Che la sinistra italiana sia in balia di una grave e tormentata crisi di identità non è più una notizia ormai da tempo. Ridotta al silenzio e all’insignificanza politica (nonostante la promessa di fare “dura opposizione” al governo gialloverde), è sempre più percepita come strenuo difensore delle banche e di un sistema economico che genera drammatiche disuguaglianze, irrimediabilmente lontana dalle esigenze delle classi di cui tradizionalmente si faceva portavoce, additata dal popolo del web come l’origine di tutti i mali e spesso descritta come fastidiosamente intrisa di insopportabile spocchia. Le campane a requiem suonano ormai da un bel po’: i primi rintocchi risalgono almeno a quell’avventato referendum costituzionale, dove il rottamatore Matteo Renzi finì a sua volta ingloriosamente rottamato; ma il definitivo tracollo è stato sancito nelle ultime elezioni. Del resto, basterà rivedere gli scroscianti applausi (comunque li si giudichi) che hanno accolto Matteo Salvini e Luigi Di Maio ai funerali delle vittime della tragedia di Genova, accompagnati dai fischi dedicati alle sparute comparse Pd, per avere il polso della situazione. Autocritica e dibattito interno non pervenuti, o limitati a quelle ancora più insignificanti sottoramificazioni partitiche dei vari dissidenti.
Sarebbe forse d’aiuto, alla sinistra nostrana, gettare l’occhio oltreoceano, dove, a partire da New York, sta prendendo piede una giovane e significativa riscossa di nuove leve, democratiche socialiste, sulla scia della “rivoluzionaria” esperienza di Bernie Sanders alle primarie del 2016. Non meno importante, molte di queste leve sono donne. Un fenomeno ingiustamente poco messo in rilievo in Europa e in Italia, ma che andrebbe invece osservato con lungimiranza.
Uno dei simboli, perlomeno a New York, di questo coraggioso drappello è Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, nata nel Parkchester, quartiere povero del Bronx, dove ancora oggi vive in un modesto bilocale. Il 26 giugno scorso, Ocasio-Cortez è stata protagonista di un autentico exploit politico, nel quale ha battuto, nelle primarie democratiche per il Quattordicesimo distretto congressuale, il suo avversario Joseph Crowley, il politico più potente della contea del Queens nonché un democratico di lungo corso alla Camera dei rappresentanti. E nelle elezioni generali in autunno, la 28enne del Bronx sembra essere superfavorita nel confronto con Anthony Pappas, professore al Peter J. Tobin College of Business.
Il New Yorker l’ha definita “ben educata, disciplinata, accorta, padrona di sé”, mentre The Nation parla già di “Alexandria Ocasio-Cortez Effect”. E come membro dei Democratici Socialisti d’America, il suo percorso ha suscitato non poche isterie: il Post ha commentato la sua vittoria con l’inequivocabile titolo “Red Alert”, mentre il New York Times ha sentito il bisogno di ricordare che “anche Hugo Chavez si definiva un democratico socialista”. Di certo, la sua storia parla per lei. Figlia di un architetto nato povero nel Sud del Bronx e di una donna, anche lei nata povera, originaria di Puerto Rico, Alexandria ha avuto accesso all’istruzione privata, troppo spesso appannaggio esclusivo dei bianchi, grazie alla tenacia della sua famiglia e alla generosità dei suoi parenti. A 17 anni, era riuscita a risparmiare denaro a sufficienza per poter frequentare la Boston University, dove si è laureata, con successo, nonostante, nel frattempo, la morte prematura del padre avesse sconvolto gli equilibri familiari.

Il ritorno nel Bronx ha forgiato il suo carattere e la sua esperienza politica: per evitare alla madre e al fratello la bancarotta, ha lavorato a lungo come cameriera e barista, ma è stata anche attivista volontaria durante la campagna di Obama nel 2008. È stato Sanders, però, il suo reale ispiratore politico. Per la sua campagna nel 2016, ha aiutato a trovare una sede nel Bronx, ha incontrato molti attivisti da tutta la città, è andata a bussare porta a porta per far conoscere le idee di un candidato attempato ma, a suo modo, rivoluzionario. Dopo la sua sconfitta alcuni membri del suo staff hanno fondato un’organizzazione, “Brand New Congress”, allo scopo di reclutare candidati per portare le idee del loro ispiratore alla Camera e al Senato. Una application per quel movimento giunse proprio da Gabriel Ocasio-Cortez, fratello di Alexandria, che scriveva a nome della sorella maggiore. Cortez fu richiamata, e da allora la sua carriera politica è stata una irresistibile ascesa.
Il suo modo di comunicare è fresco e giovane. Uno dei suoi video che hanno avuto più successo è quello in cui si presenta nel suo quotidiano: nel suo appartamento, in attesa della metro, in una bottega, mentre parla con una donna incinta o con un ragazzino che vende pancakes. La narrazione è schietta, e il messaggio è autentico: una giovane donna che viene dal Bronx, che conosce le difficoltà e le sfide che la sua città presenta soprattutto a chi è originario dei quartieri più svantaggiati, e che lotta per le “working families”, le “famiglie di lavoratori”. Quel video arriva dritto al punto, e si rivolge direttamente a quell’establishment dem che, secondo la Cortez, ha drammaticamente perso il contatto con la base: “Non ci si aspetta dalle donne che corrano per una carica pubblica. Non sono nata da una famiglia ricca o potente. […] È ora che riconosciamo che non tutti i democratici sono uguali. Che un democratico che prende i soldi delle multinazionali, trae profitto dai pignoramenti, che non vive qui, che non manda i suoi figli nelle nostre scuole, che non beve la nostra acqua o che respira la nostra aria non può rappresentarci. Quello di cui il Bronx e il Queens hanno bisogno è Medicare per tutti, università pubbliche, una garanzia di lavoro federale e riforma della giustizia penale…”.
Alexandra Ocasio-Cortez non è l’unica rappresentante di questo nuovo esperimento politico, dal

basso, a basso costo, inclusivo e, per così dire, anti-establishment da sinistra. Insieme a lei, ad esempio, spicca Julia Salazar, altra democratica socialista di origini colombiane che il 13 settembre sfiderà, nelle primarie per il Senato del 18esimo distretto di Brooklyn North, Martin Dilan, in carica da 16 anni. Forse non carismatica quanto la Ocasio-Cortez, ma comunque combattiva e da tenere d’occhio. Non solo: di recente il New York Times ha pubblicato un endorsement per Zephyr Teachout, candidata sostenuta dalla Cortez, come Procuratore Generale di New York per i democratici. E la più nota Cynthia Nixon sta conducendo una agguerritissima campagna elettorale contro l’attuale governatore dello stato di New York Andrew Cuomo. Nelle scorse ore, l’ex protagonista di Sex and The City era alla guida della protesta di un drappello di attivisti a Wall Street che chiedevano al Governatore di restituire “i 64mila dollari di donazioni elettorali che ha preso da Donald Trump”.
Non sappiamo dove porterà questa riscossa democratica socialista fatta da tante donne e tanti giovani, ispirati da Bernie Sanders, rappresentativi di un elettorato progressista e deluso dagli ultimi decenni di politiche poco coraggiose. Quel che sappiamo, e che Our Revolution di Sanders va di recente puntualizzando nelle sue newsletter, è che, delle 153 elezioni in cui quel movimento ha sostenuto un candidato, tale candidato ha vinto nel 48% dei casi. Un bel risultato, considerando che, nelle primarie del 2016, Sanders era dato, dai sondaggi del mainstream, al 5%.
Un risultato che costringerà i Democratici ad affrontare un dibattito necessario e doveroso dopo l’inattesa vittoria di Donald Trump del 2016. Per ora, tuttavia, l’establishment dem ostenta tranquillità: Nancy Pelosi, leader della Minoranza della Camera, ha liquidato la vittoria della Ocasio-Cortez come un fenomeno “locale”. La diretta interessata sembra invece pensarla diversamente, e tiene gli occhi fissi sull’obiettivo. Lo dimostra un significativo aneddoto personale che ha raccontato ai media. Durante una visita a Washington con il padre, quest’ultimo, indicandole il Campidoglio e i monumenti che lo circondano, le disse: “Sai, questo è il nostro governo. Tutto questo ci appartiene. Appartiene a te”. “E così, quando andai al Campidoglio, ci pensai su”, ha ricordato la Cortez. “Sento che dovrebbe appartenere a noi. Non tutto appartiene a tutti noi. Non ancora. Ma questo è il punto di partenza per il Congresso, non è vero?”.