Ci si potrebbe chiedere se, in fondo, sia così rilevante sapere se la democrazia francese è centenaria o millenaria.
L’automobile si mette in moto lo stesso, il supermercato apre e chiude, noi compriamo quello che ci serve, la veglia e il sonno si succedono nelle nostre vite, anche senza pensare alla democrazia francese, alla sua durata, alla sua storia.
E, anche se, pur pensandoci, da qualche parte, ne troviamo una antichissima di mille anni, anziché una antica solo di un paio di secoli; o persino se nessuna nozione ne viene sollecitata.
E poi, si potrebbe proseguire, sicuri che l’On. Luigi Di Maio, Vice Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, sia l’unico capace di simili invenzioni? Ma no: certo che no. Anzi, questa sua condizione, si conclude, lo avvicina, e ce lo presenta come “uno di noi”.
Tuttavia, queste e altre similari considerazioni sarebbero mal poste. Perché false e falsificanti.
L’On. Di Maio è il Vice presidente del Consiglio, intanto. In nessun senso, “uno di noi”.
Già questo comporta che le sue responsabilità sono incommensurabilmente maggiori di quelle che gravano su “uno di noi”. Sicché, dovrebbe sapere quello che fa, come lo fa e perché lo fa. E dovrebbe saperlo meglio di “uno di noi”: molto meglio.
Si potrebbe osservare che siamo al punto di prima: “sapere” non si risolve nella conoscenza della storia francese ed europea. Certo. Il sapere non si esaurisce in nessuna nozione particolare. E in nessun campo, a scapito di un altro. Il saper non si esaurisce mai. Come l’ignoranza.
Ma la durata della democrazia francese non è una nozione. E’ un’eco.
Come sapere che il fratello del Presidente della Repubblica in carica si chiamava Pier Santi, è un’eco.
Come sapere che il Generale Augusto Pinochet agì in Cile nel 1973, è un’eco. E via così.
Quei nomi, quei luoghi, quei tempi, hanno suscitato sentimenti, passioni, pensieri, azioni. Per milioni di donne e uomini. In Italia e nel mondo. Il sangue versato, le speranze perseguite, le conquiste conseguite, la vita che allora si svolsero a Santiago, a Parigi e a Palermo, furono conoscenza in senso eminente: perché sorsero dall’uomo, per l’uomo.
Risuonano di verità e di onore, di moto di ciascuno e di tutti verso l’elevazione di sè, verso l’avvenire e il futuro che diviene miglioramento, pegno e testimonianza: promessa di vittoria sul male e sulla malvagità della Tirannia.
Così i libri, con i loro suoni ordinati e puliti non c’entrano. I titoli di studio non c’entrano.
Ognuno che è libero, coglie e sente l’eco di quelle vite. Non un suono distinto e nitido, ma un riflesso sonoro costituisce l’essenza della storia. L’eco è la sintesi, la misura e la forma di una conoscenza che si è fatta diretta e personale: comunicandoci quanto ci basta a nutrire un sentimento di comunità universale. E’ tutto quello che di più prezioso abbiamo. L’eco della storia è il nostro tesoro.
Per questo non ci troviamo di fronte ad un innocente strafalcione.
Siamo invece posti di fronte ad una disposizione interiore da buoni a nulla. Propria di chi ignora la vita; ignora gli occhi, i volti, i cuori di quelle donne e di quegli uomini. Ignora il senso più profondo della fratellanza umana: che si scandisce e si precisa nella comune appartenenza ad un unica vicenda.
Chiunque si adagi sul rilievo puramente letterale della “democrazia millenaria”, del “congiunto” o di “Pinochet del Venezuela”, sia eletto od elettore, osservatore o militante, ha deciso di essere indifferente. Se ne fotte.
Ed è precisamente tale ulteriore movenza interiore, che completa e definisce la miseria, umana e politica, di questa muta di impostori.
Esiste una nota espressione in lingua spagnola, mai compiutamente traducibile (ma è ragione ulteriore di ricchezza, come il vago leopardiano): sin verguenza. “senza vergogna”.
Avere il pudore dell’errore. Averne timore, significa nutrire il desiderio profondo di “sentire” una comunità. Di possedere ciò che è; perché ciò che una comunità è, coincide con la sua conoscenza di sè.
Quando uno, o un gruppo di persone, si fanno vanto di ignorare la vita di una comunità, e proprio per questo pretendono di governarla, in realtà non la governano. Sobillano e gonfiano un sentimento di alterità, di disconoscimento reciproco.
Alimentano un contrabbando delle coscienze: nutrono la rinuncia a sé stessi, alla propria libertà nella conoscenza, e dicono: “emancipazione!”, “cambiamento!”
Spacciano menzogna, e la chiamano verità.
Non sono reggenti di quella comunità, né si preoccupano della sua vita. Ne sono tiranni. E la vogliono uccidere.