Matteo Salvini andrà a Processo, per sequestro di persona e altro, contestatogli per la vicenda Open Arms. Il Senato ha autorizzato ieri il rinvio a giudizio. Nel suo intervento, l’ex Ministro dell’Interno ha ribadito le sue note argomentazioni, la difesa dei confini, gli sbarchi. Ha poi introdotto due citazioni, una, piuttosto temeraria, di Luigi Einaudi; l’altra, invece, del noto magistrato Palamara: invece, furba, ma non per questo meno pregnante.
Sul Processo che verrà, infatti, Salvini ricostruirà le sue fortune politiche, al momento, se non declinanti, certo strette fra l’ascesa costante di F.lli d’Italia e le opacità gestorio-epidemiche del suo luogotenente più significativo, il Presidente della Regione Eponima, Attilio Fontana.
Simile evoluzione, infatti, sarà resa possibile da un fatto nuovo, nel frattempo intervenuto da quando si ebbero le vicende “Diciotti” e “Open Arms”: troppo frettolosamente sottovalutato in sede anche critica, quanto protervamente minimizzato in sede istituzionale: liturigue e magniloquenti atti di dolore a parte. Esso ha un nome: “Palamara”.
Non è solo excamotage forense, quello ideato da Giulia Bongiorno e ripetuto da Salvini: “Oggi festeggia Luca Palamara”.
È nodo politico, e dei maggiori. E questo dato rimane immutato (e immutabile) quale che sia il valore conoscitivo, investigativo o latamente giudiziario di quelle comunicazioni corrive: “Anche se ha ragione, sui migranti Salvini va attaccato”.
Fossero pure destinate formalmente a rimanere “chiacchiere digitali”, tuttavia, esse possiedono una tale forza di compendio; sono capaci di evocare una tale vastità di impunita manipolazione; di fattispecie che vanno e vengono; di assoluzioni fatte valere come condanne e viceversa; di dominio incontrollato sui corsi maggiori e minori della vita repubblicana; di sevizie su nomi tanto famosi che anonimi; di Processi alla Storia e al Creato Tutto; dunque, una tale sequela di compiaciuto strapotere, rivendicato e protratto ormai da decenni, che quell’inciso-programma: “anche se ha ragione”, è destinato a stagliarsi nel giudizio collettivo della Questione-Salvini con la forza di un prim’attore; che occupa da solo il palcoscenico, e si rende esso stesso Significato Unico, decisivo: irremovibile dagli sguardi, dai pensieri e dai sentimenti di chi osserva.
Che un così vistoso argomento -Palamara/ANM/Disordine Giudiziario- sia stato lasciato nelle mani dell’ex (?) Compare del M5S, tutto preso dall’attitudine marcescente del carcere, dalla forza liquidatoria di celle senza più chiavi per riaprirle, dalla Difesa Istigatoria, dalla condivisione, con pretesa furbetta (ma in realtà solo pelosa) della “Prescrizione Mai”, nonché, padre di due cd Decreti-Sicurezza presto adottati e protetti dagli “avversari” PD/M5S (finché la Corte Costituzionale non ha, almeno in parte, colpito simile connubio antiumano), non sposta di una virgola l’efficacia del Canone-Palamara; e, semmai, aggrava ulteriormente la mediocrità politica di cui fanno quotidiana mostra proprio i “partiti del progresso”.
In una prospettiva, diciamo, teorica, sappiamo che la tensione fra Giustizia e Politica può risolversi in una rinuncia spinta fino ad intensità epilettiche: con la Politica che si eclissa ad esclusivo favore della Giustizia. Inducendo a rivendicare Il celebre “Fiat Iustitia et pereat mundus”, in una versione che a ben vedere risulta più irrigidita che inflessibile: dove il “Fiat Iustitia” è ridotto a Dies Irae (“Si faccia Giustizia, e rovini pure il mondo”).
Ma nella sua enunciazione kantiana, la più nota e autorevole, il “Fiat Iustitia” è principio di sublimata rettitudine e, se razionalmente inteso, afferma più esattamente la necessità morale di porre la ricerca del giusto al primo posto fra “gli scopi” (il telos etico) dell’uomo.
Il correttivo ideato da Hegel: “ne”, latinamente, “affinché non” (“Fiat Iustitia, ne pereat mundus”, “Si faccia Giustizia, affinché il mondo non rovini”), secondo la mezzana (eh sì), e sempre saggia compromissione storicistica, cioè, “secolare”, tiene peró conto della Natura umana: quel tanto che basta a prevenire che la sublimazione trascenda in evanescenza. Così, si introduce simile correttivo affiancando al “Fiat Iustitia” una tendenza “mondanamente” riequilibratrice: la Giustizia serve il mondo, per migliorarlo, elevarlo, non distruggerlo.
Ora, Salvini che bullizza da Ministro dei poveracci, fa azione di prepotenza e di crassa propaganda. Dunque, di ingiustizia.
Ma Salvini non è tutta l’Italia; e nemmeno quella stessa che afferma di rappresentare (se riesce in qualche modo a farlo, questo dipende in buona misura dalla “polarizzazione comoda”: l’asset primario della presente Maggioranza e del camaleontico corteggio di “pensatori al seguito”). Nè, Salvini, è “l’Ultimo giorno d’Italia”.
Costui, in un tempo meno democraticamente agonizzante, avrebbe dovuto avere vita politica assai più effimera. Ma chi ha voluto il Governo Conte II, vuole un Salvini duraturo, che fomenti paura, aggressività; che giustifichi “un assetto di impressioni e di emozioni” quale mellifluo Instrumentum Regni (“Religio”, nella sua accezione originaria): in cui le parole tengono ufficio e ruolo delle cose; e che renda necessario, perchè “emergenziale”, l’abuso sistematico e intangibile di ciò che riconduce “il mondo” alla Giustizia: l’Apparato Giudiziario.
Quell’insieme di persone e di interessi, il cui perimetro non si esaurisce nella Magistratura Associata (vi sono sempre singolari eccezioni), comprende anzi vari cointeressati, e che non riconosce “la ragione”, ma la usa, la falsifica, la uccide impunemente e incessantemente.
Il giudizio parlamentare sulla vicenda della Open Arms, pertanto, non è stato un giudizio sulla plausibile ipotesi che un Governo della Repubblica, tramite il suo Ministro dell’Interno, abbia commesso uno o più reati apparentemente “funzionali”: Salvini magari crede di essere stato Leonida, ma è stato solo un cattivo e cinico capopopolo, munito di ampi poteri coercitivi e statuali, che si è accanito su alcuni naufraghi. Non c’è dubbio. E non c’è altro.
Ma quel giudizio si doveva rendere alla sua dimensione politica: l’unica che poteva svelare continuità dove si vorrebbero alterità (cosa dire, ad es. dei perduranti gulag libici?); che pretende confronti fra posizioni simili (cosa, degli infiniti minuetti in cui volteggia l’ineffabile Ministro Lamorgese?); e che non demanda la definizione di “chi siamo” all’arbitrio “legalizzante”: svelato, sia chiaro, non da una chat, ma da decenni di prepotenze e violenze che, semmai, proprio in quanto tali, rendono esse credibili quella chat, e non viceversa.
Questo esame politico però non si voleva, non si è voluto. Perché si dovevano riaffermare “Pieni Poteri”. Silenziosi, efficaci, consapevoli di sè, fino ad essere persino capaci di pilotare l’inabissamento di colpe mastodontiche.
Pieni Poteri. Quelli veri. Non quelli vagheggiati da un Cretinetti alticcio, fatto ascendere a Serio Pericolo ad usum Delphini, e di pesciolini vari.
Quei Poteri che valgono non a migliorare un mondo -di libertà misurata dalla responsabilità- ma a distruggerlo: nella menzogna di differenze, etiche, culturali, istituzionali false e bugiarde.
“Il Senato ha votato per mandarmi a processo. Contro di me festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità. Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia: lo rifarei e lo rifarò, anche perché solo in questo luglio gli sbarchi sono sei volte quelli dello stesso periodo di un anno fa, con la Lega al governo.
Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita, guarderò tranquillo i miei figli negli occhi perché ho fatto il mio dovere con determinazione e buonsenso. Mi tengo stretto l’articolo 52 della Costituzione (“la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”) e ricordo le parole di Luigi Einaudi: “Quando la politica entra nella giustizia, la giustizia esce dalla finestra”. Non ho paura, non mi farò intimidire e non mi faranno tacere: ricordo che per tutti i parlamentari, presto o tardi, arriverà il giudizio degli elettori”.
Così il leader della Lega, Matteo Salvini, sul proprio profilo Facebook.