Il prodotto finale del dramma politico americano che si è consumato nelle ultime dodici settimane a Washington, è stato distillato nei giorni scorsi nei due articoli di destituzione (articles of impeachment) che i membri della Commissione Giudiziaria della Camera dei Rappresentanti hanno elaborato in seguito alle testimonianze raccolte.
Dei due articoli, che sono praticamente dei capi d’accusa, il primo si riferisce all’abuso di ufficio che Donald Trump avrebbe commesso col maldestro tentativo di influenzare a suo vantaggio l’esito delle elezioni presidenziali americane del 2020 sollecitando l’intervento di uno stato estero (l’Ucraina).
Il secondo è collegato all’ostruzionismo che la Casa Bianca avrebbe perpetrato impedendo ad alcuni membri dell’amministrazione di testimoniare sui fatti avvenuti, in barba alle citazioni a giudizio emesse dalla commissione stessa.
I passi successivi consistono nella messa al voto alla Camera dei due articoli e, nel caso che almeno uno venga approvato (come è quasi certo), il Senato avrà la responsabilità di portare a termine il dibattimento processuale o, per meglio dire, di fingere di farlo dal momento che la maggioranza repubblicana, in una monumentale dimostrazione di faziosità, ha già dato prova di essere completamente indifferente alla clamorosa evidenza dei fatti emersi sinora e intenzionata a “assolvere” Trump a prescindere da tutto.
Ma come è avvenuta questa stupefacente trasformazione del Partito Repubblicano americano da patriottico bastione della sicurezza nazionale a servile adulatore e complice compiacente di un presidente che per ben due volte è stato implicato in casi di interferenza straniera negli affari nazionali degli Stati Uniti?
Per comprendere appieno questo passaggio occorre fare un passo indietro nel tempo di qualche decennio.

LA METAMORFOSI
In genere, chi vince le elezioni e si ritrova a governare ha il diritto di farlo secondo le sue specifiche convinzioni ideologiche e al meglio delle sue capacità.
Uno dei princìpi fondamentali della democrazia tuttavia è che, chiunque svolga queste responsabilità di governo, lo faccia sempre in ottemperanza alle leggi esistenti e nel generale interesse pubblico ovvero proponendo iniziative politiche che giovino al maggior numero possibile di persone.
Chiunque abbia un minimo di esperienza gestionale, sa benissimo che in qualsiasi organizzazione complessa (incluso uno stato nazionale) gli interessi dei gruppi che lo compongono sono spesso contrastanti e che è quindi impossibile far sempre tutti contenti. A prescindere da quale azione si intraprenda, si finirà sempre col pestare i piedi a qualcuno.
E tuttavia lo sforzo, da parte di chi ci governa, dovrebbe essere sempre quello di tentare di agire nel pubblico interesse un po’ come l’arbitro di una partita che, pur tifando in cuor suo per una delle due squadre, ha la fondamentale responsabilità di far osservare le regole del gioco e di agire in maniera imparziale.
Le elezioni si vincono con il sostegno dei tuoi elettori ma, una volta al governo, si deve agire nell’interesse di tutto il paese, non solo di coloro che ti hanno votato.
Il dramma dell’attuale scenario politico americano consiste nel fatto che il Partito Repubblicano ha smesso da tempo di agire secondo questo fondamentale principio.
L’obiettivo essenziale di ogni governo è quello di risolvere i problemi che affliggono la gente ma per il GOP, da anni ormai, l’azione di governo è sinonimo solo di esercizio di potere. Un esercizio di potere che, lungi dall’agire nell’interesse della maggioranza, viene impiegato per soddisfare gli interessi di un’esigua minoranza della popolazione: le grandi multinazionali e le oligarchie industrial-finanziarie che le controllano.
L’evidenza di questo stato di cose è sotto gli occhi di tutti, facilmente identificabile attraverso le iniziative politiche sostenute e attuate dai repubblicani nell’ambito legislativo.
Tagli alle tasse che, in un sistema fiscale proporzionale, favoriscono le classi agiate privando le casse pubbliche dei fondi necessari a programmi sociali di pubblica utilità.
Smantellamento di norme ambientali che tagliano i costi di impresa scaricando sulla collettività il prezzo dei conseguenti danni alla salute.
La legittimazione della sentenza Citizens United che svende le cariche politiche (e quindi la democrazia…) al miglior offerente, cioè ai più ricchi.
L’opposizione dogmatica ad ogni tipo di controllo sulla vendita e sul possesso delle armi da fuoco per tutelare i profitti commerciali dei produttori, in barba alle ricorrenti stragi che ormai si susseguono con macabra regolarità.
L’opposizione ad oltranza ad ogni riforma del sistema sanitario per salvaguardare, attraverso il mantenimento dello status quo, gli interessi dell’industria farmaceutica ed assicurativa.
La manipolazione dei meccanismi elettorali per vanificare il voto di specifici gruppi etnico-sociali.
La lista potrebbe continuare a lungo ma l’elemento comune resta quello della tutela degli interessi economici di una minoranza (i ricchi) attraverso iniziative politiche che vanno a discapito della maggioranza della popolazione.

Alla luce di questo, per anni, il problema principale del Partito Repubblicano è stato questo: come continuare ad agire secondo questo principio antidemocratico quando, per governare, servono i voti di una maggioranza? In altre parole, come assicurarsi il consenso elettorale di quelle stesse persone danneggiate dalle sue iniziative politiche e che costituiscono la maggioranza dell’elettorato?
La strategia conservatrice utilizzata per distogliere l’opinione pubblica dalle proprie velleità egemoniche si è basata su due metodi: strizzare l’occhio in maniera subdola e ambigua ai pregiudizi razziali che sono parte integrante della cultura americana (a iniziare dalla Southern Strategy inaugurata da Richard Nixon) e creare intenzionalmente dissidi culturali per aizzare un gruppo sociale contro l’altro.
Aborto, relazioni gay, diritto al porto d’armi, il ruolo della religione nella vita politica, le critiche al “politically correct” e persino le polemiche sugli auguri di Natale sono solo alcuni dei temi utilizzati per provocare conflittualità sociale e spostare la dialettica politica dalle questioni economiche a quelle di “valore”.
Una strategia che ha trovato terreno fertile in quel segmento più disinformato e meno istruito della popolazione che costituisce le zoccolo duro dell’elettorato repubblicano e sulla cui ottusità auto-lesionistica le destre di tutto il mondo possono sempre contare per assicurarsi la permanenza al potere.
IL SANFEDISMO
Che le élite ricche del paese dall’alto del loro cinismo accolgano con entusiasmo i programmi politici repubblicani concepiti specificamente per tutelare i loro interessi non sorprende nessuno.
Più incomprensibile è il fatto che la propaganda conservatrice sia riuscita ad abbindolare una porzione considerevole dell’elettorato americano convincendolo a sottoscrivere programmi politici autodistruttivi. Basti pensare che durante le scorse elezioni presidenziali milioni di americani appartenenti ai ceti bassi e medio-bassi hanno votato con entusiasmo per un partito che annoverava esplicitamente nel suo programma politico l’eliminazione dell’assistenza sanitaria per milioni di quelle stesse persone.
In realtà non c’è niente di nuovo in questa scellerata alleanza tra le élite che utilizzano simboli e valori tradizionali per manipolare la porzione meno sofisticata dell’opinione pubblica e indurla ad andare contro i propri interessi. Nella tradizione storica italiana c’è persino un termine per definirla: Sanfedismo. Ciò che è nuovo in America è la dinamica tra queste due parti sociali.
Tradizionalmente le élite americane, le oligarchie economiche che controllano la grande industria, la finanza e la politica, hanno sempre usato i propri sanfedisti (fanatici religiosi, massimalisti del Secondo Emendamento, razzisti, attivisti antigovernativi, negazionisti della scienza, seguaci di teorie cospiratorie ecc.) alimentandone convenientemente paure, speranze e risentimenti al momento opportuno, cioè in vista delle elezioni, per assicurasene il sostegno alle urne, ignorandone poi puntualmente le (spesso folli…) rivendicazioni una volta raggiunti i propri obiettivi elettorali.
L’elezione di Donald Trump rappresenta il culmine nel graduale capovolgimento in questo rapporto di forza tra le due parti: il “mostro sanfedista”, prima creato e poi sfuggito al controllo del ricco dottor Frankenstein, ha preso il sopravvento installandosi solidamente nelle aule del potere e ora tutti i politici repubblicani, inclusi gli ex-critici “moderati” alla Lindsey Graham, devono fare buon viso agli “orrori” da esso quotidianamente perpetrati.

L’affermazione di questa nuova “pluto-idiocrazia” regala ai comici televisivi locali una fonte di materiale praticamente inesauribile.
Come dimenticare il leggendario intervento di James Inhofe al Senato munito di una palla di neve per “dimostrare” che l’Effetto Serra sarebbe una bufala?
O gli esordi politici di Donald Trump inaugurati dalle sue assurde accuse all’ex presidente Obama di non essere cittadino americano?
O i proclami di Chuck Grassley che la riforma sanitaria di Obama istituisse fantomatici “comitati per l’eutanasia”.
Gli esempi sono talmente numerosi che ormai ci sono interi siti web dedicati alla catalogazione della quotidiana valanga di comiche follie e ipocrisie pronunciate e perpetrate da un partito politico ormai in piena bancarotta morale e culturale.
Purtroppo questa sconcertante devoluzione del Partito Repubblicano nelle derive dell’irrazionalità sta facendo apparire l’America come una delle tante, proverbiali repubbliche delle banane che si sono succedute nel corso della storia e i danni di lungo termine alla sua reputazione nel mondo lascia ben poco da ridere.
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