Pier Luigi Battista, sul Corriere, ha oggi rilevato che Di Maio non si è limitato ad augurare “formalmente” a Berlusconi una “pronta guarigione” dal Covid. Ma si è spinto a dichiarare: “Spero si riprenda presto e che combatta con la forza che lo ha sempre contraddistinto anche questa battaglia”. Così facendo, avrebbe compiuto un “riconoscimento politico” di colui che invece, pressocchè costantemente, era stato presentato come “l’orco, l’uomo nero, il nemico, il gangster B.”, perché “con B. c’era inimicizia assoluta”. A questa condotta, che Battista afferma si sarebbe certo attesa da “qualunque avversaro politico”, “ma non dall’autore del messaggio”, riconosce il valore di “un piccolo, piccolissimo segnale di disgelo”. In realtà, qui, l’illustre osservatore dice meno di quello che pensa. Perché la sua conclusione è assai più impegnativa: “Non era così scontato che avvenisse. Un passo, forse più importante di ciò che appare.” Traducendo da tanto dico-e-non-dico, secondo Battista, con gli auguri non “formali” a Berlusconi, Di Maio avrebbe impresso una svolta al metodo politico: alla comunicazione politica, più precisamente; cioè, per come vanno oggi le cose nel mondo, alla politica tout court. Tanto da aver pure descritto il punto d’arrivo di simile svolta: il “valore della legittimazione reciproca tra avversari”, finalmente riconosciuto. Lasciandosi alle spalle, un “universo politico” dove i predetti avversari “dovrebbero sempre farsi la guerra anche verbale, dove l’insulto, la scomunica, il disprezzo diventano la cifra della lotta politica”.
Se ci siamo così a lungo soffermati su questa analisi, non è per gusto della citazione. Ma perché la si può assumere ad emblema di quella ragionevolezza a metà, di quel chiudere ed aprire i contesti a piacimento, che non sono certo l’ultima ragione per cui la “parola pubblica” suscita generalizzata indifferenza, se non sospetto e diffidenza: comunque, disistima, guardandosi ad essa, perlopiù, come merce irreparabilmente avariata. Battista scrive come se si votasse, certo, il 20 e 21 Settembre: ma del 2030, e non del 2020. E come se, sulla combinazione di voto regionale (com’è noto, si vota per il rinnovo di sei consigli regionali -Liguria, Veneto, Marche, Toscana, Puglia e Campania) e Referendum confermativo del cd “taglio dei parlamentari”, Di Maio personalmente, e il M5S in quanto tale, non si giocassero tutte le loro chanches di rilevante sopravvivenza politica. E come se l’urto o, anche la semplice contraddizione fra parole di segno opposto, per essere credibili, non dovessero “tradurre” una radicale trasformazione di scelte, metodi, mete fondamentali e caratteristiche.
Ed è invece proprio l’essenza stessa del “taglio”, a cominciare dalla turpitudine cruenta del sostantivo, e dell’azione politica evocata, a negare ogni senso al compiacimento di Battista. Il Riformismo per Atti Vandalici, in cui si compendia l’essenza di questa becera iniziativa politica, infatti, non solo non implica alcun cambio di paradigma reale: ma conferma interamente la perdurante e insana esistenza di quell’ “universo politico”, fatto di “guerra anche verbale, dove l’insulto, la scomunica, il disprezzo diventano la cifra della lotta politica”. Solo che “guerra”, “scomunica”, “disprezzo”, anziché essere rivolte ad una parte politica, sono rivolte a “tutta la politica”. Anzichè porsi come uno strumento di una demolizione democratica, aspirano ad esserne il suggello definitivo: gli mozziamo la testa perché “la politica” va colpita con violenza, umiliata, disprezzata. Perché il Parlamento e “la politica”, abbiano quello che si “meritano: l’irrilevanza. La “politica” non è “anche” il Parlamento; la politica è “Il Parlamento”.

Ora, si obietta, che i “riformatori” non intendono certo sopprimerlo; ma, addirittura, renderlo più “funzionante”. La “funzione” del Parlamento è “rappresentare”, in primo luogo; sicchè, per la verità, meno il Parlamento rappresenta, meno “funziona”. Se un “territorio” deve avere voce “a Roma”, tanto più ristretto esso sarà, quanto più nitida sarà la sua “voce”; altrimenti, dovendo veicolare più ampie moltitudini, più vasti e articolati interessi, ne verrebbe solo un’inerte e caotica convulsione.
Troppi rappresentati, da pochi rappresentanti, nessun rappresentato. Ma non solo rappresentanza.
Il Parlamento controlla: il Governo, e l’intero apparato amministrativo che ne dipende. Ogni ufficio, ogni carta da bollo, ogni letto d’ospedale, ogni banco di scuola, ogni metro di ferrovia, di strada, ogni piccolo e grande monumento, soprattutto, ogni euro, ogni lavoro e posto di lavoro, sono cura del Governo: ma sotto il controllo del Parlamento. Questa “funzione” di controllo, a ben vedere, è il nodo della questione. Ed è un nodo decisivo. Senza farla troppo lunga, l’On. Manuel Tuzi, del M5S, ha spiegato qual è lo scopo ultimo del “taglio”: “Un Parlamento ridotto numericamente può essere controllato meglio”.
Ecco il punto: bisogna votare SÌ, proprio per trasformare “la funzione” del Parlamento: da controllore a controllato. Ma non basta: è la motivazione ad essere illuminante: “perché maggiore è il numero di parlamentari, maggiore è il numero di persone che possono essere potenzialmente corrotte”.
La posizione politica così espressa può avere solo una conseguenza: la soppressione del Parlamento, la sua “soluzione finale”. Se “più parlamentari”, “più corrotti”, allora, “nessun parlamentare”, “nessun corrotto”. Secondo l’originario e mai dismesso progetto eversivo di Casaleggio Jr: “Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”; Luglio 2018
Scrive Battista che gli auguri di Di Maio a Berlusconi costituiscono “Un passo, forse più importante di ciò che appare”. Gli scampoli verbali tattici, ai quali Battista guarda con tale sollecitudine, sembrano piuttosto volti a suscitare qualche consenso dal “moderatismo antipolitico”. Ma se di “passo, forse più importante di ciò che appare” si vuole proprio discutere, ci pare che si tratti di un primo passo verso la liquidazione della Democrazia: la quale si situa all’opposto da ogni “ci penso io”, da ogni “questo lo dice lei”.

D’altra parte, quanta mala fede vi sia nel sedicente “miglioramento chirurgo”, se non bastasse a dimostrarlo l’intero “curriculum” dei “democratici diretti”, infarcito anche di “mandato imperativo” (per cui il parlamentare-e la sua rappresentanza territoriale- dovrebbero diventare schiavi del “vincolo di mandato”), e Referendum propositivo (per cui le leggi sarebbero “utili”, in diretta proporzione alla fibrillazione caotica, più o meno digitalmente indotta, in cui la persona è solo un numero), è comprovato, fino alla saturazione, dall’opposta “linea” tenuta su altre primarie Istituzioni: chi, fra “mutilatori” e loro ruffiani, ha mai proposto “il taglio” della Magistratura, nonostante la sua ormai endemica carenza di “funzione”? E avrebbe senso alcuno, proporre “il taglio” degli ospedali, pur fra i ricorrenti casi di mal “funzionamento? O della scuola, nonostante i tanti conclamati analfabeti con la laurea (di cui pure il Governo è prodigo esemplificatore)? Si propone in questi casi, semmai, e a ragione, di rafforzare, di aumentare, di accrescere la sanità e l’istruzione.
La rappresentanza politica è insieme la sanità e l’istruzione democratica di una Repubblica. Se parte del ceto istruito di questo Paese, seguita a discutere con simili impostori o, peggio, a dirsi magari critico, ma in fondo non preoccupato della possibile vittoria del SÍ, è perché ha già fatto la sua scelta: e può contrabbandare un cortese bigliettino di auguri con un diabolico manifesto politico; la parola, con la chiacchiera; la verità, con la menzogna. Questo connubio attivo-passivo dirigenzial-plebeo, lo abbiamo sperimentato già una volta.
Non è affatto detto che dobbiamo rifare tutto daccapo.