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September 1, 2017
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Elezioni in Sicilia: ci sono i candidati. E c’è l’Apparato

Il 5 Novembre si elegge il nuovo presidente della Regione Sicilia: tanti candidati, nessuno vincerà

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Elezioni in Sicilia: ci sono i candidati. E c’è l’Apparato
Time: 5 mins read

Come sappiamo, in Sicilia presto si voterà. Il 5 Novembre prossimo sarà eletto il suo nuovo Presidente e la Giunta. L’Assemblea Regionale Siciliana seguirà: come l’Intendenza. Ci sono candidati certi, e candidati probabili. Fra questi ultimi, Rosario Crocetta, uscente. E sarebbe auspicabile che tale rimanesse.

Rosario Crocetta

Superfluo qui ripercorrere le scansioni di un calvario. 47 Assessori, mediamente uno ogni 35 giorni, non sono stati solo il compendio incarnato di una instabilità di governo, di un sado-masochistico metodo disamministrativo; ma la materia di un delirio istituzionale esoso: e tuttavia lasciato infuriare, senza che le maggioranze a sostegno interponessero alcuna significativa scelta, alcun sussulto di responsabilità. Le insulsaggini telefoniche, vere o presunte, nulla possono aggiungere all’insulsaggine di una retorica antimafia colabrodo: che fu l’unico autentico fattore legittimante per la sua elezione, e l’unico vero scudo alle sue responsabilità politiche.

Il candidato certo del PD, o del Centro-Sinistra, è Fabrizio Micari, Rettore dell’Università di Palermo che, nonostante il sostegno del Sindaco Leoluca Orlando (e tanto più considerando la minaccia-Crocetta, e il più o meno incisivo effetto elettorale diluente che può comportare), rimane solo una sorta di lussuoso candidato di bandiera. Questo perché Orlando non può trasmettere l’ineffabile corredo di carisma, uso e abuso della memoria, splendore affabulatorio indigeno e mitteleuropeo, abilità tattico-amministrative, e indubbio gusto per la vetrina signorile e onirica, che ne ha reso e ne rende unica la figura: ascrivendola al profilo di un benvoluto Vicerè, più che a quello di un politico contemporaneo. 

Fabrizio Micari

L’On. Claudio Fava si candida da Vice-Presidente della Commissione Antimafia: Presidente l’On. Rosy Bindi.

Fra i candidati certi, da un mese campeggia Giancarlo Cancellieri. Il profilo politico sovrasta la figura individuale, l’identità nazionale quella regionale: il candidato vero è il M5S. Sicché, occorre considerare non la persona, ma un coacervo programmaticamente filoprocuratorio: come anche la recente approssimazione ad esso del dott. Nino Di Matteo comprova. Sul punto si profila una concorrenza parziale ma, siamo certi, non sleale, con il candidato Fava. Non tutto dalle parti dei 5S  è in hoc signo vinces; ci sono alcune esperienze locali, come per es. a Grammichele, in provincia di Catania, che si notano (cioè non si notano, secondo un mainstream che si sofferma solo su sangue e arena) per un ordinato svolgimento civico: e tuttavia, come si dice, una rondine non fa primavera; Grillo rotea manette, e questo è “Il Programma” su cui, suggestivamente, insidiosamente, il “Capo Politico” sollecita il voto regionale. Si accomodi, chi vorrà.

Giancarlo Cancellieri

A destra si affaccia una novità. Che va spiegata, sia pure in breve. Non è una novità anagrafica. E nemmeno di anagrafe politica, giacché Nello Musumeci è un uomo politico di militanza ed esperienza ultratrentennali. E’ una novità di metodo politico: perché un centro-destra unitario, in vista di un’elezione di un qualche significato, non si vedeva dal 2008. Ed è una novità di contenuto politico. Nello Musumeci si è imposto: per lo meno, alla soglia della sua candidatura.

Gianfranco Micciché (figura eminente di Forza Italia in Sicilia, recita l’annuario di una qualche buvette) non voleva: ed è titolo di merito, per Musumeci. E nemmeno Berlusconi voleva: ed era una sciocchezza, per Berlusconi. Cioè, le gerarchie di comando, regionale e nazionale, sono andate a Canossa, cioè a Catania. Ma Berlusconi, essendo padrone del suo fiuto, e non viceversa, ha mollato le gerarchie, e, per parte sua, ha ricomposto il quadro. Accostando a Musumeci l’Avv. Gaetano Armao, suo iniziale candidato, già Assessore nella Giunta Lombardo, e fresco di fondazione del movimento Sicilianindignati: insegna non proprio irresistibile.

E’ stato diffusamente osservato che Musumeci è un galantuomo. E lo è. Che, per oltre dieci anni, da Presidente del fu Ente-Provincia, è stato anche un amministratore attento, tenace: e fecondo di iniziative e realizzazioni. Ed è vero pure questo. Inoltre, lo ricordavo prima, è stato ed è “uomo politico”: consapevole del ruolo, e delle responsabilità democratiche ed istituzionali che un’investitura morale, giuridica e politica comporta: specie quando si imprime intorno ad un’idea e ad una organizzazione riconoscibili, perduranti. Investitura che perciò risponde dei progetti proposti non solo di fronte al presente ma, non meno, al cospetto della sua stessa storia, di una memore militanza, umana e sociale. “Uomo politico” è espressione che oggi funge da antidoto a certo belluinismo che, nato dalle monetine che seppellirono la Prima Repubblica, si è consolidato ed istituzionalizzato nella Seconda, e si pone come gestante per cupi avventurismi che potrebbero porre fine al nome e alla numerazione. Sia chiaro: belluinismo  recepito a Destra non meno che a Sinistra, cosiddette. Oltre che in talune Procure della Repubblica.

Nello Musumeci

Musumeci non ha urlato, ha combattuto, ha vinto, ha perso; e quando ha perso, niente insinuazioni, nessuna porta sbattuta: fermo dissenso (dal Segretario Fini), prezzo pagato (isolamento nel partito), e rientro alla base, per medicare le ferite, e attendere, anche per anni, che tornasse il tempo propizio al rilancio, ad una nuova stagione. Musumeci conosce e anima una politica degna.

Ma poi, c’è lui: l’Apparato. Non solo quello regionale: l’indicibile selva di uffici e manomorte sovietico-autonomistico-amministrative che fiaccherebbero la biblica pazienza di Giobbe. Ma, soprattutto, l’Apparato-Tutore della moralità pubblica: con la sua panoplia dell’insinuazione, del dileggio organizzato, dell’atto dovuto. Con le infinite forme e formule che può impiegare per aduggiare, per ferire; e se non il bersaglio principale, uno minore ma vicino; e se non con “l’ipotesi di reato”, con il sospetto dell’ombra dell’ipotesi; e se non così, con una chiacchiera estrapolata, con un pettegolezzo, con un equivoco. Sappiamo.

Questo Apparato sa essere mefitico come pochi al mondo. Ed è la sola ragione che può giustificare il logoro paradigma della Sicilia-laboratorio, di Palermo caput immundi, dell’oggi qui e domani lì. 

Molti auguri.     

  

   

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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