“Chi è nato alla vita politica adulta sotto il segno, equivoco, buio, tragico, di Mani Pulite, con la morte di Francesco Saverio Borrelli, avverte il tonfo secco di una porta che si chiude.
Ogni uomo si definisce dalle sue opere e dai suoi giorni, per dirla col poeta. Sicché, se la lealtà implica verità, e questa è necessaria ad assicurare dignità alla parola, noi, qui e ora, dobbiamo stare alle une e agli altri.
Non fu un’indagine, quella; né il dott. Borrelli, un Procuratore della Repubblica.
Fu la rifondazione del Pastore Militante e la riscoperta dell’Eresia.
La Repubblica Italiana, storicamente ancora giovane, i nomi, i simboli che l’avevano eretta e sostenuta, vennero cancellati.
Il diritto, penale, processual-penale, nato per l’individuo, e mai contro di esso, fu mutato in Demiurgo Castigatore di moltitudini.
Non condotte, ma “sistemi”; non responsabilità da supporre prima e giudicare poi, ma colpe perenni da emendare in pubblici lavacri: peccati da espellere fuori di ogni tempo.
Oggi una si chiude, ma allora un’altra porta fu aperta: e venne la discesa verso l’oscurità sotterranea dei nostri secoli bui: l’inchiesta inquisitoria, i ceppi a ripristinare la tortura confessoria, le chiamate di correo concordate, il premio alla delazione, l’Accusa Degradante, la Gogna ordinata alla lapidazione preventiva, sconcia mansione demandata ad un bivacco permanente, nutricato di veline sciorinate come pastura per il branco.
Di nuovo il Pulpito; di nuovo il Bene e il Male come dicotomia falsa e sacerdotale; di nuovo i purgati, i dannati.
Il Finanziamento dei partiti come Mito Negativo: reso arbitrariamente capace di giustificare distinzioni sul filo della storia e della geopolitica. Un’improprietà fondamentale; anche perché, a tenerla davvero ferma, alla luce di questo complicato paradigma, quelli che furono ritenuti tendenzialmente Buoni, invece, erano e sarebbero dovuti tendenzialmente risultare i Cattivi.
Sarebbero però spariti tutti. Chi prima, chi dopo, i vecchi partiti di massa sparirono comunque tutti.
Con Mani Pulite rivinse l’odio di quelli che gliel’avevano giurata, alla Repubblica Democristiana. Nostalgismi, e velleitarismi non meno confusionari che rivoluzionari, e nemmeno del tutto bene accetti nelle rispettive aree di appartenenza, dal 26 Aprile 1945 si erano incistati nelle carni di un corpo sociale ancora martoriato dalle ferite della guerra, ma desideroso e pronto alla guarigione. Quelli, acquattati (in realtà il loro Spirito Politico, se così si può dire), attendevano il momento buono per consumare una vendetta contro un qualche perenne, nascosto e metamorfico Gran Nimico.
Come parassiti petulanti gli uni e gli altri si attribuirono demeriti esclusivi. Mentendo.
Perché la “Continuità dello Stato”, le inerzie del Fascismo appena sepolto si muovevano sullo stesso piano in cui, invece, molti Littoriali, in italianissima concordia discorde, subito si erano fatti Intellettuali Organici.
Queste, però, erano state le vischiosità necessarie di un parto radioso: quello della Repubblica che spingeva per nascere, e nacque infine, a riscattare anche le ignominie regie.
Tale memoria, tale complessità, tali verità di ognuno, e da ognuno vissute e tramandate, andavano considerate e spiegate nel 1992, quando si pretese inscenare una frenetica Resa dei Conti.
Purtroppo non accadde. Allora, i peggiori arnesi: culturali, sentimentali, politici, che erano già stati sperimentati contro l’Idea Parlamentare, contro il Principio di Libertà, effettivo solo se informatore e vincolante, tornarono all’onore del mondo.
Veicolati dalle turbolenze palingenetiche degli anni ‘70, un decennio “di svolta”.
Col terrorismo e con le bombe parve che quei nostalgismi e quei velleitarismi si fossero consegnati ad una cruenta dissoluzione. Avvenne però una mutazione. Preparatoria della Supplenza.
La Magistratura Consapevole si era rafforzata, e posta come Tutore del Popolo. Ne ebbe insegne e poteri d’eccezione. Capì. E attese che il “peccato originale repubblicano”, combattuto dai carnefici sconfitti in modo primitivo, si offrisse alle “condizioni” (Copyright Davigo) per il suo Castigo Adeguato. Evoluto, legale, legalistico.
Si udí pertanto la replica di una storia mendace, in cui le Istituzioni Politiche avevano solo vellicato pulsioni nichiliste, giocato ad un faustismo bassamente autoreferenziale, e nessuna sanità pubblica, nessuna pubblica istruzione, nessuna libertà, nessuna ricchezza diffusa, nessuna via alla modernità potevano essere riconosciute come risultato comunque corale, e convogliate a comporre un quadro vario, asimmetrico, anche bruttarello volendo, ma unitario.
Quel peccato rimaneva Il Tutto. Un solo, unico, Tutto, da liquidare, perché quelle oscure nostalgie e quelle micidiali velleità, sotto nuovi paludamenti, celebrassero la loro Vendetta.
Classi Dirigenti economico-finanziare, dopo gozzoviglie più proprie che comuni, avendo deciso che la Festa era finita, si alzarono senza pagare il conto.
A questo punto ogni cosa era pronta. Ci incamminammo per la Via del Disonore.
Via la politica organizzata, che, bene o male, era stata di tutti; via i partiti; via il pudore dei legami e gli oneri della memoria.
Emersero costruzioni tribunizie e congenitamente fuori mestiere, ad occupare il campo, dando vita ad un anomalo Consolato Apartitico: in cui, tuttavia, uno dei due, ogni tanto, almeno era misurato da un qualche suffragio popolare.
L’altro Console, ieratico, puro, seguitava ad inquisire, forte dei suoi stessi errori, prova orribile anzi, di una condizione irresponsabile, legibus soluta. E, pallido, inarrivabile, con mano benedicente e istigatrice, si volgeva verso folle tornate folli e acclamanti, ad assediare il Parlamento, stretto fra cappi padani e larussiane richieste di “resa”.
Vocianti e sudaticci Precursori degli abomini “del cambiamento”.
Condotta la Repubblica in Tribunale, fra l’ignobile sabbah del Popolo delle Monetine, Borrelli non Le volle riconoscere, nel volto e col volto di Craxi, nemmeno l’onore delle armi: recandosi, anche solo a presenziare, dove pure l’altro si era recato, accettando la metalogica e persecutoria qualità di “indagato in procedimento connesso”.
E fu un disconoscimento radicale. E radicalmente ingiusto.
Quale compendio per la divulgazione della Rivoluzione Italiana, in redazioni manutengole e in dirette televisive costruite sulla manipolazione, fu steso il manuale dell’invettiva, della maledizione, dell’ostilià come via alla salvazione. Compulsato voluttuosamente, in prime time e a tutta pagina. Ogni sera, ogni giorno, anno dopo anno.
Oggi, epigoni di bocca buona, come due più due che è uguale a quattro, hanno raccolto quegli insegnamenti: il diritto come patibolo, la parola come veleno, il passato come peccato originale.
Certe porte non andrebbero mai aperte. Sigillate, semmai. E non possiamo nemmeno dirci certi che, alla vista del presente abisso, un così spietato giurista quanto raffinato cultore dell’Opera, a un certo punto, non ne abbia “avuto scrupolo”: come altrove e di altro Pontefice Massimo fu scritto.
Perciò, come congedo sulla soglia di una porta stavolta unica e ignota, crediamo di dover ribadire il nostro modesto suum cuique.
Ma poiché l’eterno riordina le prospettive e governa la verità definitiva, non manchi qui, né mai, il nostro viatico ad un uomo che se ne va.
Pertanto, da Ulpiano a Virgilio, diciamo pure, con la ferma serenità della parola critica: “parce sepulto”. Riposi in pace.