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July 13, 2018
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Sul delitto storico della legge sui vitalizi dei parlamentari: andate a quel paese!

La Repubblica, prima di essere nostra, è stata dei nostri Padri, e dei Padri dei nostri Padri: e solo per questa nobilissima ragione, è giunta fino a noi

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
camera fiducia gentiloni

La Camera dei deputati

Time: 4 mins read

La ragione per la quale i cd vitalizi, di chi è stato Parlamentare della Repubblica, andavano, e andrebbero, preservati, è la stessa per cui se ne sta compiendo la soppressione: perché è una questione di principio.

Se “si risparmieranno” realmente 40 milioni di euro, per il diverso computo delle somme, spettanti ora secondo il criterio contributivo (importo legato ai contributi effettivamente versati), anziché secondo quello retributivo (importo legato alla media dei redditi degli ultimi anni di attività); se sia esaltante lo spettacolo di circa un migliaio di quasi ottantenni (76,5 anni di età, è la media dei “fruitori” interessati dalla novità), inseguiti col pallottoliere misto ai palloncini; se sia realmente fondata “la giusta regola”, una volta che, a tutto il 2015, su 14 milioni di pensioni, 12,4, sono corrisposte secondo il criterio retributivo, in questa faccenda, è questione di superficie .  Che può appassionare chi confonde Lo Scontrino con la Costituzione; quasi ad assimilare la micragnosità di una “rivincita” (parola del ministro Di Maio), olezzante di rancore personale rimasto lungamente a macerare nell’oscurità inerte di esistenze reiette e marginali, alla prodezza di un Napoleone in battaglia, voltosi, dall’umile ma fiera Corsica, ad emancipare il Mondo dal millenario Ancien Règime.

Il principio da difendere era, ed è, il Parlamento; giacchè il riconoscimento del ruolo conta, non la persona; come per l’Immunità, il fondamento di ogni libertà individuale e comunitaria, malamente scardinato nel 1993, sotto gli squassi autoritari di Mani Pulite: in materia di democrazia e libertà, primo ed insuperato Maestro di “color che non sanno”. E come allora ci fu una Sabbah, ad acclamare il dileggio e l’abbattimento delle insegne parlamentari e repubblicane, così oggi un’altra orgia, un’altra fiesta immonda e lubrìca, fa da cornice a questo rinnovato e complementare “Non-Senso” delle Istituzioni. Allora, le monetine e il “Vergogna” cubitale di Repubblica; oggi, i festoni e i selfie.

Dire che “gli Italiani aspettavano questo momento da sessant’anni”, come una frase babbea dell’inesausto Ministro Di Maio si è incaricata di sostenere, proprio non si regge. E i voti favorevoli di PD, come l’astensione di Forza Italia, senza lenire gli altrui demeriti, solo cristallizzano i propri. 

Gli italiani, chi? Parli per sè, questa novella Ambra Angiolini, orba anche di grazia e di vezzosa ingenuità: ammesso che ci riesca, senza i telecomandi di un tristo e illegalistico Rocco Casalino/Casaleggio-Boncompagni.

Perchè gli Italiani, che talvolta si concedono di gigioneggiare, sui social e altrove, sanno come è stata costruita questa Repubblica. E lo sa anche il Presidente Sergio Mattarella. Non è stata costruita a chiacchiere: quelle che, ogni giorno di più, risultano essere l’arte essenziale di un Governo, i cui più noti Ministri sono impegnati fino allo sfinimento sulla tastiera, con una dedizione che si sognerebbe il miglior chirurgo in sala operatoria, o il miglior muratore sui ponteggi.

Ognuno di quei parlamentari, esattamente in quanto “ex”, reca una memoria, una testimonianza: l’ex democristiano, l’ex comunista, l’ex socialista, l’ex repubblicano, l’ex liberale, l’ex socialdemocratico, l’ex radicale, l’ex missino, l’ex extraparlamentare giunto al Parlamento, ciascuno per un’idea, un’immagine, magari seppiata ma ancora definita, animano condotte, scelte, speranze, delusioni, azioni, risultati, sconfitte, errori, incertezze, dubbi, fedi, affinità, comunioni, lacerazioni che, nel loro insieme, null’altro significano, se non che la Repubblica, prima di essere nostra, è stata dei nostri Padri, e dei Padri dei nostri Padri: e solo per questa nobilissima ragione, è giunta fino a noi.

Il fiele, l’ingratitudine che, sin dalla sua fondazione, hanno serpeggiato verso la “Repubblica delle stragi”, o “della mafia”, o “della corruzione”, o “del debito pubblico”, hanno una comune fallacia che le sostiene: di parlare del tutto trascurando le alternative, e gli altri. Di avere presentato una intensità ed una costanza, pari solo alla loro reale distanza dal maggioritario sentire, che per decenni ha seguitato a riconoscersi nei “colpevoli” di quei “crimini”.

Noi, durante il tempo repubblicano, non abbiamo avuto l’Algeria, o l’Indocina, o il Vietnam; non le anglo-colonizzazioni petrolifere; non la schiavitù della Siberia, o gli Stati-campi di prigionia per interi popoli, e intere generazioni post-belliche. Abbiamo avuto una Monarchia che ha tradito, e l’abbiamo messa alla porta. Eravamo largamente analfabeti o semianalfabeti, e ci siamo istruiti. Poveri in canna il 26 Aprile del 1945, e già toccati universalmente dal benessere nel 1960, allorchè, l’Economist doveva definire la Lira “Star Currency”. Malati, spesso affidati più alle preghiere che alla medicina, e abbiamo saputo curarci. Non c’erano strade, e le abbiano costruite. Abbiamo rischiato di spezzarci, retrocedendo nel misero pulviscolo pre-unitario, e siamo rimasti uniti. Abbiamo avuto un’epidemia di sangue, piombo e stragi, e ne siamo usciti. Dopo un mattatoio, a lungo solo regionale, anche una risacca nazionale, ancora di bombe e stragi; di chi credeva, così, di fissare stabile dimora sul proscenio sociale e storico: e li abbiamo scompaginati in cinque anni. Abbiamo affrontato il mondo, e ci siamo fatti ben volere, per il nostro estro, la nostra attitudine alla vita. Avevamo gli orticelli, e abbiamo eretto industrie. Piangevamo, e siamo tornati a sorridere.

Ora, questi cd governanti, vorrebbero convincerci che dobbiamo digrignare i denti; che dobbiamo guardare al prossimo e volgergli le spalle; che dobbiamo ridurci alla miseria della paura, al contrabbando delle emozioni, con noi, con gli altri.   

Che dobbiamo dimenticare chi ci ha resi liberi e moderni. Che dobbiamo dirci grati al manipulitismo. Che dobbiamo essere figli, senza Padri.

Andate a quel paese. Qui, ci siamo noi; qui, ci sono, e ci resteranno, gli Italiani.       

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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