata: la Turchia negli ultimi anni conduce spesso operazioni militari al di fuori dei propri confini. Prendendo le parti dell’Azerbaigian in caso di un innalzamento del conflitto, la Turchia non esiterebbe a condurre azioni militari anche contro l’Armenia.