[Francis Scott Fitzgerald] scrive nel suo taccuino di un curioso ometto di nome Leon Selwyn, o Zelman, che sembrava proprio un aristocratico.
“Chiacchierava con i personaggi della società bene decantando le virtù dei ricchi. Parlava di Coolidge e del Partito Repubblicano con adorazione, il tutto condito da accento bostoniano raffinatissimo.”
“Un’ora dopo”, scrive sempre Fitzgerald “Rimasi di stucco nel vedere lo stesso uomo in cucina interloquire con gli sguatteri. Ora sosteneva di essere un democratico e il suo accento era rozzo, come se fosse uno del popolo.”
Ecco il primo avvistamento di Leonard Zelig.
Se avete riconosciuto la citazione, tanto di cappello: siete dei cinefili di tutto rispetto. Non si tratta di Scott Fitzgerald, ma di un vecchio film di Woody Allen di nome Zelig (1983).
Il film è un mockumentario, ovvero un falso documentario su di un personaggio mai esistito, Leonard Zelig appunto, interpretato da Allen stesso. Il personaggio di fantasia ha la straordinaria capacità di immedesimarsi con chiunque incontri fino al punto di diventare in tutto e per tutto come quella persona. Un camaleonte umano insomma.
Nel film lo vediamo battitore in una squadra di baseball, psichiatra tra gli psichiatri, parla francese con due francesi, diventa anch’egli obeso quando affianca due corpulenti signori. Messo a confronto con un cinese assume un aspetto orientale. Infine, incontrando due afro-americani, la pelle diventa incredibilmente più scura.

Il film è ovviamente paradossale. Al solito, lo scopo di Allen era quello di rappresentare le nevrosi umane con humor e ironia. Del resto chi di noi non ha qualche parente, amico o collega che siamo riusciti a convincere facilmente delle nostre ragioni appena ieri, ma che oggi ci delude dopo che una chiacchierata dal barbiere gli ha fatto nuovamente cambiare idea?

Il film ovviamente esagera per ampliare l’effetto comico e porta quella figura fino al parossismo. Nella vita reale nessun essere umano arriverebbe mai a quei limiti…oppure sì?
Il dubbio mi è venuto mercoledì e giovedì scorsi. Ma procediamo con ordine.
Mercoledì 27 marzo
Il direttore di VNY Vaccara mi aveva chiesto se avessi voluto essere gli occhi, le orecchie e la voce del giornale per la visita a Washington di Di Maio in arrivo da New York. E io avevo accettato.
Mercoledì scorso mi presento alla nostra Ambasciata per consegnarmi al simpatico (e molto professionale) gruppo di amici che compongono la squadra dell’ufficio stampa.

Dopo una lunga attesa, finalmente il giovanotto di Pomigliano si presenta per alcune dichiarazioni alla stampa. In questo momento percepisco l’effetto Zelig per la prima volta. Ma come, questo non era il ragazzo che saliva sul palco con quel pazzo di Grillo a parlare di decrescita felice e a tuonare contro la finanza internazionale, le banche e le lobby di tutti i tipi? Cosa ci fa ora in Ambasciata in atteggiamento di leader di governo? È forse uno scherzo?
E invece no. Il “deputy prime minister” si piazza tra le bandiere dove tutti lo attendono per le sue dichiarazioni, dopo un incontro con il ministro del commercio dell’amministrazione Trump, Wilbur Ross, e rappresentanti delle maggiori aziende digitale statunitensi: Google, Facebook, eBay, AirBnB ed altre.
“Gliele avrà cantate”, penso io, “come solo un populista del suo calibro sa fare.”
“Ho incontrato Ross…Favoriremo l’interscambio commerciale tra Europa e USA…vogliamo gli investimenti americani in Italia e quelli italiani in USA…gli Stati Uniti sono il nostro partner privilegiato…”
Possibile che un “Deputy Prime Minister” così business-friendly sia lo stesso che in Italia ci parla di quanto sia dannosa la TAV, che sembrava voler chiudere l’ILVA e che, un giorno sì e l’altro pure, prova a convincere il barricadero Dibba, di fede maduriana, a candidarsi alle europee per trascinare le masse anti-sistema a certa vittoria?
Deve trattarsi di un novello Leonard Zelig. L’altra possibilità sarebbe “L’invasione degli ultracorpi”, ma si tratterebbe di fantascienza, mentre Di Maio è reale, parla a un metro da me.
“..e il copyright… e la blockchain con cui si fanno gli atti dal notaio… e l’Intelligenza Artificiale… e le start-up innovative…la nuova economia digitale… Apple, Microsoft, Facebook, IBM, passando per società che investono tantissimo in formazione. Questi soggetti devono in Italia avere la possibilità di lavorare insieme alla digitalizzazione e al processo di innovazione…e i privati…per avviare un grande progetto di investimento…”
Che fenomeno! Se non lo conoscessi, dopo gli anni passati a rifilarci amenità populiste, potrei anche credere che sappia effettivamente di cosa sta parlando.
Quindi, se andassi da un notaio italiano e gli parlassi di firmare un atto tramite blockchain, quello mi direbbe “Certo, facilissimo. Tiri fuori il cellulare e clicki qui”? Oppure mi guarderebbe come se fossi un alieno?
Non basta una normetta per fare le rivoluzioni digitali. Servono le norme tecniche e gli strumenti che le implementino, incluse scelte dolorose tra vendor con soluzioni funzionanti ma proprietarie e standard aperti che magari ancora non ci sono. Decisioni in cui bisogna prendersi la responsabilità di una scelta insomma. Ma questo Zelig non lo sa, e probabilmente manco gli interessa saperlo. La metamorfosi sta avendo luogo. E tanto gli basta.
“E poi gli investimenti per le start-up …e il fondo di investimento. Ci siamo ispirati ai Francesi”.
Chissà se è stato Cristophe Chalencon, il capo dei gilet gialli incontrato da Di Maio il mese scorso, a parlargli di come creare un fondo di investimento per le aziende innovative, magari tra un meeting e l’altro per organizzare il prossimo giro di tafferugli finesettimanali.

Giovedì 28 marzo
Guardo il sito di VNY per leggere gli aggiornamenti.
Leggo che il giorno prima a New York il Ministro del Lavoro aveva dichiarato:
“Auspico nei prossimi giorni di poter lavorare a una norma specifica sugli italiani all’estero, che consenta di non escluderli sul reddito di cittadinanza”.
I conti non tornano, però, se la Deputata Fucsia Fitzgerald Nissoli, eletta nella circoscrizione Nord-America ha replicato:
“Peccato che dove si fanno le leggi, alla Camera dei Deputati, abbia fatto bocciare sia gli emendamenti sia l’Ordine del Giorno di Forza Italia, a prima firma mia, per includere anche gli italiani all’estero che rientrano a vivere in Italia tra i possibili beneficiari del reddito di cittadinanza!”
Questo diavolo di un Zelig ha colpito anche nella Grande Mela, a quanto pare. Ma eccolo arrivare per rispondere alle domande della stampa. Il piatto forte è stato l’incontro con il consigliere per la sicurezza nazionale USA, John R. Bolton.

Al lettore non distratto, non sarà sicuramente sfuggita la fanfara con cui, appena sei giorni fa, il governo italiano ha annunciato gli accordi con la Cina denominati, “la Via della Seta”.
“Per noi oggi è un giorno importantissimo, un giorno in cui vince il Made in Italy, vince l’Italia, vincono le imprese italiane. Abbiamo fatto un passo per aiutare la nostra economia a crescere.” dichiarava il nostro Deputy PM solo una settimana fa.
Ma gli americani di certe cose se ne intendono. Sanno che c’è buona possibilità che l’accordo si porti dietro l’acquisto di tecnologie per le telecomunicazioni, il 5G, e sanno che le tecnologie cinesi per il 5G si portano dietro delle backdoor informatiche in grado di dare un vantaggio militare al governo di Pechino in caso di necessità, incluso poter disattivare le nostre infrastrutture con un attacco DDoS. Su questo aspetto, Bolton ha richiamato il governo italiano.
Luigi Zelig ha prontamente aggiustato la versione e sminuito l’accordo con i cinesi. È solo un accordo per vendere il Made in Italy, le arance siciliane e poco più ai cinesi. Nulla di geopolitico, giuro. L’Italia vuole rimanere nell’Alleanza Euro-Atlantica. Il MISE collaborerà con il consigliere per la sicurezza nazionale USA per evitare rischi alla nostra infrastruttura delle TLC.
Arriva una domanda sul Venezuela. La posizione dei 5 Stelle non si sa bene qual’è. Due mesi fa Di Battista dettava la linea di non interferenza (e quindi di sostanziale sostegno a Maduro), linea che apparirebbe ora inconciliabile con quella americana di pieno sostegno a Guaidò.
“Ho precisato che il nostro governo non riconosce Maduro e pensa che in Venezuela si debba andare a elezioni libere e democratiche il prima possibile”.
Zelig ha appena sistemato anche Maduro.

Conclusione
La conferenza stampa finisce. Il nostro vice PdC ha dato buona prova di sé in fondo: se la paura era quella che il governo populista sfasciasse tutto subito, lo Zelig a 5 Stelle dimostra che loro lo sanno fare anche lentamente. Tutti i partner, a partire dagli americani, ricevono il messaggio che tutto va bene, Madama la Marchesa e quindi non c’è da agitarsi.
Qualcuno potrebbe obiettare che la scelta di gestire così i rapporti internazionali sarebbe stata degna di un Renzi o di un Gentiloni qualunque, ma, a mio parere, quel qualcuno sbaglierebbe. Sarebbe stata degna di un democristiano della prima repubblica.
Possibile che la schiera degli sfanculatori grillini anti-sistema abbia generato un democristiano? Evidentemente sì. Alla fine sfasciare totalmente il paese non serve a nessuno e il modo per non farlo seduta stante passa anche da un approccio Zelig ai problemi.
Ovviamente non c’è molto di cui essere particolarmente soddisfatti. Al solito i grandi temi del nostro presente e del nostro futuro ancora non li affronta nessuno, tantomeno i populisti. Per ora accontentiamoci di un ragazzo di Pomigliano che interpreta il ruolo di statista meglio che può. La gita in USA avrebbe potuto andare peggio di così. (Avrebbe potuto piovere).