Scrivevo questo tre mesi addietro in un articolo che spiegava le dinamiche psicologiche e sociali che avevano portato al successo elettorale Lega e Movimento 5 Stelle:
Sarà interessante vedere l’evoluzione del panorama politico italiano nelle prossime settimane vista la maggioranza dei seggi ottenuta nel parlamento italiano dai due partiti populisti per eccellenza
È arrivato il momento di capire cosa è successo nel frattempo. I fatti sono noti. Li riassumo brevemente. Le narrazioni grilline e quelle leghiste si sono saldate nel famoso “contratto di governo”, un documento che unisce in maniera grossolana il libro dei sogni a 5 stelle con quello leghista.
L’accordo ha permesso l’avvio di un governo giallo-verde con il sostegno delle rispettive basi elettorali.
Il PD si è posizionato all’opposizione, come aveva dichiarato di voler fare (non che avesse alternative valide, francamente, eccetto lo sputtanamento totale con i propri elettori).
Gli altri partiti di destra hanno avuto un atteggiamento ambiguo rispetto al nuovo esecutivo. La destra di Giorgia Meloni ha provato a entrare nei giochi, ma è stata respinta dai 5 stelle. Durante la fiducia al nuovo governo quelli di FdI si sono astenuti, segno che non dispiacerebbe loro avere qualche posto di governo o sotto-governo in un futuro non troppo distante.
Berlusconi ha avuto un atteggiamento ondivago e ambiguo: ha parlato male dell’alleanza, ma non troppo. I suoi giornali, le sue televisioni, i talk show e gli spettacoli per casalinghe sparacchiano contro il nuovo esecutivo, ma senza la virulenza di cui tutti li sappiamo capaci. Questo atteggiamento è facilmente interpretabile come l’intenzione di poter in qualche modo eterodirigere il nuovo governo attraverso Salvini e altri mezzi (magari comprandosi qualche Senatore della Repubblica all’occorrenza, una tecnica che lo psiconano ha già adoperato in passato con successo).
Per quanto riguarda il presidente del consiglio, c’è stata una sorpresa che non sorprende troppo. I seguaci di Grillo si fanno gabbare con facilità dalla propaganda social della Casaleggio, ma il sostegno a un premier leghista sarebbe stato troppo da digerire in una volta sola anche per il popolo pentastellato. Similmente, quasi impossibile sarebbe stato per Salvini far accettare ai suoi un grillino di lungo corso in quella posizione.
La scelta doveva quindi cadere su un personaggio nuovo, senza una storia politica pregressa, in equilibrio tra i due movimenti. Al tempo stesso doveva essere una persona manovrabile che però non facesse la figura del babbione al primo impatto una volta elevato a simbolo del nuovo governo. Il meglio che i 5 stelle sono riusciti a esprimere è uno sconosciuto professore Universitario, l’avvocato Giuseppe Conte. Di lui non si sapeva nulla fino all’altro giorno (e ancora ora se ne sa poco), ma si presenta sufficientemente bene, il che è fondamentale.
Come avevo spiegato nell’articolo sui meccanismi del populismo, chi manipola il consenso tramite social lo fa basandosi sui bias cognitivi. In questo caso si tratta dell’ “effetto alone”, un bias cognitivo in virtù del quale a chi si presenta bene viene inconsciamente attribuita maggior intelligenza e credibilità di quanto i fatti oggettivi indichino. La Casaleggio ha più volte dimostrato di conoscere molto bene l’effetto alone nel momento in cui seleziona tra gente belloccia o fotogenica chi dovrà stare davanti alle telecamere per divulgare la vulgata pentastellata. Del resto sono regole che quelli del marketing conoscono da prima che ce le spiegassero scientificamente Kahneman, Tversky e altri.
In questo contesto non sorprende che Conte abbia già fornito alcuni esempi di “eterodirezione”, nel momento in cui ha cercato l’approvazione di Di Maio su cosa dire anche durante il discorso più importante tenuto finora alla Camera dei Deputati. Ma non soffermiamoci sui dettagli.
Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, è evidente che Mattarella abbia perfettamente compreso di trovarsi davanti a dei dilettanti allo sbaraglio, ma non ha potuto che muoversi con saggezza nell’ambito delle prerogative che la Costituzione gli assegna.
Come avevo spiegato, la somma di social e bias cognitivi ha minato le fondamenta della democrazia un po’ in tutti i paesi, Italia compresa. È oramai dimostrato che forze sia endogene che esogene sono in grado di sfruttare i social per pilotare le idee e anche la percezione dei cittadini secondo piani e obiettivi che non sempre coincidono con gli interessi a medio e lungo termine per la popolazione (e a volte neanche a corto termine). Questo porta al successo elettorale forze politiche platealmente inadeguate e l’Italia non ha fatto eccezione. Il problema è sotto gli occhi di tutti, anche se nessuno ha idea di quali misure potrebbero arginare il problema.
Il nostro povero presidente non ha potuto far altro che muoversi nel perimetro che la Costituzione italiana traccia per lui. Mattarella sapeva perfettamente che un governo percepito come poco credibile avrebbe potuto essere costosissimo per l’Italia a causa dello spread e dell’innalzamento degli interessi sul debito. Per evitare che il caos populista potesse danneggiare fin da subito due colonne portanti del nostro paese (la nostra appartenenza all’Euro e all’Europa), il Capo dello Stato si è spinto ai limiti di quel perimetro costituzionale. Il governo giallo-verde è stato nominato dopo un’abile triangolazione con Carlo Cottarelli che ha portato all’estromissione dell’euro-scettico Savona dalla posizione di ministro dell’Economia.
Né si poteva chiedere di più al presidente. Essendo quelli i partiti espressi dal voto del popolo sovrano, ogni altra soluzione avrebbe significato far cadere il paese in un caos generale da cui non avremmo visto l’uscita.
Tutto bene quindi?
Troppo presto per dirlo, anche se si prefigura una situazione interessante. Come spiegavo, i nuovi movimenti non hanno dimostrato fino a qui una sufficiente comprensione dei meccanismi italiani del debito pubblico e questo è il vero problema. Tentativi scomposti di implementazione del loro libro dei sogni rischierebbero seriamente di portare l’Italia al default e di mettere lo Stato nella condizione di non poter pagare stipendi e pensioni a decine di milioni di cittadini italiani. Il tempo di giocare al piccolo rivoluzionario anti-establishment è finito.
Il nodo vero quindi non è ancora arrivato al pettine. Oppure sì?

Ci sono anche segnali molto interessanti. Un’intervista al Corriere del nuovo ministro dell’Economia Giovanni Tria lo scorso finesettimana dà il la alla coalizione di governo: l’uscita dall’Euro non è in discussione né lo è tantomeno la nostra appartenenza all’Europa. Il debito sarà onorato e scenderà, e insieme a lui il deficit ed il rapporto deficit/PIL. Insomma, più che un ministro pentastellato, sembra di sentir parlare Carlo Cottarelli.
Tre mesi fa asserivo nel mio articolo:
l’affermazione dei partiti populisti rischia di costare molto all’Italia qualora arrivassero al governo e non dimostrassero di saper tenere i conti a posto
Se l’atteggiamento di Tria sarà quello del governo (ed è difficile pensare che possa essere diversamente dopo quell’intervista), la risposta è arrivata: i due partiti populisti si stanno tramutando geneticamente per essere partiti di governo e per capire finalmente cosa significa governare, al di là delle stupidate populiste sui vaccini, sull’Euro e sui voli di Stato (di cui si avvalgono, giustamente, anche Conte e la sua squadra, così come faceva Renzi quando era premier).
Da rischio sventato a occasione per l’Italia: le prime vere “larghe intese”
Se questa è la situazione, dopo aver visto il baratro a pochi passi, il futuro potrebbe essere più positivo di quanto nessuno avrebbe mai potuto sperare per il paese fino a pochi giorni fa. Se i partiti che hanno raggiunto il consenso degli incazzati saranno in grado di tenere la barra dritta sui conti, e, al tempo stesso, domare la bestia populista, saremmo di fronte alla prima vera grande “grosse koalition” all’italiana. Non larghe intese tra la sinistra e la destra storiche del paese, bensì un’intesa più ampia tra establishment e anti-establishment che metta fine a quell’odio sociale confusionario che attraversa il paese da anni. Si potranno finalmente fare riforme per il bene di tutti al riparo dalle narrazioni buffe anti-tutto che dipingono i cittadini italiani come le vittime del raggiro della casta politica.
…e i libri dei sogni?
A questo punto il problema per i populisti sarà spiegare ai rispettivi elettorati perché il governo giallo-verde abbia finito per attuare politiche che, grosso modo, coincidono con quelle delineate e perseguite dai governi della passata legislatura, governi che loro stessi avevano messo alla berlina quotidianamente con una propaganda virulenta e martellante.

Come sappiamo, però, questo potrebbe essere un problema minore. Salvini conosce la strada per arrivare sul tetto. Da lì potrà fare dirette Facebook per spiegare che “la Flat Tax è già realtà anche se qualcuno potrebbe non essersene accorto”

La Casaleggio, dal canto suo, offrirà a Di Maio un “annuitore”, una spalla professionista per aiutare Luigino a convincere anche le menti meno sofisticate che il reddito di inclusione (governo Gentiloni) altro non era che il reddito di cittadinanza e che loro lo avevano implementato fin dal primo giorno di governo.
Insomma, se vogliono raccontare ai loro supporter che il governo del cambiamento ha funzionato, scemo e più scemo della politica italiana sapranno perfettamente come farlo in maniera convincente per quelli che hanno già convinto in passato. (Io riderò, ma non fateci caso…).

…e i migranti?
Questo è uno dei maggiori problemi del nostro mondo contemporaneo e uno in cui le differenze tra i due movimenti populisti sono profonde. La Lega fa del No all’immigrazione il suo cavallo di battaglia da anni, mentre le diverse anime 5S sono generalmente d’accordo a difendere gli ultimi (anche se non sono d’accordo su quale sia la definizione di ultimi). Qualsiasi sia la sintesi delle diverse posizioni, i due movimenti troveranno il modo di giustificarla presso i propri elettori.
Conclusione
Tre mesi fa si profilava il rischio concreto che un governo populista avrebbe portato il paese al disastro economico. Oggi il governo populista è formato e i segnali sono quelli di una mutazione genetica in corso che sta costringendo i populisti a essere classe dirigente. Se così fosse, saremmo dinanzi alle prime vere “grandi intese”, in grado di ridurre il volume del conflitto sociale e aprire nuove possibilità di riforma per il sistema paese.
Da italiano, incrocio le dita…